DALLA DISTRUZIONE DEL TEMPIO DI GERUSALEMME AL GENOCIDIO IN PALESTINA. Analisi delle Origini del Giudaismo

DALLA DISTRUZIONE DEL TEMPIO DI GERUSALEMME AL GENOCIDIO IN PALESTINA. Analisi delle Origini del Giudaismo

Indice dei contenuti

Nell’immagine di copertina Francesco Hayez – particolare della Distruzione del Tempio – Galleria dell’Accademia di Venezia

di prof. ssa Paola Persichetti

Tempio di Gerusalemme, cuore dell’ebraismo, violentemente e misteriosamente ridotto in cenere dai romani, contro la loro stessa volontà, nell’estate dell’anno 70. Da allora, e pianto tre volte al giorno dal pio ebreo con la straziante preghiera “possa essere la tua volontà che il tempio sia presto ricostruito nei nostri giorni!“ ogni anno-preceduto da 10 giorni di astensione dal vino, dalle carni, dal rifiuto di tagliarsi barba e capelli-ecco il rigoroso digiuno del 9 di Av ( 10 Agosto), con i neri addobbi sull’armadietto che custodisce i rotoli del pentateuco.

È il giorno in cui si commemora la rovina totale, quando il sacrificio a Dio del mattino e della sera, con l’Olocausto delle vittime sull’altare, terminò per sempre. È chiaro che nessun lettore si chiederà perché abbiamo intenzione di dedicare tanta attenzione al tempio di Gerusalemme in questo periodo di guerra tra Israele e Palestina.

“Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni” (Matteo 26,59-61)

Il tempio di Gerusalemme non era solo il monumento principale, il tempio era Gerusalemme stessa, anzi era Israele tutta intera e la sua rovina significò la rovina della nazione, Il passaggio dall’ebraismo ad una nuova fase, detta del “giudaismo”, che dura tuttora (malgrado il ritorno, ma “senza Messia“, in Palestina; e malgrado certi progetti attuali di ricostruzione di cui parleremo).

Quella distruzione significò la scomparsa fisica, o almeno, la perdita di significato dell’intera classe sacerdotale, con i sadducei che soprattutto la componevano, e il passaggio all’economia della sinagoga; la quale è un surrogato di necessità, dove a Dio si offrono le parole della preghiera ma non più le vittime sacrificali e dove si è fatto presto quasi assoluto il dominio dei farisei.

Su quell’alta acropoli a est di Gerusalemme – quel monte Moria sul quale fu traslato il nome di Sion per indicare la città, anzi la nazione intera-non ci si limitava a invocare l’eterno, ha immolare a lui cataste di animali.

Li – nella vuota, inaccessibile stanza del Sancta Sanctorum, dove solo il sommo sacerdote poteva penetrare una volta l’anno – lì era allo sgabello di Jahvé, il trono dove abitava la Shekinah, la sua presenza gloriosa. Per Israele, il tempio era tutto: non soltanto sul piano religioso, ma anche su quello sociale, economico. Basti ricordare che, quando fu terminato, nel 64 d.C., sei anni prima della distruzione, 18.000 lavoratori restarono disoccupati.

La legge prescriveva di venirvi in pellegrinaggio tre volte l’anno, a Pasqua, a Pentecoste, per la festa delle Capanne. Anche gli ebrei dispersi nel mondo rispettavano il precetto, spesso aldilà della misura minima obbligatoria per essi di almeno una volta nella vita. Così, sulla grande spianata esterna, aperta a tutti, nella successione dei cortili riservati agli ebrei, era tutta la nazione che si incontrava, si scambiavano notizie,si discuteva sulla scrittura, si confermava nella solidarietà e nella fede. Per gli abitanti di Gerusalemme, poi, quel luogo assolveva le funzioni quotidiane svolte dall’agorà nelle città greche, dal foro in quelle romane, da quella che sarà la piazza nei comuni del medioevo cristiano. Dobbiamo aggiungere, però, agli usi legittimi di luogo di incontro, anche quell’aspetto sfacciatamente commerciale che susciterà la ben nota ira e la conseguente reazione violenta di Gesù.

Pianto di Gesù sulla città santa

Il pianto di Gesù sulla città santa è, in realtà un pianto sul tempio, dal quale Dio si allontanerà lasciando deserta la sua “casa“ che era stata anche la casa di tutti gli israeliti. “Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa è lasciata a voi deserta!“ (Matteo 23,37-38).

Procediamo oltre: verso il mistero. Sarà interessante interrogarsi sul significato che l’immane edificio ebbe non solo per l’ebraismo a esso contemporaneo, non solo per Gesù, non solo per i tempi della primitiva comunità cristiana di origine ebraica; ma sul significato enigmatico che dopo la sua distruzione radicale, nel 70 assunse sia per il giudaismo superstite che per il cristianesimo. Forse il tempio continua ad assolvere la sua funzione sacra di testimonianza a Dio anche da quando è ridotto al ricordo.

Come ha scritto Guido Cavalleri, un biblista ormai scomparso e che alla competenza scientifica affiancava quella consapevolezza religiosa indispensabile per il credente che legge la scrittura: “sulla spianata di Gerusalemme, nei resti di quello che fu il santuario della città santa, la fede scorge l’adempimento di profezie che ne fanno un segno visibile finché i tempi dei pagani non siano compiuti“.

La citazione che Cavalleri dà  alle parole scritte in  neretto è del testo di Luca, il quale, unico tra gli evangelisti, nel discorso escatologico attribuisce al Cristo una predizione: “Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti” (21,24).

I “tempi dei pagani“ sono questi nostri, è tutta la storia della morte e resurrezione del Cristo sino al suo ritorno quando, tra i segni che l’annunceranno-assicura Paolo-vi sarà l’ingresso nella chiesa dell’intero popolo ebraico: Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, questo mistero, perché non siate presuntuosi: l’ostinazione di una parte di Israele è in atto fino a quando non saranno entrate tutte quante le genti. Allora tutto Israele sarà salvato… (Romani 11,25-26).

Per tornare alla profezia di Gesù secondo Luca, calpestare Gerusalemme è sinonimo di calpestare il suolo del tempio, visto che la città era santa proprio perché ospitava quel luogo santo per eccellenza, il trono dove abitava lo spirito di Dio. Ed è davvero singolare che, sino a ora-dunque, per più di 2000 anni-la profezia appaia esattamente adempiuta. E, prima, adempiuta malgrado gli ebrei; in seguito per loro volontà stessa. Vediamo.

Il cortile dei gentili

Sul muro dove terminava il grande cortile dei gentili, aperto a tutti, stavano vistose lapidi in ebraico, greco e latino: le stesse lingue cioè del cartello che Pilato fece appendere sopra la croce del Nazareno. Quelle lapidi avvertivano solennemente che chi, non ebreo, avesse varcato quel limite, sarebbe stato messo a morte. Con la caduta di Gerusalemme, la situazione inopinatamente si rovescia: l’imperatore Adriano, al termine della seconda rivolta giudaica, cambia addirittura il nome della città latinizzandolo in a Aelia Capitolina; e sulla spianata del Tempio – raso al suolo mezzo secolo prima da Tito- fa innalzare statue degli dei pagani.

Dove era stata la porta sud, quella verso Betlemme fa piazzare una testa di porco: era all’insegna della 10ª legione Fretensis, che presidiava le rovine della città; ma era anche un insulto feroce a un popolo per il quale il maiale era l’animale impuro per eccellenza, un simbolo del diavolo stesso.

Già dal 70, il tributo che gli ebrei, anche nella diaspora, dovevano versare per il tempio continuava a essere riscosso, ma per andare a favore non più della casa di di Jahvè, ma di quel tempio a Giove sul Campidoglio di Roma dove Tito aveva concluso il suo trionfo deponendo, davanti all’altare di Zeus, le spoglie che nel santuario di Gerusalemme era riuscito a salvare: il grande candelabro d’oro a sette braccia, la tavola, in oro massiccio, per i panni della preposizione, un esemplare della Torah, la legge ebraica.

Soprattutto, Adriano espelle dalla sua Aelia Capitolina e dai dintorni, per un largo giro intorno, tutti gli ebrei; non potranno riavvicinarsi alle mura né tantomeno varcarle se non vorranno essere uccisi sul posto. Dove solo i circoncisi potevano entrare, ora possono entrare tutti, tranne i circoncisi.

Chiese sulla spianata che fu del tempio

Con Costantino, anche sulla spianata che fu del tempio, come in tutta Gerusalemme, i cristiani elevano le loro chiese (e fallirà, il tentativo di  riedificarvi il santuario ebraico durante l’effimera restaurazione degli antichi culti sotto Giuliano l’Apostata).

Ma ecco, nell’VIII secolo, l’invasione degli arabi che, della spianata fanno luogo fra i più sacri dell’islamismo. Cioè, “il nobile recinto sacro“. In effetti, i musulmani affermano che anche Maometto volle riconoscere la santità di Gerusalemme e, in particolare, del luogo dove sorgeva il tempio al Dio unico.

Dunque, avvicinandosi la morte, il profeta sarebbe volato sin quì-dove l’attendevano Abramo, Mosé e Gesù – sulla sua giumenta alata, Burak, e da qui sarebbe asceso al cielo; qui, dunque, in quello stesso VIII secolo, attorno alla roccia che era stata altare per i sacrifici ebraici, i musulmani costruirono la moschea detta di Omar e, pochi decenni dopo, la moschea “la remota“, in quanto era allora la più lontana dalla Mecca.

Ma il 15 luglio del 1099 (e per 88 anni, sino al 1187) ecco irrompere qui l’esercito dei crociati che trasformarono la moschea di Omar in chiesa e la moschea “La remota“ prima in palazzo per Baldovino, il re latino di Gerusalemme, e poi in “gran capitaneria“ per i cavalieri dell’ordine detto “del tempio“ proprio per il luogo dove era ubicata la loro casa madre. Ritiratisi cristiani, le costruzioni tornarono al culto musulmano, al quale ancora adesso appartengono.

