PAPA LEONE XIII, IL GRANDE ALFIERE CRISTIANO CHE SCOMUNICO’ LA MASSONERIA. Attualità della Visione del Pontefice a 120 anni dalla Morte

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PAPA LEONE XIII, IL GRANDE ALFIERE CRISTIANO CHE SCOMUNICO’ LA MASSONERIA. Attualità della Visione del Pontefice a 120 anni dalla Morte

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di prof. ssa Paola Persichetti

120 anni fa moriva LEONE  XIII

Voglio raccontare una storia che i cattolici spesso ignorano, colpevolmente; cosa che li costringe a tacere ogni volta che qualcuno oppone loro la solita propaganda: “Galileo, inquisizione, ecc“., cioè le solite leggende nere, le solite falsità , che però sono sufficienti a farci arrossire. Per questo leggere e conoscere la storia della chiesa vuol dire impossessarsi di un ottimo strumento per combattere “Quella congiura contro la verità“ che denunciava Papa Leone XIII (al secolo Vincenzo Gioacchino Raffaele Luigi Pecci, Carpineto Romano, 2 marzo 1810 – Roma, 20 luglio 1903); e che ogni cattolico ha il dovere di combattere.

Per farlo bisogna conoscere le nostre origini, conoscere i martiri, i santi, i papi, le persecuzioni subite dai cristiani, e soprattutto quel rapporto così conflittuale con il potere, con i potenti di ogni sorta e di ogni ideologia, che nel corso dei secoli hanno cercato di fagocitare la chiesa perché la chiesa era (ed è) l’unico ma irriducibile argine a protezione degli ultimi, dei poveri, dei piccoli.  Un argine formidabile che è il corpo di Gesù Cristo, oggi come mai perseguitato e insanguinato.

Le  sfide che oggi la chiesa deve affrontare sono sfide che senza la conoscenza della sua storia, dei fatti, dei suoi protagonisti, di quella cultura cattolica che è la nostra cultura, difficilmente si riuscirà ad affrontare. Perché  una fede senza cultura, rischia di sbriciolarsi anche di fronte al più patetico sussidiario.  Sono stati  fondamentali gli   interventi che i sommi pontefici, hanno fatto negli ultimi due secoli e mezzo, nel loro abbondante magistero, della vicenda massonica e dei suoi fondamenti ultimi: antropologici, Metafisici, culturali, etici. È stata una lettura che ha seguito, passo a passo, L’evolversi della massoneria andando fino in fondo ai presupposti, molte volte anticipando gli esiti che, sul piano della vita della società e del rapporto con la chiesa si sono poi, di fatto realizzati.

La massoneria è un nemico della chiesa; nasce con questa inimicizia e persegue la realizzazione di questa inimicizia con la distruzione della chiesa e della civiltà cristiana e con la sostituzione ad esse  di una cultura e di una società sostanzialmente ateistiche, anche quando si fa riferimento all’architetto dell’universo..non è la chiesa a essere antimoderna ma è la modernità  ad essere anti ecclesiale. Nella massoneria la modernità esprime il massimo di chiarezza e di identità raccogliendo anche il massimo di impatto culturale sociale.

L’enciclica Humanus Genus contro la Massoneria

Leone XIII (pontefice dal 20 febbraio 1878 fino alla sua morte nel 1903) con la stesura dell’Humanum Genus-L’enciclica che con precisione filosofica analizza i presupposti, la natura e l’operato della massoneria – denuncia le caratteristiche delle sette. In perfetta continuità con Pio IX, da vescovo di Perugia prima che da Papa, Gioacchino Pecci ammonisce che la fine del potere temporale dei pontefici è funzionale, nelle intenzioni di chi la promuove, alla scomparsa della chiesa cattolica. L’attività della massoneria mondiale negli ultimi decenni dell’ottocento culmina nell’attacco frontale al cattolicesimo nel suo paese di elezione: l’Italia. È pertanto naturale che il pontefice analizzi l’operato delle società segrete a partire da quanto succede in Italia e a Roma. Papa Pecci – come Pio IX prima di lui – ricorda i meriti della sede Apostolica e enumera i vantaggi derivanti dall’Italia dalla presenza sul suo suolo della sede di Pietro.