Gli ebrei ritornano 1967

Quando, nel 1967, gli ebrei ritornarono, con le armi, in possesso anche di questa parte di città, dopo quasi 2000 anni da che non avevano più avuto il controllo di Gerusalemme, il generale Moshé Dayan – a nome del governo di Israele -rassicurò gli arabi islamici sul libero, anzi esclusivo, godimento della spianata. E non solo per ragioni politiche, per evitare cioè l’ulteriore esasperazione dei vinti che qui hanno il loro luogo più sacro dopo la Mecca; ma soprattutto per ragioni religiose, tutte ebraiche. In effetti, da quando il tempio fu distrutto, gli ebrei si sono sempre vietati di accedere al luogo dove sorgeva, perché affermano di non essere più in grado di stabilire dove fosse ubicata la sala vuota del Sancta Sanctorum.

Non entrano nella spianata, dunque, perché temono di calpestare un luogo che nessun piede umano può più toccare da quando, con la fine dei sacrifici e del sacerdozio che vi era dentro, non c’è più un sommo sacerdote che, unico, poteva lasciare lì le sue orme.

È davvero sorprendente: tutto ciò sembra confermare la profezia che Luca attribuisce a Gesù e secondo la quale, sino alla fine dei tempi, solo i“Pagani“ (cioè, unicamente i non ebrei) “calpesteranno Gerusalemme“: calpesteranno quel luogo, che tutta la riassume, che è la spianata del Tempio. Gli ebrei, anche di oggi, che pure qui hanno di nuovo la loro capitale, si limitano a radunarsi nella sinagoga all’aperto ricavata davanti al muro che – significativamente-si chiama “del pianto“. Dove davvero si piange, e con alti  lamenti, sulla giornata in cui i romani distrussero quella casa di Dio.

Per impulso di un Dio

“ Mentre Gesù, uscito dal tempio, se ne andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli per fargli osservare le costruzioni del tempio. Egli disse loro: “non vedete tutte queste cose? In verità io vi dico: non sarà lasciata qui pietra su pietra che non sarà distrutta “. (Matteo 24,1-2).

“Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia raccogli i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa e lasciate a voi deserta! Vi dico infatti che non mi vedrete più, fino a quando non direte: benedetto colui che viene nel nome del signore!“(Matteo 23,37-39).

Ecco dunque il cuore del mistero-davvero inquietante-nel quale vogliamo inoltrarci: è un fatto che oggi, al posto del grande santuario, non vediamo che è una spianata sulla quale sorgono le moschee di una fede sorella e al contempo antagonista come la mussulmana; ebbene, quel fatto corrisponde a una profezia di Gesù . Quelle rovine potrebbero essere davvero un segno, muto e al contempo eloquentissimo (“se questi taceranno, grideranno le pietre“ Luca 19,40), della verità messianica del Galileo. Non si dimentichi che il tempio distrutto nel 70 d.C. era il terzo costruito su quella stessa spianata dagli israeliti: era logico supporre che la loro fede indomita e che gli sforzi di tutto quanto il popolo non avrebbero esitato a ricostruir un quarto.

E, infatti, pare che si tentasse di farlo nel 132 d.C., al tempo della seconda rivolta, ma ne mancò il tempo per la controffensiva romana, ancora una volta vittoriosa e devastatrice.  Si cominciò ancora una volta a riedificarlo nell’anno 362 con l’aiuto, questa volta, dall’imperatore stesso, Giuliano detto L’ Apostata, che sembra fosse spinto proprio dal desiderio di aiutare gli ebrei a smentire quelle profezie del Vangelo di cui dicevamo. Ma quella ricostruzione dovete essere subito interrotta per una sorta di misteriosa opposizione divina: è una storia affascinante (e forse troppo trascurata) sulla quale dovremmo tornare.

E sarebbe interessante parlare anche del riemergere di progetti di riedificazione proprio nell’Israele di questi anni: ma, per non anticipare diremo solo che alle molte altre difficoltà (frapposte, tra l’altro, dagli ebrei ortodossi) si aggiunge quella terribile che toccare quel luogo ormai sacro all’Islam, demolendo tra l’altro (ne’ si potrebbe fare altrimenti) due delle moschee più venerate, scatenerebbe una “guerra santa“ rispetto alla quale l’opposizione musulmana vista sinora non sarebbe che un pallido anticipo.

Comunque sia, a rendere inquietante e dal suono misterioso la profezia di Gesù sulla rovina imminente e definitiva del tempio concorrono anche le circostanze in cui quella rovina avvenne, circostanze che ci sono narrate da un testimone insospettabile come Giuseppe Flavio, il capo ebreo  passato ai romani e divenuto storico della loro vittoriosa campagna, ma senza rinnegare la fede dei padri. Anzi, restandone infaticabile convinto apologeta sino alla fine.

La misteriosa ed enigmatica testimonianza di Giuseppe Flavio

Giuseppe Flavio discendeva da una famiglia illustre e aveva 29 anni quando scoppiò la prima rivolta contro Roma. Diresse la difesa della Galilea e, dopo il disastro delle sue truppe, fu tra i pochissimi superstiti cui fosse risparmiata la vita. Condotto prigioniero davanti al comandante in capo, Vespasiano, gli profetizzò che sarebbe divenuto imperatore. Quando questo avvenne davvero, due anni dopo, gli fu ridata la libertà e come interprete ed esperto di cose ebraiche, visse a fianco del nuovo responsabile delle operazioni dell’esercito romano, Tito, il figlio di Vespasiano.

Dopo la distruzione di Gerusalemme e la rovina definitiva di Israele, si stabilì a Roma dove, con La guerra giudaica, descrisse l’immane tragedia di cui era stato prima protagonista e poi testimone tra il 66 e il 70.

Si avverte subito qualcosa di enigmatico, di misteriosamente provvidenziale nel fatto che non solo sia stata scritta, ma ci sia stata conservata una simile testimonianza di uno, che certamente cristiano non era, su ciò che Gesù ha detto e profetizzato. A rendere ancora più strano il caso c’è il fatto che la maggior parte della storiografia antica è andata perduta, non è riuscita giungere sino a noi nello sfacelo dell’antichità e nell’incendio, nella dispersione di biblioteche e archivi.   Una sorte che avrebbe potuto seguire anche “la guerra giudaica“ visto che l’edizione originale, in aramaico, ottenne una diffusione limitatissima, anzi fu intercettata e distrutta quando era possibile dalle superstiti comunità ebraiche sparse nella diaspora che non perdonavano a quel “traditore“ di essersi “venduto“ ai romani.

Il caso di Giuseppe Flavio ci pone di fronte ad un vero reportage giornalistico dove il giornalista, per giunta, non è un anonimo, ma è uno dei figli più illustri della casta sacerdotale e nobiliare e ebraica. Giuseppe era nato a Gerusalemme stessa: il padre era membro della prima delle 24 famiglie sacerdotali, la madre veniva dalla stirpe reale degli Asmonei. È particolarmente significativo il passaggio di un simile ebreo a fianco dei romani. Certamente non fu una diserzione per aver salva la vita: egli aveva resistito ben 47 giorni, con un vigore un ardimento che stupirono lo stesso Vespasiano e che furono tra i motivi per cui venne risparmiato. Inoltre quel suo esporsi a fianco dei romani costava la prigionia a tutti i suoi familiari, restati intrappolati dentro Gerusalemme.

Ciò che spinse Giuseppe nel campo nemico, non significò l’abbandono di una fede alla quale rimase sempre fedele, ma fu piuttosto la persuasione che era necessario fare un atto di sottomissione nei confronti degli assedianti: “Io credo che Dio abbia ormai abbandonato questo luogo sacro e sia passato dalla parte dei romani che voi ora combattete“ fu il suo grido.  Di lui possiamo dire che era “un vero israelita“ fedele alla legge, ma che mostra di aver compreso che si è di fronte ad un senso di rovina e di distruzione finale che è quello dei Vangeli stessi.

Tutto il racconto della guerra giudaica dato da Giuseppe Flavio si svolge sullo sfondo inquietante delle profezie che incombono su Israele ed in particolare su Gerusalemme; e, in modo particolare ancora, su quel tempio che Tito, a ogni costo, cercherà invece di salvare. I romani si adoperarono per preservare il tempio per una sorta di sgomento davanti a quel Dio misterioso e a quella immane costruzione in suo onore, dove persino i tetti erano tutti rivestiti in lamina d’oro e che non aveva pari in tutto il mondo conosciuto.

Lo stesso Tito, pacioso discendente di contadini del reatino e terrorizzato davanti al misterioso Dio di questi orientali, ad un certo punto per risparmiare un tempio straniero stava causando una strage tra i suoi uomini. Infatti-dopo che con sforzi e perdite immani i legionari erano giunti a ridosso dell’edificio, avendo occupato e diroccato la fortezza Antonia-il comandante si ostinava non solo a non dare l’ordine di incendiare il santuario, ma faceva lavorare le macchine d’assedio su elementi secondari della struttura, per causare all’edificio sacro il danno minore possibile. Finalmente, Tito si decise a dare ordine di incendiare le porte esterne dei cortili, rivestite di argento; i giudei si sentirono senza più forza nel coraggio e non riuscirono a muovere un dito per porre riparo e per spegnere l’incendio, restando impietriti a guardare.

Siamo giunti al giorno fatale, quello che per tutti i secoli sarà il lutto per l’ebreo che lo rievocherà quotidianamente tre volte e la cui ricorrenza annuale sarà preceduta da una decade di lutto e digiuno, velando di nero i rotoli della legge.

Quel 10 di Loos, quel 6 Agosto dell’anno 70 d.C. era lo stesso giorno in cui una volta il tempio era stato già incendiato da parte del  re dei babilonesi. Una coincidenza cronologica in cui ancora una volta Giuseppe Flavio scorge il dito di un Dio che fa impazzire coloro che vuol perdere:

“Le fiamme ebbero inizio e furono causate dai giudei. Infatti, ritiratosi Tito, i ribelli dopo un breve riposo, si scagliarono di nuovo contro i romani e infuriò uno scontro fra i difensori del santuario e i soldati intenti a spegnere il fuoco nel piazzale interno. Costoro (i legionari romani), volti in fuga i giudei, l’inseguirono fino al tempio e fu allora che un soldato, senza aspettare l’ordine e senza provare alcun timore nel compiere un atto così terribile, spinto da una forza soprannaturale, afferrò un tizzone ardente e, fattosi sollevare da un commilitone, lo scagliò dentro attraverso una finestra dorata che dava sulle stanze adiacenti al santuario sul lato settentrionale“ (storia giudaica)

Un cristiano non può leggere una simile espressione in un autore non cristiano e non provare emozione: la distruzione del tempio simbolo dell’antica alleanza, superata ormai da una nuova.

Ma anche la reazione dei superstiti di Gerusalemme dove Gesù era stato mandato a morte e sulla quale aveva pianto fu una reazione terribile: “a levarsi delle fiamme, i giudei proruppero in un grido terrificante contro quel tragico momento e, incuranti della vita e senza risparmio di forze, si precipitarono al soccorso, perché stava per andare distrutto quello che fino ad allora avevano cercato di salvare.“

Ma-Giuseppe lo sottolinea con dolore e insieme con rassegnazione-nulla si poteva fare contro il volere divino che sovrasta gli uomini e sembra usarli come strumenti inconsci della sua volontà. “Contro il volere di Cesare, il tempio fu distrutto dalle fiamme” è ancora il giudeo che parla.

Grideranno le pietre

Vicino alla discesa del monte degli ulivi, cioè nel luogo dal quale più imponente appariva l’enorme costruzione del tempio, con i suoi basamenti che, partendo dalla valle del Cedron, si innalzavano sino a 80 m, Gesù pronuncia: “Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre“ (Luca 19,40).

Alla sommità, a rendere ancora più grandiosa la visione, correva lunghissimo, con le sue colonne, il portico di Salomone. E dunque, le pietre che avrebbero gridato sono, incontestabilmente, quelle del tempio che, ancora intatto, sorgeva davanti a Gesù.

Subito dopo Gesù, nello stesso Vangelo, piange sulla sorte terribile che sovrasta Gerusalemme: “Distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata“ (Luca 19,44). Queste pietre sono circondate dall’enigma di profezie e di avvenimenti storici umanamente inspiegabili.

Molti oracoli stavano nelle scritture ebraiche e nelle tradizioni antiche: “la guerra dei giudei contro i romani fu la più grande non soltanto dei nostri tempi, ma forse di tutte quelle fra città e nazioni di cui ci sia giunta notizia“ ci fa riflettere sempre Giuseppe Flavio. Se qualcuno vedesse qui qualche esagerazione, dovrà però ammettere che di certo fu la più feroce, la più sanguinosa, per la fanatica determinazione dei ribelli e la conseguente reazione implacabile dei romani.

Per capire la portata di ciò detto non dobbiamo dimenticare che in tutta la guerra i prigionieri dei romani furono 97.000 (se si considera anche che spesso i superstiti si suicidavano in massa piuttosto che arrendersi). Se 97.000 è il numero dei prigionieri dell’intera campagna, durata anni, solo per l’assedio di Gerusalemme, lo storico da l’impressionante cifra di 1.100.000 morti. E poiché è consapevole che un simile numero può suscitare incredulità, riporta calcoli precisi, fatti dai sacerdoti, per accertare quante persone ci fossero in città ogni anno al momento delle feste pasquali. Dunque l’intera nazione era stata come chiusa in prigione dal destino.

Oggi nel mezzo di una guerra tra Israele e la Palestina dovremmo tutti riprendere e rileggere le pagine de “La guerra giudaica“.

Fuori dalle mura e dal vallo di circonvallazione eretto dagli assedianti viene a mancare la legna per un raggio vastissimo, a causa della costruzione di croci, dove chi tenta di fuggire viene appeso in vari modi e forme, secondo il capriccio crudele dei soldati. Chi cerca di scappare finisce in questo modo, anche i disertori che si arrendono sperando di salvarsi fanno in realtà una fine orribile, sventrati per cercare nelle viscere monete preziose che avessero inghiottite. Dentro le mura, non la concordia nella sventura, ma l’odio che contrappone i gruppi di difensori; la pestilenza; soprattutto, la terribile penuria di viveri che porterà la maggioranza della popolazione a morire di fame, magari dopo aver pagato una fortuna un pezzo di cuoio di calzari da masticare o un pugno di fieno marcito.

Fino all’episodio spaventoso, a quel profumo di arrosto da una casa, con il conseguente  accorrere degli zeloti per scoprirvi una donna di nome Maria di Elenazar, che aveva ucciso con le proprie mani il figlio lattante per mangiarselo. Quasi una esemplificazione tragica del lamento di Gesù: “guai alle madri che allatteranno in quel giorno“. Gli assediati, udito questo, “non vedevano l’ora di morire, stimando fortunato chi se ne era andato prima di vedere simili atrocità“. E quando la notizia del cannibalismo raggiunge gli accampamenti degli assedianti, “i più furono presi da un odio ancora più grande per i giudei“ e Tito “si protestò innocente di questa infamia davanti a Dio“, dandone la colpa ai soli giudei. Tutto attorno alla città molitura a fare da cornice al dramma, uno spaventoso pantano costituito dai cadaveri in decomposizione: da una torre sola gettarono 120.000 morti. E alla luce di questo quadro, che assume la sua verità di profezia, purtroppo realizzata, il pianto del Cristo su Gerusalemme. Gerusalemme ha avuto il peggior destino mai riservato ad una città; ma-ciò che più-a quel destino non poteva comunque sottrarsi.

Sembra che una mano misteriosa abbia deciso di far perire l’antico Israele e iniziare, con i superstiti, una nuova fase dell’ebraismo, ridotto a testimonianza dolente.

I sacerdoti sopravvissuti, arresisi, supplicarono tutti assieme il vincitore di risparmiare loro la vita. Ma, proprio in questo caso, quel Tito che si era mostrato clemente, nei confronti della distruzione del tempio, è ora inflessibile dando ordine di metterli tutti a morte.

È, dunque, la fine, anche fisica, del vecchio Israele il quale, infatti, da allora non avrà più né tempio né sacerdozio.  Anzi, neppure avrà più uomini di stirpe regale perché, come ci insegna Eusebio  di Cesarea, dopo la caduta di Gerusalemme l’imperatore Vespasiano ordinò di ricercare e uccidere tutti i discendenti della tribù di David, perché tra i giudei non rimanesse più nessuno di stirpe regale.

Alla luce di tutto ciò e di fronte al genocidio che sta avvenendo ora in Palestina può un cristiano non meditare su ciò che sembra confermare, con tale radicale tragicità, quanto la sua fede crede?

L’aspettazione che percorreva l’impero romano

Molti storici romani, ed è davvero singolare, ci informano dell’aspettazione che percorreva l’impero, dell’attenzione inspiegabile di tutti su quella piccola, disprezzata, remota provincia. Tacito: “Più grande, si diceva, sarebbe diventata la potenza dell’oriente e uomini usciti di Giudea avrebbero conquistato il mondo“.

Svetonio: “era annunciato come destino che, in quel tempo uomini usciti di Giudea avrebbero conquistato il mondo“.  Entrambi scrivono tra la fine del primo e l’inizio del II secolo, quando i primi cristiani non erano che una setta trascurabile e semi sconosciuta che seguivano un uomo “venuto dalla Giudea“ e che avrebbe finito davvero per conquistare Roma e, con essa, tutto il mondo antico.

Resta il fatto che, nella profezia, credettero incrollabilmente quei milioni di ebrei che proprio fidando nell’arrivo in quel tempo del Messia, come essi lo intendevano (“Il dominatore del mondo ”), osarono affrontare la più grande potenza militare conosciuta e preferirono la morte più atroce alla resa.

Così, la terribile guerra è davvero una testimonianza resa  involontariamente alla fede di coloro che in Gesù il Nazareno vedevano il Messia giunto, seppure in modo sommesso, a compiere l’attesa  e proprio nel momento annunciato dai profeti ebraici e presagito persino dagli ignari pagani.

Il Messia venne ma non fu riconosciuto dagli ebrei; una sorta, dunque, di accecamento. Il biblista Guido Cavalleri, che già abbiamo citato, sottolinea come il popolo d’Israele non guardò né prestò fede ai segni manifesti che preannunciavano l’imminente rovina. Quasi fossero stati frastornati dal tuono e accecati negli occhi e nella mente, non compresero gli ammonimenti di Dio.

Sempre Giuseppe Flavio dopo averci descritto il tempio in fiamme, ci fa un elenco impressionante di quei segni manifesti; elenco che, quale che sia il giudizio, accresce e completa l’atmosfera arcana, la sensazione di forza del destino che sembra presiedere a quella grande tribolazione.

Erano passati 2177 anni, stando ai calcoli di Giuseppe, dalla fondazione di Gerusalemme alla sua distruzione nell’estate del 70. Distruzione tale “che nessuno, vedendo quel luogo, avrebbe potuto pensare che lì, sino a poco prima, sorgesse una grande città“

Siamo nel 2023, e il monte del tempio è rimasto ancora fonte di grandi tensioni geopolitiche e religiose.

Gli ebrei abbracciano la gnosi che fornisce a questo popolo una spiegazione e una nuova speranza dopo la distruzione del tempio e di conseguenza la fine della religione ebraica e l’inizio del giudaismo.

Il nemico numero uno della chiesa cristiana cattolica è proprio la gnosi ma di questo ne parleremo prossimamente.

prof. ssa Paola Persichetti

Paola Persichetti, oltre ad essere Associazione Trilly APS  La Gente come Noi Terni e già leader del comitato spontaneo La Gente come Noi nella lotta contro l’imposizione di Green pass e Vaccini obbligatori, è Laureata in Lingue e Letterature Straniere, inglese, francese, lingua e Cultura ebraica, all’Università di Perugia con  110/110, bacio accademico e menzione d’onore.  Corso di storia e del Cristianesimo antico, università Perugia. Master universitario in fonti, storia, istituzioni e norme del Cristianesimo ed Ebraismo.