Le benemerenze della Roma pontificia sono innegabili, secondo Pecci: i barbari respinti o di incivili liti; dispotismo combattuto e frenato; le lettere, le arti, le scienze promosse; le libertà dei comuni; le imprese contro i musulmani. La sede di Pietro ha diritto pertanto  ad essere rispettata e mantenuta. Papa Leone XIII alza la voce affermando che non è la chiesa ad essere antipatriottica ma è la massoneria che, essendo anticattolica, e, proprio per questo, è anche anti-italiana.

Da una parte abbiamo la bellezza della civiltà cristiana che si contrappone al degrado dell’Italia massonica. Il panorama che si offre all’analisi del pontefice è , in effetti, desolante: l’emigrazione comincia a diventare massiccia, la corruzione dilagante, l’anarchia e il socialismo guadagnano terreno per il degrado della condizione della maggioranza della popolazione. Di lì a poco lo scandalo della Banca romana, l’esplosione dei fasci siciliani con annesso stato d’assedio, Il disastro coloniale, la strage di fine secolo compiuta a Milano dal generale Bava  Beccaris. Leone XIII addita  la massoneria come nemica di Dio, della chiesa e della patria.

Nel piano dell’unità di Italia si punta a Roma, alla distruzione dello Stato pontificio, un attacco alla sovranità della Santa sede. Perché?

Perchè Roma è il Mondo…

Perché Roma è il mondo. I romani, che avevano un impero smisurato, avevano la consapevolezza che Roma era unica.Roma era universale, era la città in cui tutti si sentivano a casa. Il cristianesimo eredita e porta a compimento l’universalità romana. Lo spiega bene Paolo nella lettera ai Galati e nella lettera ai Colossesi ,  quando  dice che “non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna“ perché tutti sono uno in Cristo Gesù. Le lettere di Paolo dimostrano che l’universalità cui Roma aspira  è realizzata appieno dalla chiesa romana.

È proprio questa universalità che fa di Roma un obiettivo: ogni nemico di Cristo vuole arrivare a Roma, distruggere Roma e creare una nuova Roma. Cioè un nuovo potere universale. Tutti gli imperi ci hanno provato, ma finora non ci sono riusciti. La massoneria è interessata ad arrivare a Roma perché vuole il potere, vuole riuscire a dominare ovunque, e perché l’unico ostacolo che incontra è rappresentato dalla chiesa cattolica. È una volontà di dominio che parte da lontano, radicata nella riforma protestante.

In quale modo?

Protestantesimo e massoneria sono collegati dall’idea del libero esame promossa dal protestantesimo. L’esaltazione della libertà da Roma e dal magistero che Lutero incarna, diventa l’esaltazione della libertà dalla rivelazione propugnata dalla massoneria. La  verità non è rivelata, è prodotta volta a volta dalla libera discussione nelle logge. E l’odio per Roma passa da Lutero alla massoneria.

Quando si parla di uno Stato pontificio arretrato, fuori dal tempo si mente spudoratamente: lo Stato pontificio era un gioiello, e a suo favore non c’è bisogno di tante parole perché bastano le pietre come  le città, i villaggi e i borghi. È sufficiente visitare regioni come l’Umbria, le Marche , il Lazio perché si comprenda come fosse amministrato lo Stato pontificio. Quanti ospedali, quante chiese, quante cappelle, quante opere d’arte, quante fontane, quanti oratori, quanti conventi, quante opere di beneficenza, quante scuole. Quanta bellezza c’era ovunque. Quanto amore e rispetto per la vita delle persone.

La massoneria pensa di avere una singolare affinità con lo spirito scientifico pertanto è naturale che la sfida alla chiesa cattolica sia portata con particolare determinazione nel mondo dell’università e della cultura, della scuola e della stampa. E così, mentre il regno d’Italia si gloria dell’apertura della biblioteca nazionale inaugurata a Roma nel 1876 (ubicata nella sede romana dei gesuiti-il collegio Romano-e formata da quanto resta delle biblioteche sottratte agli ordini religiose), Leone XIII, per sottolineare da che parte sta l’amore per i libri e per i documenti, apre al pubblico l’archivio  segreto Vaticano e la biblioteca Apostolica vaticana.