LA PICCOLA INDI STA PER MORIRE DI FAME E DI SETE. Per colpa di Giudici Aguzzini nel Regno Britannico delle Potenze Infernali

LA PICCOLA INDI STA PER MORIRE DI FAME E DI SETE. Per colpa di Giudici Aguzzini nel Regno Britannico delle Potenze Infernali

Indice dei contenuti

di prof. ssa Paola Persichetti

Tutti i link ai precedenti articoli di Gospa News sono stati aggiunti a posteriori

Hanno perseverato fino alla morte. Alla morte di una bambina  innocente di 8 mesi . Ieri, in Appello, è stato respinto  il ricorso della famiglia di Indi Gregory, la piccola anglo-italiana affetta da una rara patologia mitocondriale e fino ad oggi  in cura al Queen’s Medical Centre di Nottingham.

I giudici Peter Jackson, Eleanor King e Andrew Moylan, seguendo la linea di quanto deciso in primo grado dal collega Robert Peel, hanno infatti ordinato l’estubazione di Indi, che è prevista per oggi, sabato 11 novembre – come informa Christian Concern, l’associazione che sta assistendo legalmente i Gregory – in un hospice sul cui nome vige un obbligo di riservatezza.

Le parole dette al termine dell’udienza, con una formula dubitativa, dalla giudice King, facevano intendere come termine ultimo per l’estubazione quello del prossimo lunedì.

Ma appunto questa ambiguità è stata nel frattempo risolta, nell’accelerare  i tempi per il distacco dei supporti vitali, evento che potrebbe avvenire da un momento all’altro.

L’estubazione non dovrebbe comunque significare la morte immediata di Indi, come già chiarito nella sentenza di Peel in data 8 novembre 2023: «Il Trust cercherà di stabilizzarla dopo l’estubazione e valuterà il passo successivo, un processo che secondo loro potrebbe richiedere circa una settimana . Fin da quando, ieri pomeriggio, si è conclusa l’udienza, i legali della famiglia sono al lavoro per studiare un nuovo possibile ricorso. Intanto, nel tentativo di custodire la vita di Indi, continua il pressing del governo italiano su quello britannico.

Le richieste fatte in questa settimana dall’esecutivo del nostro Paese per cercare di salvare Indi sono andate di traverso ai giudici britannici che hanno valutato il caso. Secondo Jackson, King e Moylan, la richiesta italiana basata sulla Convenzione dell’Aja, richiesta su cui comunque non si è entrati nel merito durante l’udienza, è «totalmente mal concepita»  e «non nello spirito della Convenzione».

Anche riguardo al luogo dell’estubazione, la prima delle tre questioni affrontate nell’udienza di ieri, i giudici hanno respinto la richiesta dei genitori, Claire e Dean Gregory, che, pur rimanendo contrari all’idea di togliere il supporto vitale a Indi, chiedevano quantomeno di poterla estubare a casa, anziché nell’hospice, come infine è stato stabilito.

I giudici  hanno  concluso che non si debba concedere altro tempo, perché farla vivere ancora è contrario al suo «miglior interesse».

Durante l’udienza è emersa in modo evidente l’irritazione per il ricorso, con Jackson, su tutti, che ha mostrato  non il suo fastidio per l’intervento dell’Italia e per i tentativi, da parte dei Gregory, di neutralizzare le decisioni prese nelle corti del Regno Unito. Lo stesso giudice ha letto il giudizio finale con toni glaciali, lamentando i continui «ritardi» nell’estubazione che starebbero causando «angoscia» a Indi; e si è scagliato duramente contro l’approccio usato dai Gregory e dai loro legali durante il contenzioso, tacciandoli di «tattiche manipolatorie». Alla fine della lettura del giudizio, sia la giudice King che Moylan hanno dato il loro assenso al collega con un esplicito: «I agree» (Sono d’accordo).

Il padre di Indi ha quindi da un lato elogiato l’aiuto offerto dal governo italiano e dall’altro lamentato il comportamento disumano e crudele delle autorità del Regno Unito, che impediscono il trasferimento della bambina nel nostro Paese. « Non  rinunceremo a lottare per la possibilità di nostra figlia di vivere fino alla fine». Due semplici genitori, consapevoli che la vita umana è un dono da custodire, che lottano contro un sistema che va svelando sempre più i suoi tratti luciferini.

I Precedenti di Charlie Gard e Alfie Evans

Una vicenda che riporta alla mente altri due tragici episodi, che hanno riguardato due bambini inglesi nati con una malattia simile a quella di Indi: quello di Charlie Gard nel 2017 e quello di Alfie Evans nel 2018. In entrambi i casi l’Ospedale Bambin Gesù si offrì di accogliere i bambini (come per Indi), ma dopo un’intensa battaglia legale e mediatica, i giudici britannici decisero di impedire il loro trasferimento e di interrompere il supporto vitale. Charlie morì poco prima di compiere un anno, e Alfie a pochi giorni dal suo secondo compleanno.

In  Inghilterra si decide  di sopprimere vite perché ritenute non degne di essere vissute  mentre in Italia  si è pronti a ricevere Indi al Bambin Gesù per curarla donando la dignità di vivere che merita ogni essere umano. La cura è prendersi carico di un essere umano non solo con terapie mediche ma anche con attenzioni umane, idratazione, alimentazione, premure, interessi, farmaci in grado di mantenere in vita con dignità.

La cura è ciò che interessa di un uomo. Non è un caso che il principio che sta dietro alla decisione dei giudici  inglesi di sopprimere Indi ci sia il concetto del miglior interesse stabilito a priori.  La morte diventa così “l’unica cura possibile dentro il concetto del “migliore interesse“. Non ha senso curare quando il migliore interesse è quello di morire.

Istanza cinica e spietata dei medici inglesi

Perché questa istanza cinica e spietata dei medici inglesi che dovrebbero avere in cura la piccola?

Perché per lei non ci deve essere cura? Indi è il prodotto di una mentalità eutanasica, è un processo di cancellazione del malato che abbiamo visto anche durante la pandemia. Per il COVID non c’era una cura, quindi si doveva restare a casa con Tachipirina e vigile attesa. Ma la cura, quella vera, era il principio per il quale, in assenza di una specifica terapia, si poteva e si doveva intervenire con quelle cure mediche che avrebbero consentito all’organismo di combattere e sconfiggere il virus con successo. Molti medici hanno curato i pazienti malati di COVID usando l’arte medica e salvando così molte vite.

Ma oggi la scienza medica, diversa dall’arte medica, deve essere performante ed efficiente. Se non garantisce questi standard, allora è la scienza stessa che si incarica di condannare a morte un essere umano.  A nulla è valso il tentativo dell’Italia che ha  cercato la strada giuridica per strapparla alle fauci dell’aguzzino.         

Perché questa diversa risposta dei due paesi Inghilterra ed Italia?

La risposta la troviamo nel discorso di Ratisbona fatto da Papa Benedetto XVI Il 12 settembre del 2006 “ L’incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso. La visione di San Paolo, davanti al quale si erano chiuse le vie dell’Asia e che, in sogno, vide un macedone e sentire la sua supplica: “passa in macedonia e aiutaci!“ (Atti 16,6-10) questa visione può essere interpretata come una condensazione della necessità intrinseca di un avvicinamento  tra la fede biblica e l’interrogarsi greco .

Non è un caso che i medici facciano un giuramento chiamato “ giuramento di Ippocrate“. Ippocrate era un medico greco .

Ippocrate: il padre della medicina

Ippocrate viene considerato il Padre della Medicina: con il suo famoso giuramento fu il primo a regolamentare la professione medica

È molto importante ricordare gli ammonimenti del Papa Giovanni Paolo II che invitava tutti i medici ad essere fedeli al giuramento di Ippocrate esortando  al servizio consapevole del proprio dovere per gli uomini. Il 26 novembre 1994 menzionava nuovamente Ippocrate indicando il codice Vaticano in cui il giuramento di Ippocrate fu scritto in forma di croce, un simbolo di concezione cristiana della natura umana, della  santità ed anche del mistero di vita umana.

Roma punto di incontro tra Cristianesimo e mondo greco-romano

Nel profondo, vi si tratta dell’incontro tra fede e ragione, tra autentico Illuminismo e religione. Considerato questo incontro, non è sorprendente che il cristianesimo, nonostante la sua origine e qualche suo sviluppo importante nell’oriente, abbia infine trovato la sua impronta storicamente decisiva a Roma. Qui, nella cultura e civiltà del Mediterraneo nasce una costruzione antropologica ampia e complessa che si afferma per oltre un millennio, contribuendo alla nascita di una civiltà che ha fatto grande l’Occidente.

Tutto questo subirà una brusca interruzione nel 1517 quando un monaco agostiniano Martin Lutero (1483-1546), teologo tedesco, affigge le sue 95 tesi sul portone della chiesa del castello di Wittenberg.

Era nata la modernità  e con essa la fine della metafisica e l’inizio del materialismo. Con l’introduzione della fisica, cioè lo studio della materia e delle leggi che la regolano. Da lì nacque l’ideologia britannica chiamata “empirismo, con la sua incapacità di cogliere la realtà metafisica; o liberalismo se si vuole evidenziare l’emancipazione dell’uomo dalle leggi morali e religiose.

Ovviamente, l’eliminazione delle leggi morali religiose comporta l’abbandono dei deboli all’arbitrio dei forti; e la Royal Society riuscì a giustificare anche questo. Thomas Hobbes, segretario di Bacone, affermò “che lo stato di natura“ dell’uomo è “Bellum omnium contra omnes “, La guerra di tutto contro tutti. Dunque esistono persone che rifiutano il logos (per i cristiani il logos è Cristo); hanno addirittura creato una filosofia per dare ragione di questo rifiuto. Questa  filosofia prende il nome di Sovversione  o rivoluzione .

La sovversione è nata col peccato di Adamo, ma, è a partire dalla cristianità, che essa ha  conosciuto varie tappe come l’Umanesimo e il Rinascimento (1400-1500) che hanno cercato di rimpiazzare il Vangelo con la cabala o l’esoterismo ebraico a livello dell’Elite intellettuali o accademie culturali; poi è venuto il protestantesimo che ha immesso il soggettivismo e il relativismo nella religione rendendola una pura esperienza soggettiva e sentimentale, essenzialmente anzi gerarchica e sovvertitrice dell’ordine  voluto da Gesù quando ha fondato la sua chiesa sul primato di Pietro.

La prima forma di pensiero rivoluzionario è la gnosi.

Ambienti ebraici e la gnosi

La gnosi nacque in ambienti ebraici mediante la confluenza tra la filosofia platonica e tradizioni caldee, egiziane e babilonesi incontrate dagli ebrei durante i loro storici esili. Secondo l’accademico Robert Grant, la gnosi fornì a quel popolo una  spiegazione e una nuova speranza dopo la distruzione del tempio e, di conseguenza la fine della religione ebraica: “I servizi del tempio erano finiti; che dovevano fare i sacerdoti e leviti? Col tempio distrutto, come potevano i farisei continuare ad ubbidire alla legge di Mosé? Con il fallimento della visione apocalittica, come poteva questa essere conservata dagli esseni o dagli zeloti? La legge e i profeti rimanevano, ma come potevano ormai essere interpretati?

Ecco la soluzione: gli ebrei erano stati ingannati da un Dio malvagio, un demiurgo platonico. La Bibbia celava un linguaggio nascosto che solo pochi “illuminati“ potevano conoscere attraverso una scienza esoterica (la gnosi appunto). La Bibbia non doveva quindi essere considerata in senso letterale. La cabala o scienza numerologica poteva ad esempio, svelare il significato segreto dei numeri scritti nella Bibbia. Gli illuminati dovevano infrangere le leggi imposte dal cattivo demiurgo e non peccavano anzi diventavano liberi trasformando in male ciò che è bene; e in  bene ciò che è male.

Regno Britannico e rifiuto del Logos

Nel   XVI secolo il rifiuto del  logos  divenne la dottrina ufficiale del regno Britannico. Per giustificare il rifiuto del logos e delle sue conseguenze (le leggi morali e religiose) si affermò che la ragione era incapace di cogliere le verità metafisiche e veniva limitata al dato sensibile.

L’ideologia britannica ebbe pesantissime influenze sulla psicologia e portò allo sviluppo della psicometria.  La psicologia è ridotta così allo studio della percezione e dei meccanismi biologici come i riflessi: tutto accade punto e basta. Si entra in un universo  impregnato della psicologia degli inferi. Il mondo tedesco-anglosassone ed il mondo ebraico si incontrano all’inferno: entrambe rifiutano il Logos..

Sigmund Freud  (ebreo) nel 1887 aveva iniziato una relazione (probabilmente dai tratti omosessuali) con il medico tedesco di origine ebraica Fliess. Costui aveva cominciato a utilizzare la numerologia cabalistica per interpretare i disturbi somatici dei suoi pazienti e ne aveva messo al corrente Freud. L’austriaco, probabilmente temendo per la sua carriera, aveva abbandonato l’ebraismo cambiando persino il proprio nome: a 22 anni aveva abbandonato l’ebraico Sigismund per  il tedesco Sigmund.

Tuttavia l’entusiasmo di Fliess per  la sapienza esoterica ebraica e il suo utilizzo a fini clinici colpì favorevolmente Freud. I sogni e la loro interpretazione sono uno dei cardini dell’esoterismo ebraico. Il primo trattato del Talmud babilonese, chiamato Berakhòt (Benedizioni), riguarda proprio l’interpretazione dei sogni. Il 23 settembre del 1897 Freud entrò nella massoneria ebraica proprio presso la loggia di Vienna dove espose, per la prima volta, i contenuti dell’interpretazione dei sogni che furono accolti con una ovazione.

L’ambizione, l’incesto e il pensiero di Nietzsche sono i tre pilastri su  cui Freud propone e basa un‘antropologia opposta rispetto a quella classica e perfettamente confacente al pensiero rivoluzionario. L’uomo freudiano non è guidato dalla ragione; piuttosto dalle passioni, che ne costituiscono il nucleo originario e autentico. È in sostanza il prototipo dell’uomo moderno, dell’uomo del XXI secolo. La psicologia dell’uomo moderno è la psicologia degli inferi che lo vuole in balia delle passioni “ come una canna sbattuta dal vento”. Sappiamo  anche quali sono le passioni che guidano l’uomo. Per Nietzsche l’uomo pre-greco, pre-cristiano, è “la splendida bestia bionda che si aggira avida di preda e di vittoria“, cioè stupro e omicidio.

Se non posso muovere le potenze del cielo solleverò quelle dell’inferno (Eneide capitolo 7 versetto 312)

Chiesa Anglicana, il dovere di morire e le  potenze dell’inferno

Per la chiesa anglicana la decisione “letale del medico“ deve essere frutto di manifesta riluttanza, ma non si sottrae all’argomento dei costi economici: “il principio di giustizia implica che il costo delle cure e i costi di lungo termine per la sanità e la pubblica istruzione debbono essere valutati in termini di opportunità per il servizio sanitario di usare le risorse per salvare altre vite“,

A dirlo È un Vescovo Tom Buckler che a Londra, nel 2006, reggeva l’importante cattedrale di Southwark.

Nel Regno Unito ci sono precise linee-guida per i medici che devono interfacciarsi con casi di bambini con gravi handicap. Dobbiamo, noi cristiani cattolici, gridare contro il rischio di trasformare la natura fondamentale della professione medica in una forma di ingegneria sociale il cui scopo è di massimizzare i benefici per la società e decidere quali vite hanno valore e quali no. Ma  in un mondo dove le persone hanno rifiutato il logos, cioè Cristo, i forti potranno decidere il destino dei deboli finendo per rendere gli esseri umani strumenti nelle Mani di altri esseri umani. Il diritto di morire cede inevitabilmente il passo al dovere di morire.

I medici e i giudici Inglesi non potendo muovere le potenze del cielo hanno sollevato quelle dell’inferno.

prof. ssa Paola Persichetti

Paola Persichetti, oltre ad essere leader del comitato spontaneo La Gente come Noi nella lotta contro l’imposizione di Green pass e Vaccini obbligatori, è Laureata in Lingue e Letterature Straniere, inglese, francese, lingua e Cultura ebraica, all’Università di Perugia con  110/110, bacio accademico e menzione d’onore.  Corso di storia e del Cristianesimo antico, università Perugia. Master universitario in fonti, storia, istituzioni e norme del Cristianesimo ed Ebraismo.

DITTATURE DEL LIBERALISMO SENZA DIO. Legami tra Opposti: Capitalismo, Comunismo, Massoneria Sionista e ’68 Clericale in Vaticano

Paola Persichetti

DITTATURE DEL LIBERALISMO SENZA DIO. Legami tra Opposti: Capitalismo, Comunismo, Massoneria Sionista e ’68 Clericale in Vaticano

Indice dei contenuti

Già sul finire della seconda guerra mondiale gli USA si apprestavano a conquistare definitivamente l’Europa e poi il mondo intero. Tuttavia, vi era ancora un “impero“ che nonostante tutto non era crollato nel 1945: la chiesa romana e che andava inglobato nel nuovo ordine mondiale.

In America, soprattutto Roosevelt e il magnate dell’editoria Harry Luce (1898-1967) avevano capito che persino nella loro patria (gli USA) i cattolici erano organizzati piramidalmente con una specifica gerarchia (Parroco e vescovo, che rispondevano al Papa di Roma), così come nel medioevo esisteva una struttura intimamente gerarchica. La storia moderna invece ripudia la gerarchia su tutti i piani.

Il liberalismo americanista entra nell’ambiente ecclesiale romano

Il 6 gennaio del 1941 il presidente degli Stati Uniti d’America Franklin Delano Roosevelt (1882-1945) pronunciò il celebre discorso detto delle quattro libertà. Con questo discorso gli Stati Uniti si arrogavano il compito di esportare l’american Way of life, il modello americano, ovunque nel mondo. Le quattro libertà, infatti,sono:

  • La libertà di parola e di espressione
  • La libertà religiosa
  • La libertà del bisogno, cioè il benessere materiale
  • La libertà dalla paura dei tiranni e delle guerre (questo punto aprirà la strada alla costituzione delle Nazioni Unite).

Questo discorso ebbe un amplissimo risalto, ma fu ulteriormente amplificato per opera di Henry  Luce , magnate dell’editoria considerato uno degli uomini più influenti degli Stati Uniti. Lo slogan della politica di Roosevelt era “tutti noi siamo chiamati… Per creare il primo grande secolo americano“. Qualche mese dopo, gli Stati Uniti entravano nella seconda guerra mondiale.

Tuttavia, inaspettatamente il progetto di Roosevelt e  Luce  incontra un ostacolo proprio tra le mura di casa: i cattolici statunitensi.  Costoro erano organizzati in enclave nazionali (italiane, polacche, irlandesi, tedeschi…) Perfettamente organizzate e con una gerarchia propria al vertice della quale c’era il vescovo o il parroco.

Erano uniti, culturalmente diversi dalla maggioranza dei bianchi anglosassoni protestanti (WASP) e  non ne condividevano lo stile di vita; ma soprattutto erano prolifici. L’incubo degli anglosassoni era che, mentre loro conquistavano il mondo i cattolici avrebbero conquistato gli Stati Uniti. Il metodista Paul Blanshard (1892-1980) contribuì, con pubblicazioni e conferenze, a dare l’allarme anticattolico; divenne opinione comune che non si potesse essere contemporaneamente cattolici e buoni cittadini statunitensi.

Oltre all’attacco diretto di Blanchard, l’Elite statunitense mise in atto altre strategie per superare l’ostacolo rappresentato dalla chiesa cattolica. Occorreva correre ai ripari… Bisognava cambiare la mentalità dei cattolici e cercare di renderli “sterili“ fisicamente e dottrinalmente modificando la morale matrimoniale, tramite l’introduzione della contraccezione, che avrebbe, così, anche minato la fortezza dogmatica e dottrinale dei cattolici, impregnandoli di americanismo o modernismo ascetico,”sterilizzandoli”.

Tra il 1963 ed il 1967, presso l’Università cattolica Notre dame di South Bend In indiana- la  più importante Università cattolica degli Stati Uniti-, l’associazione abortista Planned Parenthood tenne una serie di seminari segreti sul controllo della popolazione, sull’aborto e sulla contraccezione. I  destinatari dell’iniziativa erano alcuni docenti dell’università che, a cascata, avrebbero in seguito diffuso i contenuti delle conferenze sugli studenti. In cambio, l’università avrebbe ricevuto  100.000 $ dalla Ford Foundation e, addirittura, 550.000 $ dalla Rockfeller Foundation.