Nell’enciclica Saepenumero considerantesi del 18 agosto 1883, denuncia la congiura contro la verità di una storiografia compiacente. La sua posizione durante il Risorgimento è paragonabile a quella di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI durante il processo di unificazione europea. Come  Leone XIII difendono la tradizione religiosa e culturale dell’Italia cattolica tentando di risparmiare agli italiani le ingiustizie e le sofferenze loro inferte il nome del progresso e della libertà, così Giovanni Paolo II e Benedetto XVI rammentano le radici cristiane del continente europeo tentando di risparmiare alla popolazione europea-dopo il comunismo il nazismo-gli amari frutti della ragione umana senza Dio (“libera”).

Quando Giovanni Paolo II si appella senza sosta ai governanti perché menzionino il cristianesimo nel trattato costituzionale, lo fa con gli occhi rivolti al futuro e non combatte, per usare un’espressione di Ratzinger, “una qualche nostalgica battaglia di retroguardia della storia“ (Cfr la conferenza “ L’Europa nella crisi delle culture“, tenuta a Subiaco il 1 aprile 2005, a pochi giorni dalla sua elevazione pontificia).

Nell’Humanum Genus Leone XIII prende atto della grande potenza acquistata in poco tempo dalla massoneria la quale si comporta come “uno stato invisibile ed irresponsabile“ che tenta di imporre a tutti libertà, fratellanza e uguaglianza intesa alla maniera delle logge. Stato nello Stato, i massoni sono certi di costituirne l’Elite intellettuale e morale e ritengono che a loro compete il dovere di dirigere ogni aspetto della vita associata: dalla politica alla cultura, dalla scuola alla stampa, dall’arte alle opere di beneficenza. Analizziamo questi aspetti nel dettaglio a partire dalla situazione italiana tanto spesso richiamata dal Papa nei suoi interventi.

  • La massoneria ufficialmente, non si occupa di politica.eppure cerca di imporre i propri uomini alla guida dello Stato
  • Sopprime gli ordini religiosi con l’incameramento dei beni ecclesiastici ( un’enorme quantità di ricchezza è passata di mano, migliaia di palazzi meravigliosi, di chiese, di oggetti d’arte, di archivi, biblioteche, di terreni, tutte le proprietà che erano state regalate alla chiesa nel corso dei secoli, sono state acquistate per due lire dall’Elite liberale, circa l’1% della popolazione.) La conseguenza fu che per la prima volta nella sua storia l’Italia, invece di risorgere, sì è trasformata in una colonia di poveri costretti in massa all’emigrazione.
  • Distrugge il potere temporale . Lo Stato pontificio era il punto di riferimento dei cattolici di tutto il mondo.Leone XIII insiste sull’importanza del potere temporale del pontefice.il potere temporale era funzionale a garantire la libertas ecclesiae, La libertà del potere spirituale. Nella seconda metà dell’ottocento i cattolici vedono crollare tutte le loro certezze.per la prima volta dalla fine delle persecuzioni gli italiani vedono la propria fede irrisa, i gioielli della propria cultura rapinati, i preti, i vescovi e i religiosi calunniati e incarcerati, lo Stato pontificio conquistato da uomini che si definiscono cattolici. Di fronte ad un simile sfacelo il rischio che la fede vacilla è concretissimo.

Le élite dell’ordine specifica quale sia il compito grandioso che attende i fratelli: Smantellare la società basata sulla rivelazione per costruirne una fondata sul naturalismo.

La strategia è di procedere con cautela per il bene generale della massoneria in Italia e in Europa, Pertanto le prassi massoniche devono essere occultate e l’odio per la chiesa dissimulato.

La fine del potere temporale del papato era l’obiettivo di forze internazionali legate al protestantesimo e alla massoneria per distruggere la chiesa.

Si resta sconcertati che ci sia ancora chi, anche nel mondo cattolico, neghi od occulti queste cose.