Inoltre, grazie a Padre Hesburgh (1917-2015), il rettore dell’Università Notre dame, John Rockfeller ottenne (il 15 luglio 1965) un’udienza privata con Paolo VI per illustrargli i vantaggi dell’applicazione della spirale intrauterina. In cambio dei suoi servigi padre Hesburg venne nominato presidente della Rockfeller Foundation.

Ma non è tutto qui, gli USA avrebbero voluto impadronirsi della struttura della chiesa romana cattolica, così efficientemente funzionante, per impiantare rapidamente ed efficacemente un nuovo ordine mondiale nell’universo intero. L’intelligence americana aveva notato che i cattolici erano compatti e obbedienti; diffusi in tutto l’orbe ben strutturati in parrocchie e diocesi sotto la direzione del Papa, quindi fortemente gerarchizzati.

Insomma, la chiesa era  l’arma migliore per esportare in tutto l’universo l’ideologia americana, ma occorreva infiltrarla, occuparla, prenderne la guida e neutralizzarla.  Così nacque il progetto di utilizzare la chiesa cattolica per combattere il comunismo, sfruttandone l’unità, l’obbedienza e l’ubiquità; e utilizzare il comunismo per cambiare l’atteggiamento della chiesa verso gli USA, con lo spauracchio della lotta del patto Atlantico contro l’impero sovietico.

Lo spettro della paura del comunismo avrebbe spinto i cattolici europei a gettarsi in braccio al liberalismo Atlantico; proprio come oggi la paura del covid 19 spinge gli uomini all’inoculazione del vaccino sperimentale i cui effetti avversi (non ancora totalmente conosciuti a lungo termine) iniziano già a farsi sentire.

Il Doctrinal Warfare Program della CIA

L’intelligence statunitense affidò al generale C.D. Jackson (1902-1964) della CIA (è uno dei principali artefici del Bildelberg group) Il compito di infiltrare la chiesa e di renderla aperta alla mentalità americana. Jackson fu tra i principali artefici di radio free Europe, ha  lavorato presso le Nazioni Unite, come sceneggiatore a Hollywood, come direttore della casa bianca ed è stato editore della rivista “life“ di proprietà di Henry  Luce.

Il nome dell’operazione fu Doctrinal Warfare Program.

Tuttavia, occorreva edulcorare alcuni principi cattolici eccessivamente dogmatici, i quali non avrebbero reso possibile un proficuo “dialogo” tra Washington e Roma.

Innanzitutto bisognava smussare il dogma “fuori della chiesa non c’è salvezza“, troppo esclusivista per il pluralismo inclusivista liberal-americano, che faceva un tutt’uno con l’indifferentismo liberale di stampo massonico.

Il secondo punto da ammorbidire riguardava la dottrina dei rapporti tra Stato e chiesa, che (per il cattolicesimo) debbono collaborare nell’ordine della gerarchia dei fini, ossia lo Stato, che è ordinato al benessere comune temporale deve essere subordinato alla chiesa, deputata al benessere spirituale; come il corpo è subordinato all’anima, la luna  al sole.

Secondo il modello americano, invece, la chiesa non aveva assolutamente alcun diritto di intromettersi nelle questioni politiche e nemmeno di influenzare la vita dei cittadini con la propria morale. L’America, paladina del liberalismo della massoneria e del giudaismo talmudico, riteneva che ci dovesse essere totale separazione tra lo Stato e la chiesa e che questa non potesse presentarsi come l’unica arca di salvezza.

Tuttavia, per portare a termine quest’operazione non bastava un “Agente“ esterno (la CIA), ma occorreva un uomo all’interno della chiesa cattolica;  vista l’importanza che i laici attribuivano ai sacerdoti e gli ecclesiastici ai teologi, il candidato doveva avere entrambi questi attributi. Quest’uomo enne individuato nel teologo gesuita John Courtney Murray.

Il 26 aprile 1948 la National Conference of Christians and Jews  organizzò a Baltimora una conferenza segreta su “Stato e chiesa”. Erano  presenti ebrei, protestanti e un solo cattolico: padre Murray.

Lo scopo della conferenza era quello di arrivare a far cambiare rotta all’insegnamento della chiesa su questo tema. Da quel momento, Murray divenne noto per le sue posizioni a favore della separazione tra Stato e chiesa, pure essendo questa una teoria condannata dalla chiesa.

Neanche a dirlo, da quel momento i suoi interventi vennero ospitati e diffusi dalle riviste di Luce, in particolare dalla più autorevole, “Time“. Luce, tuttavia, non si limitò a ruolo di editore di Murray:  lo  ospitò per anni in una delle sue abitazioni, gli regalò un’automobile e lo stipendiò lautamente. Inoltre gli chiese di diventare il direttore spirituale della sua seconda moglie Claire (1903-1987), già membro del congresso dal 1942, che si era convertita al cattolicesimo (nella sua variante americanista) nel 1946.

Molto probabilmente, i rapporti tra padre Murray e Claire furono più intimi e romantici rispetto alla classica direzione spirituale. Tra  le altre cose, Claire iniziò Padre Murray all’uso  di LSD.

Dal 1953 al 1956, Claire Luce fu ambasciatrice degli Stati Uniti in Italia, con delega ai rapporti con il Vaticano.

Nel 1955 il Santo Uffizio intimò al Murray di non scrivere più sul tema dei rapporti tra Stato e Chiesa nel senso della separazione totale tra loro; ma invano, ormai egli era più americanista che romano e lavorava alacremente per la CIA alla elaborazione della dottrina che sarebbe stata “canonizzata“ anche a Roma con la dichiarazione Dignitates humanae personae del 7 dicembre 1965.

Tuttavia, nonostante le intenzioni del Santo Uffizio, nel 1962 Padre Murray venne a Roma per partecipare come perito del cardinal Spellman ai lavori del concilio Vaticano II, E specificatamente per far passare de facto nell’ambiente ecclesiale la nuova teoria della “libertà religiosa“ come avverrà con il Decreto Dignitatis humanae personae (7 dicembre 1965).

Il Liberalismo Talmudico-Massonico s’infiltra nell’ambiente ecclesiale

Non si può capire ciò che è successo al concilio senza studiare il ruolo giocato in esso dai servizi segreti soprattutto americani e israeliani molto più che sovietici.

Roncalli, bea e Jules Isaac: il Liberalismo Talmudico s’infiltra nell’ambiente ecclesiale

Ora, già dal 1948 la CIA (non senza la National Conference of Christians and Jews) si occupava del concetto di “libertà religiosa“ da far accettare all’ambiente ecclesiale romano; nel 1960 il Benè Berith (B’nai B’rith),  ossia  la massoneria ebraica (non senza il Mossad), fece gli ultimi passi per addivenire alla stesura Dignitatis Humanae Personae (7 dicembre 1965) sulla “libertà religiosa“ e a quella sui rapporti tra cristianesimo e giudaismo che si chiamerà Nostra  aetate (28 ottobre 1965). Vediamo come……

I personaggi più rappresentativi che lavorarono alla stesura di questa dichiarazione furono Giovanni XXIII, il cardinal Bea e  Jules Isaac.

L’altro artefice di nostra aetate fu  il cardinale Agostino Bea, che volle  incontrare – subito dopo aver ricevuto da Roncalli l’incarico di  arrivare ad  un documento “revisionista” sui rapporti giudaico-cristiani – Nahuman Goldman (Presidente del Congresso  Mondiale Ebraico, nonché ideatore del Processo di Norimberga nel 1946 e dal 1956 presidente dell’Associazione sionista) a Roma il 26 ottobre 1960.

Bea chiese a Goldman, da parte di Roncalli,  una bozza per il futuro documento del Concilio sui rapporti cogli Ebrei  e sulla libertà religiosa (“Nostra aetate” e “Dignitatis humanae personae”).

Il 27  febbraio 1962 il memorandum fu presentato a Bea da Goldman e Label Katz  (anche lui membro del Benè Berith), a nome della Conferenza Mondiale delle Organizzazioni Ebraiche. Ebbene, questa bozza ispirata dalla Massoneria ebraica (B.B.) e dal Congresso Mondiale Ebraico, ha prodotto Dignitatis humanae e Nostra aetate.

Lo stesso Bea, sin dal 1961, incontrava spesso, a Roma, il rabbino  Abraham Yoshua Heschel, professore al “Seminario Teologico Ebraico” statunitense. Egli fu il padre spirituale dei “teo/conservatori”  cristianisti dell’amministrazione Bush jr., e «come collega scientifico di Bea… esercitò un notevole influsso sulla elaborazione di “Nostra aetate”».

Nel 1986 Jean Madiran ha svelato l’accordo segreto di Bea/Roncalli con i due dirigenti Ebrei (Isaac/Goldman), citando due articoli di Lazare  Landau, sul Quindicinale ebraico/francese “Tribune Juive” (n. 903, gennaio 1986 e n. 1001, dicembre 1987).

Landau scrive: «Nell’inverno del 1962, i dirigenti Ebrei ricevevano in  segreto, nel sottosuolo della sinagoga di Strasburgo, un inviato del Papa […] il padre domenicano Yves Congar, incaricato da Bea e Roncalli di chiederci ciò che ci aspettavamo dalla Chiesa cattolica, alla vigilia del Concilio […] la nostra completa riabilitazione, fu la  risposta […]. In un sottosuolo segreto della sinagoga di Strasburgo, la dottrina della Chiesa aveva conosciuto realmente una mutazione sostanziale».

Uno spauracchio deleterio:  o liberisti o comunisti, tertium non datur?

Courtney Murray meritò la copertina del Time. Infine, uno dei cavalli di battaglia dei teocon per perorare la causa del Liberalismo è la contrapposizione radicale tra il Liberismo e il Comunismo. Per cui il dilemma sarebbe: “O comunisti o liberisti, tertium non datur!”; insomma: “Chi non si vaccina con il siero del Liberalismo contro il virus del Comunismo, muore!”.

Il paladino di questa posizione è stato un allievo del Murray, Michael  Novak, che sotto il ricatto della paura del Comunismo, ha fortemente spinto non solo l’Europa ma anche l’ambiente ecclesiale verso l’Atlantismo e il Sionismo.

Il Liberalismo Politico della Rivoluzione Bolscevica

La dottrina cattolica, invece, insegna che il Socialcomunismo è un “effetto collaterale” del Liberalismo filosofico/politico e della sua versione economica (Liberismo).

Infatti, il Socialismo spinge alle conclusioni estreme e radicali ciò che è contenuto potenzialmente, anche se in maniera meno accesa quanto al modo, nel Liberalismo; insomma, tra di loro vi sono le medesime differenze che vi erano tra Rivoluzione britannica e francese, tra Massoneria di destra e di sinistra.

Marchesini Roberto  (Liberalismo e Cattolicesimo) cita – per provare la sostanziale identità (nella accidentale diversità) tra Liberalismo e Comunismo – un interessante libro di Ettore Bernabei (L’Italia del “miracolo” e del futuro, Siena, Cantagalli, 2012), secondo cui gli Usa avrebbero voluto favorire il Marxismo/leninismo per impedire alla Russia, che possedeva le materie prime, di diventare – da Paese agricolo e medievale – una potenza  industriale capace di competere con il super/capitalismo atlantico e occidentale, mantenendo le sue radici cristiane, le quali invece furono cancellate dal Bolscevismo.

Divenendo comunista, la Russia avrebbe perso molte delle sue potenzialità di arricchirsi industrialmente e di competere con gli Usa.

Alcuni esempi tratti dalla storia della Rivoluzione bolscevica del 1917 sono abbastanza significativi.

Leon Trotskij, ad esempio, sbarcò con la famiglia a New York il 13 gennaio del 1917, ampiamente foraggiato dal super/capitalismo statunitense. Il 27 marzo del 1917 lasciò l’America diretto in Norvegia, su una nave piena di rivoluzionari comunisti, ma venne intercettato dalla marina britannica ad Halifax e fu arrestato come spia tedesca. Qualcuno telegrafò in sua difesa al Presidente Usa (Woodrow Wilson) che fece arrivare a Trotskij e “compagni” regolari passaporti statunitensi per tornare in Russia (a fare la Rivoluzione). Trotskij arrivò in Russia il 17 maggio 1917.

Inoltre la Federal Reserve Bank di New York finanziò i bolscevichi nell’agosto del 1917, mentre nel maggio del 1918 venne fondata – con lo scopo di poter commerciare liberamente con la neonata Urss – la American League to Aid and Cooperate with Russia. Infine, il più grande ente finanziario americano Kuhn Loeband Company partecipò al finanziamento del primo piano quinquennale ideato e realizzato da Stalin tra il 1928 e il 1933.

Perciò il super/capitalismo liberista statunitense fece tutto il possibile per aiutare il Comunismo sovietico a non morire di fame e a portare avanti la Rivoluzione bolscevica.

Ciò non significa che i banchieri statunitensi fossero comunisti, ma solo che la loro ideologia era il mercato, il profitto e il guadagno, insomma il super/liberismo, il quale era dispostissimo a servirsi del Comunismo per arricchirsi maggiormente. 

Essi, come avevano fatto i Rothschild nel 1800 finanziando sia Napoleone sia Wellington, aiutavano economicamente sia i bolscevichi sia i “bianchi” rimasti fedeli allo Zar, guadagnando sia con gli uni sia con gli altri.

Tuttavia, in questo campo, non si può considerare unicamente il fattore dello sfruttamento da parte della finanza americana del Bolscevismo sovietico per mantenere la Russia in una posizione di dipendenza economica nei propri confronti; invece, occorre pure studiare il ruolo giocato dal risentimento della finanza ebraica contro lo Zarismo per la sua politica marcatamente antigiudaica (A. Solgenitsin, Due secoli assieme, Napoli, Controcorrente, 2007, 2° vol.).

Tuttavia, è innegabile che uno dei motivi primari che muovevano gli Usa nei confronti della Russia fosse proprio quello di togliere di mezzo un pericoloso concorrente. Infatti, sotto i Soviet la Russia non era in grado neppure di poter pensare di avvicinarsi all’America dal punto di vista economico/commerciale.

Tutto questo prova che la Rivoluzione comunista e l’alta finanza liberista non solo non sono contrapposte, ma sono in un rapporto di cooperazione per lo stabilimento di un Nuovo Ordine Mondiale, che possa controllare il mercato mondiale e anche la politica dell’universo orbe, in cui il mondo sovietico potrebbe fornire mano d’opera a bassissimo prezzo al mondo occidentale e liberale, per di più senza diritto di sciopero.

Insomma, conclude Marchesini: “Il Comunismo sovietico in Russia è stato tutt’altro che un nemico per il capitalismo occidentale” .

Lo testimonia un uomo simbolo di questo momento epocale del capitalismo: Armand Hammer (1898-1990). Il padre di Hammer, ebreo  emigrato da Odessa, fondatore del partito comunista americano, fu tra coloro che accolsero e finanziarono Trockij  durante  il suo soggiorno a New York.  Nel 1921, quando negli Urali scoppiò una terribile carestia che provocò milioni di morti di fame, Hammer  organizzò il trasporto di grano statunitense (spesso avariato); così cominciò una incredibile carriera come imprenditore tra gli Stati Uniti e la Russia. Inoltre aprì nella Russia bolscevica fabbriche di matite, penne e fertilizzanti chimici; e ottenne fantastici contratti per lo sfruttamento di gas e petrolio russo.

Negli anni, Hammer raccolse  una incredibile collezione d’arte appartenuta ai Romanov; alla sua morte era uno degli uomini più ricchi del mondo grazie alle ricchezze russe.

La Fabian Society e la London School of Economics

Un altro indizio di questa complementarità nella diversità tra Comunismo e Liberismo è il fatto che la principale istituzione del Socialismo mondiale la Fabian Society e la maggiore Istituzione del Liberismo, la London School of Economics, non hanno lottato tra di loro ma si sono correlate…, vediamo come.

La Fabian Society fu fondata nel 1884, essa si proponeva di raggiungere i suoi scopi in maniera graduale ed è per questo che si chiama Fabian da Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore, colui che lottò contro Annibale temporeggiando ed evitando lo scontro frontale.

Analogamente la Fabian Society si proponeva di raggiungere i suoi scopi  iper/liberisti senza scosse violente, senza lotte frontali, ma gradualmente e dolcemente. Essi erano e sono ancora:

1°) l’eliminazione delle Nazioni e delle Patrie;

2°) la loro sostituzione con un Governo Unico Mondiale, guidato da una élite di ultra/plutocrati che governano su una massa di ultra/poveri;

3°) il controllo poliziesco sulla  popolazione mondiale tramite la pratica sanitaria ed eugenetica;

4°) l’abolizione della vera religione tramite la cancellazione del culto pubblico reso all’unico Mediatore e Redentore del genere umano, ossia il Sacrificio della Messa di Tradizione apostolica;

5°) l’abolizione della piccola e media proprietà e impresa privata a pro del latifondo e della grande industria.

Ecco perché lo stemma primitivo della Fabian Society era un lupo travestito da pecora, ossia il turbo/capitalismo che si nasconde sotto sembianze di agnello per scannare i popoli e succhiare il loro sangue. 

Ma non è tutto, anzi qui viene il bello. Infatti la socialistissima   Fabian Society nel 1895 dette nascita alla London School of Economics and Political Science: il tempio del super/liberismo mondiale e mondialista.

Mi sembra, perciò, molto difficile negare che vi sia stata una certa simbiosi tra Socialismo e Liberismo per la futura dominazione universale del mondo intero da parte di una piccola élite; insomma, Liberismo e Socialismo non solo non sono contrapposti, ma sono due facce della stessa medaglia, due rami dello stesso albero e due tentacoli della medesima piovra: un materialismo di “destra” e per  ricchi e un materialismo di “sinistra” e per poveri:” cospirazione aperta” di H.G. Wells.

Unione degli opposti

A coloro che sostengono l’opposizione tra socialismo e il liberismo, va ricordata una cosa.  I  principi di identità (A è A è non può essere non-A) e non contraddizione (è impossibile che una cosa sia e non sia allo stesso tempo), che costituiscono le basi della logica aristotelica e tomista , non  valgono per chi rifiuta la filosofia di Aristotele e Tommaso. Abbiamo diversi esempi di questa contemporanea presenza di un concetto e del suo opposto:

  • Gli gnostici e tutti i movimenti religiosi da essi derivati (necessità di infrangere ogni regola morale e religiosa per diventare santi e puri)
  • Alchimisti rinascimentali (incesto alchemico, unione degli opposti)
  • Dialettica e hegeliana per la quale la tesi produce il suo contrario (l’antitesi) e, infine, si fonde con essa (la sintesi).
  • Romanzo 1984 di Orwell, dove il SocIng impone il “bipensiero”, ossia la possibilità di sostenere un’idea e il suo opposto: “la guerra è pace“, la libertà è schiavitù“, “l’ignoranza è forza“.

Tutti questi esempi, insomma, per dire che il socialismo sovietico come progetto occidentale è più che ammissibile.

La Messa Beat e il Sessantotto Clericale

Emerge chiaramente che  c’è stata una progressiva e intenzionale infiltrazione dell’ideologia Whig all’interno della mentalità e del corpus dottrinale cattolici.  Abbiamo visto che si tratta di un progetto che parte da molto lontano (dal 1945) .

Questo progetto ha avuto il suo culmine durante il concilio Vaticano II, con l’American proposition di padre Murray e  l’avvicinamento a Paolo VI da parte di John Rockfeller.

Questo tentativo di infiltrazione non si è fermato lì. C’è stato un insistente corteggiamento dei servizi segreti presso il Vaticano perché quest’ultimo appoggiasse le guerre del nuovo millennio (espresso.Repubblica-attualità-cronaca-2011 04 22 news.).

Sappiamo del contributo del filosofo liberale Rocco Buttiglione alla stesura dell’enciclica Centesimus annus, salutata  oltre oceano come una svolta cattolica nei confronti del capitalismo; è noto l’avvicinamento di un filosofo liberale, Marcello Pera (1943-vivente), allievo di Popper, a Benedetto XVI.