La fine del potere temporale era strumentale al crollo del potere spirituale. Convinzione  della massoneria era che togliendo al papato le proprie ricchezze questo sarebbe crollato anche spiritualmente.

Una circolare del grande oriente del 1888  dice  di doversi guardare bene dal non usare la parola anticattolicesimo , ma di usare la parola anticlericalismo, perché è necessario dimostrare che la massoneria non combatte i cattolici ma i clericali. Ufficialmente non si pongono contro Cristo e la Chiesa  ma contro i clericali che la snaturano.

Il Risorgimento ha  attuato gli stessi provvedimenti anticattolici messi in atto tre secoli prima dalle  nazioni protestanti: l’unica differenza è stata che, mentre Lutero, Calvino ed Enrico VIII, agivano in odio dichiarato alla chiesa cattolica, i liberali italiani erano vincolati al rispetto formale della costituzione e si professavano più cattolici del Papa. Una menzogna radicale più volte denunciata  da Leone XIII.

Diventare come Dio

Un punto importante da sottolineare è che l’avversione della chiesa nei confronti della massoneria deriva dalla lotta senza quartiere che la chiesa fin dalle origini ha ingaggiato contro la gnosi. La  chiesa combatte la massoneria perché combatte la gnosi, e perché la libera-muratoria è la forma moderna e contemporanea della gnosi.  La  quale gnosi- è importante specificarlo-è quanto di più radicalmente anticristiano ci possa essere dal momento che si fonda sulla tentazione, meglio sulla menzogna primordiale: “diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male“ (genesi 3,5).

La chiesa cattolica ed i suoi papi hanno portato avanti in totale solitudine contro tutto e contro tutti un “gigantesco sforzo Antignostico” a dimostrazione di come quanto la massoneria fosse ritenuta una questione della massima gravità.

Il magistero pontificio di Leone XIII è straordinariamente profetico, umile e indefesso, mosso dall’amore per la verità teologica, filosofica e storica, il cui unico obiettivo è la difesa delle “ragioni di Dio“ (per dirla con Papa Wojtyla) e, quindi, dell’uomo.

In nessun modo l’essere cattolici è compatibile con l’appartenenza ad una realtà in quanto gnostica e  intrinsecamente anticristiana.

In questi tempi di dottrina fluida e di sinodalità liquida; di un cattolicesimo umanitario, affratellante, dialogante ed ecologico; di una predicazione che volge lo sguardo alle cose di quaggiù anziché a quelle di lassù e che ha sostituito la santificazione con la sanificazione delle feste troviamo tanta Caritas e poca Veritas.

Come diceva il compianto cardinal Caffarra, solo un cieco può non accorgersi della confusione che c’è nella chiesa in un tempo come quello che stiamo vivendo.

Uno strumento efficacissimo e diabolico usato per allontanare gli uomini da Dio è l’esaltazione del sentimento, arma perfetta per smantellare la morale rivelata e spalancare la strada a tutte le passioni. Basta osservare le società occidentali nell’ultimo mezzo secolo per rendersi conto di come sia stato proprio l’uso del sentimento da parte delle logge massoniche ad  aver favorito la diffusione di una cultura compiutamente anticristiana in tutti i gangli della società: diritto, musica, costume, spettacolo, mass media, Internet, editoria, TV, cinema, eccetera.

Il magistero pontificio mette puntualmente in evidenza anche il carattere satanico del progetto massonico.

Leone XIII e la preghiera a San Michele Arcangelo

Leone XIII è noto per la celebre preghiera a San Michele Arcangelo, che ha una storia tutta da scoprire. La preghiera è molto particolare, è un vero e proprio esorcismo. Era il 13 ottobre 1884 quando Papa Leone XIII, mentre celebrava la Santa messa nella sua cappella privata, ascoltò in maniera distinta due voci.una, dolce; l’altra, aspra e dura.  La prima voce era quella di Gesù; l’altra di Satana. Il dialogo fra loro era molto agitato: Satana avrebbe chiesto a Gesù più tempo e più potere per poter distruggere la chiesa. Il  tempo richiesto per svolgere il suo piano era di 75 anni-100 anni.Gesù avrebbe acconsentito alla richiesta, precisando comunque che le porte dell’inferno non avrebbero avuto certamente l’ultima parola. Quella stessa esperienza mistica di Leone XIII si arricchì inoltre di una vera e propria visione.