Come non pensare al cosiddetto “68 cattolico“, che ha anticipato il 68 propriamente detto e ha avuto come momento topico la “messa dei giovani“ o “messa beat”,  celebrata  il 27 aprile 1966?

Autore delle musiche fu Marcello Gionbini (1928-2003), autore di colonne sonore di western all’italiana, il quale ebbe l’idea di scrivere in collaborazione con il paroliere Giuseppe Scoponi (1925 – 2017), delle canzonette a sfondo vagamente “religioso”, con ritmi beat (cfr. M. Scaringi, La Messa dei giovani di Marcello Giombini all’indomani della Riforma liturgica, Roma, Ufficio Liturgico Nazionale, 1996; T. Tarli, Le messe beat, Roma, Castelvecchi, II ed. 2007; F. Marchignoli, Pop italiano d’ispirazione cristiana, Villa Verrucchio, La Pieve Poligrafica, 2008).

Nel 1965 un complessino yé-yé ascolano “Gli Amici” incise un disco di canzoni “sacre” che avrebbero iniziato ad animare le messe beat ancor prima che venisse promulgata la Nuova Messa Montiniana. Sùbito dopo salì alla ribalta il complesso sardo de “I Barrittas”.

Questi  precursori della Nuova Messa Montiniana, furono sùbito elogiati dal Generale dei Gesuiti di allora, padre Pedro Arrupe (1907 – 1991). Il gesuita Arrupe fu affiancato dal padre domenicano Gabriele Sinaldi della Università “Pro Deo”, consigliere di Giuseppe Scoponi, che incoraggiò Marcello Giombini a comporre la cosiddetta “Messa dei giovani”, ossia la quasi ufficializzazione della Messa beat in attesa della promulgazione del Novus Ordo Missae.

Questa “Messa beat ufficiosa” e non ancora ufficiale fu eseguita (più che celebrata) la prima volta nella chiesa di San Filippo Neri alla Vallicella, il 27 aprile del 1966, alla presenza di migliaia di persona, della TV e di molti giornalisti.

La Messa beat non deve essere considerata una scappatella effimera di qualche giovane o prete scapestrato, ma ha segnato in maniera molto seria la Liturgia cattolica, che già da allora iniziò a essere luteranamente riformata.

Purtroppo dall’Italia la “Messa beat” si trasferì anche all’estero e persino oltre/oceano.
Ebbene, non mi sembra eccessivo dire che il “Sessantotto studentesco” fu ampiamente anticipato dal “Sessantacinque clericale”.

D’altro canto come il lockdown clericale ha anticipato il lockdown nazionale.

Venne così introdotto (1965/66), già prima della promulgazione della Nuova Messa (1969), un nuovo rito della Messa, molto più simile alla “Cena luterana” (forse trattandosi di Messe beat sarebbe più opportuno dire “Baldoria luterana”) che al rinnovamento incruento del Sacrificio del Calvario, con la lingua volgare, il tavolino al posto dell’altare, la comunione in piedi e persino sulle mani, il celebrante che officia rivolto al popolo e non a Dio.

Padre Morlion, la “Pro Deo” e la “Luiss” 

Attenzione! Il domenicano padre Gabriele Sinaldi, come abbiamo visto, insegnava alla Università “Pro Deo”, che fu fondata esattamente nel fatidico 1966 dal padre domenicano Felix Morlion (1904 – 1987). Roberto Marchesini (cit., p. 155) ci spiega che essa era “l’ennesimo progetto della Cia gestito da Henry Luce”, cara amica di padre Murray.

Padre Morlion nacque a Dixmude in Belgio il 16 maggio del 1904 e arrivò, con l’Esercito Usa, in Sicilia e poi a Roma nel 1944 – accompagnato da una lettera di presentazione di Alcide De Gasperi firmata da don Sturzo – con alcuni compiti di carattere politico affidatigli dal fondatore del Partito Popolare Italiano, esule negli Usa (1924/1940).

Ora, Morlion era un esperto di tecniche della guerra psicologica e di propaganda di massa, lavorava per i servizi segreti americani (Oss e poi Cia). 

Egli fondò a Roma, con il nulla osta di monsignor Montini, nel 1946, la Università Internazionale degli Studi Sociali (UISS) “Pro Deo” della quale divenne il Presidente nel medesimo anno, con a capo il Presidente (dal 1921 al 1966) della Fiat Vittorio Valletta [10] e con la protezione dei ministri democristiani Scelba, Gonella e Andreotti.

Attualmente la “Pro Deo” si chiama Libera Università Internazionale degli Studi Sociali (LUISS) “Guido Carli” fondata a Roma nel 1974 da Umberto Agnelli, che rilevò la “Pro Deo”, ma che ne cambiò nome solo nel 1977. 

Padre Morlion ne restò Presidente sino al 31 ottobre 1975, fu rimpiazzato da Carlo Ferrero sino al 1978, poi dal Governatore della Banca d’Italia (1960/1975) e, quindi, Ministro del Tesoro (1989/1992) Guido Carli dal 1978 al 1993, in séguito da Luigi Abete (1993/2001), quindi da Antonio D’Amato, Luca Cordero di Montezemolo (2004/2010), Luisa Marcegaglia (2010/2019) e da Vincenzo Boccia nel 2019.

Egli era stato incaricato di ridurre l’influenza comunista in Italia, anche attraverso la propaganda, il cinema e la cultura. Collaborò con Roberto Rossellini alla produzione di due film: Stromboli e Francesco giullare di Dio entrambi del 1950 (cfr. F. Scottoni, Il pio frate che lavorava per la Cia, in la Repubblica, 27 novembre 1991; N. Tranfaglia, Come nasce la repubblica, Milano, Bompiani, 2004).

Conclusioni

Nel 1992 l’autore liberista Francis Fukuyama (1952-vivente) pubblicò un libro intitolato La fine della storia e l’ultimo uomo.

In questo libro si celebrava la vittoria del liberalismo sul comunismo dopo una lotta secolare Di questa opera ci interessa soprattutto il dualismo che offre al lettore: destra o sinistra, liberalismo o comunismo, bene o male. Il dualismo è uno schema di pensiero tipicamente gnostico; nella gnosi tutto al suo posto che, in realtà è un alter ego. Questo non è lo schema di pensiero del cristianesimo: bene e male non sono due forze uguali e contrapposte, così come la luce il buio, la salute e le malattie. Il bene è, il male è assenza di bene; la luce è, il buio è assenza di luce; la salute è, la malattia è assenza di salute. Esiste un solo principio, non due. Noi possiamo scegliere se aderire o no.

Tiriamo allora le fila e del discorso. La prima cosa che possiamo affermare che esiste una incompatibilità radicale tra il liberalismo e il cattolicesimo, più volte sottolineata dal magistero cattolico e dalla storia. L’avvicinamento tra queste due forze è stato così stretto che talvolta esse sembrano coincidere. Quello che possiamo constatare con certezza sono le conseguenze di questa infiltrazione: confusione dottrinale, riduzione delle vocazioni, progressiva delusione della morale sessuale, Cessazione della spinta missionaria secondo il mandato evangelico.

Oggi dopo l’89, ha ancora senso che i cattolici combattono le battaglie liberali? È compito dei cattolici impegnarsi per il libero mercato, per la società aperta o per lo smantellamento dello stato sociale? Credo che sia il caso che i cattolici tornino a fare ciò che compete loro.

L’americanismo

Che cos’è l’americanismo?

La società dei sacerdoti missionari di San Paolo apostolo (paulisti), la congregazione religiosa che formò e ordinò sacerdote Robert Sirico, Fu fondata da Isaak Thomas  Hecker. Nato da una famiglia luterana di origine tedesche, si convertì al metodo Ismo e poi al cattolicesimo.

Nel 1858 fondò la congregazione Paulista per propagare il cattolicesimo negli Stati Uniti, soprattutto utilizzando i mezzi di comunicazione di massa. Per raggiungere questo scopo, secondo Hecker, era necessario eliminare tutto ciò che, nel cattolicesimo, potesse infastidire la sensibilità moderna, ad esempio il rigore su alcuni aspetti morali; e tacere su alcune verità di fede che contrastano con la modernità.

Era invece necessario soffermare la predicazione sull’azione dello spirito Santo, la cui azione sarebbe più feconda che in passato; e sulle virtù naturali e attive, piuttosto che su quelle soprannaturali e passive (umiltà, obbedienza…). L’azione dello spirito Santo, che parlerebbe direttamente al cuore di ogni uomo, renderebbe superflua la direzione spirituale e, in generale, la gerarchia cattolica.

Questa impostazione fu chiamata “americanismo“ e fu condannata da Leone XIII con la lettera Testen benevolentiae, Del 22 gennaio 1899, indirizzata al cardinale James Gibbons (1834-1921) di Baltimora, ammiratore e fautore dei psolisti.

In questa lettera, nella quale si fa esplicitamente il nome di Hecher,   vengono  messi in evidenza e condannate le seguenti” nuove  virtù” :

iniziativa, imprenditorialità, cooperazione sociale, impegno pubblico, responsabilità civica, confronto leale, l’arte del compromesso e della praticità, il rispetto per il prossimo, la gentilezza nei rapporti interpersonali (Novak, l’etica cattolica e lo spirito del capitalismo).

Là dove non c’è Dio, non c’è l’uomo: ecco la scoperta del nostro tempo.

Alla religione del Dio vivente si oppone la religione del diavolo; alla religione del Cristo, la religione dell’anticristo. E contro il Dio-uomo si erge l’uomo-Dio e, l’uomo che ha preso il posto di Dio.

prof. ssa Paola Persichetti

Paola Persichetti, oltre ad essere leader del comitato spontaneo La Gente come Noi nella lotta contro l’imposizione di Green pass e Vaccini obbligatori, è Laureata in Lingue e Letterature Straniere, inglese, francese, lingua e Cultura ebraica, all’Università di Perugia con  110/110, bacio accademico e menzione d’onore.  Corso di storia e del Cristianesimo antico, università Perugia. Master universitario in fonti, storia, istituzioni e norme del Cristianesimo ed Ebraismo.