Lo stesso pontefice descrisse di aver visto la terra avvolta dalle tenebre e da un abisso; di aver visto uscire legioni di demoni che si spargevano per il mondo per distruggere le opere della chiesa ed attaccare la chiesa stessa. Ed è allora che apparve San Michele che ricacciò tutti gli spiriti malvagi nell’abisso. Vide San Michele Arcangelo intervenire molto più tardi dopo che le persone ebbero moltiplicato le loro ferventi preghiere nei confronti dell’Arcangelo. Leone XIII rimase sconcertato e appena si destò si diresse immediatamente nel suo ufficio e scrisse di getto una preghiera a San Michele Arcangelo. L’orazione, nella sua forma estesa, venne successivamente inserita nel libro degli esorcismi ufficiali della chiesa e come tale, in casi di possessione, era recitabile  soltanto da un sacerdote autorizzato.

Ne riporto  solamente una parte: “[ San Michele], Venite in soccorso degli uomini creati da Dio a sua immagine somiglianza e riscattati a gran prezzo dalla tirannia del demonio. Combattete  oggi le battaglie del Signore con tutta l’armata degli angeli beati, come già avete combattuto contro il principe dell’orgoglio Lucifero ed i suoi angeli apostati; e questi ultimi non riuscirono a trionfare, e ormai non c’è più posto per essi nei cieli. , Venite in soccorso degli uomini creati da Dio a sua immagine somiglianza e riscattati a gran  prezzo dalla tirannia del demonio. Combattete oggi le battaglie del Signore  con tutta l’armata degli angeli beati, come già avete combattuto contro il principe dell’orgoglio Lucifero ed i suoi angeli apostati; e questi ultimi non riuscirono a trionfare, e ormai non c’è più posto per essi nei cieli. Ma è caduto questo grande dragone, questo antico serpente che è chiamato diavolo e Satana, che tende trappole a tutti“. Poi, si faceva riferimento a ciò che il pontefice aveva visto: “ora ecco che questo antico nemico, questo vecchio omicida, si erge di nuovo con una rinnovata rabbia“.

E, più avanti, si chiudeva con la richiesta d’aiuto a San Michele Arcangelo per combattere le insidie del maligno. Esiste anche una versione più breve che è la più conosciuta e recitata dalla maggioranza dei fedeli. Fu lo stesso Papa LeoneXIII e  in persona a dare l’ordine  che venisse recitata   in tutte le chiese del mondo al termine della messa, nel contesto delle cosiddette Preci leonine, una  serie di preghiere e invocazioni solenni a Dio e alla vergine Maria, già in uso dal 1859.

La preghiera scritta e introdotta nel rituale romano da Leone XIII, nella forma breve, recitava così: “ Nel nome del Padre , del Figlio  e dello spirito Santo./ San Michele Arcangelo,/difendici nella battaglia/contro le malvagità e le insidie del diavolo, sì nostro aiuto/Che Dio lo comandi/ ti preghiamo supplichevoli:/  e tu, che sei il principe della milizia celeste,/ Satana e gli altri spiriti maligni,/ che si aggirano per il mondo/. Cercando la perdizione delle anime/con la virtù divina ricacciali  nell’inferno./ Amen”.

Con il concilio Vaticano II

Con il concilio Vaticano II vennero abolite le Preci leonine , e  con esse ci fu una prima drastica limitazione della preghiera scritta da Leone XIII. A questa riforma, nel corso degli anni, seguiranno altre limitazioni fino a far quasi cadere nel dimenticatoio l’importantissima orazione. Fu Giovanni Paolo II nel 1994 a ricordare a tutti i cristiani le preziose parole di Papa Leone XIII.

La tradizione ha sempre parlato di San Michele come il primo tra gli angeli a scegliere risolutamente Dio. San Pio da Pietralcina, che fin da bambino dovette subire gli attacchi del demonio, disse: “guai a me se non ci fosse stato San Michele: a quest’ora  avreste visto padre Pio sotto i piedi di Lucifero“.

Guardando gli avvenimenti che hanno segnato la chiesa e l’intera società in questi ultimi decenni, non è stata una scelta felice l’abbandono della sua recita. Non solo perché la preghiera  a San Michele è in modo diretto una preziosa protezione contro il maligno, ma perché pure tra i  molti  battezzati-compresi ecclesiastici di spicco-si sta perdendo progressivamente la consapevolezza dell’esistenza di Satana e della sua azione malvagia, che è il più grande favore che si può fare al demonio e insieme un grande pericolo per la salvezza delle anime.

Sarebbe bello se un giorno tutta la chiesa tornasse a recitare quelle preci, che includono il Salve regina e tre Ave Maria.

Mi piace ricordare, visto il periodo storico che stiamo vivendo da tre anni, che a San Michele Arcangelo è legato anche il ricordo della peste bubbonica del 1656 che nel solo regno di Napoli causò, secondo le fonti, dai 240.000 ai 400.000 morti. Quando l’epidemia arrivò nella zona del Gargano, l’arcivescovo di Manfredonia, Giovanni Alfonso Puccinelli, iniziò a chiedere fervidamente l’intercessione dell’Arcangelo. Il quale gli apparve dicendo che chi avesse adoperato con devozione pietre del suo santuario sul Gargano sarebbe stato liberato dalla pestilenza.Puccinelli fece allora dividere in  schegge alcune pietre del famoso santuario: vi scolpì una croce e le iniziali di San Michele, raccomandando agli abitanti di esporre il segno presso le porte di case e palazzi. Il territorio di Manfredonia rimase immune dal morbo e l’evento, scrive la Treccani, “ebbe vasta eco anche a livello internazionale“. A memoria dei fatti il vescovo fece erigere un obelisco in onore di San Michele, tuttora presente a Monte Sant’Angelo, con una scritta in latino: “al principe degli arcangeli, vincitore della peste, patrono e tutelare, monumento di eterna gratitudine“.

È questa fede nella provvidenza che andrebbe recuperata.

Magistero di Papa Leone XIII

In sintesi il magistero di Papa Pecci contro la massoneria è il più duro e circostanziato della storia della chiesa. Il pontefice analizza i presupposti filosofici e culturali della libera muratoria e ne descrive le modalità operative. Associazione che usa tutte le armi di Satana, la massoneria riceve uno straordinario impulso dagli sconvolgimenti religiosi, culturali ed economici provocati dalla Riforma, si consolida all’epoca dei “filosofi“ e dell’Illuminismo ed è all’origine della rivoluzione francese e del liberalismo. La massoneria, o meglio la galassia di associazioni a vario titolo apparentate che la costituiscono, riversa sulla chiesa, che non riesce a soggiogare, un “furore“ enorme, all’origine della persecuzione anticattolica in ogni parte della terra.(Humanum Genus).

Fermissimo nella condanna delle società segrete, Leone XIII è instancabile nel ricordare ed elencare i meriti della civiltà nata dalla predicazione evangelica. Il pontefice  ritiene che solo il Vangelo renda possibile la formazione di una società orientata al suo proprio fine e ammonisce che, rifiutata la rivelazione, la comunità civile precipita inesorabilmente nella barbarie del paganesimo.. Richiamandosi alla realtà dei fatti Papa Pecci ricorda come la Santa sede sia sempre stata centro di cultura e di faro di civiltà e sottolinea quanto straordinario sia per l’Italia il privilegio di ospitare la sede della cattedra di Pietro.

prof. ssa Paola Persichetti

INSIDIA GENDER AL PADRE NOSTRO. La Deriva Femminista e Anglicana contro il Vangelo di Gesù Cristo

INSIDIA GENDER AL PADRE NOSTRO. La Deriva Femminista e Anglicana contro il Vangelo di Gesù Cristo

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Nell’immagine di copertina L’incoronazione della Santissima Vergine Maria da parte della Santissima Trinità composta dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo – particolare dell’opera di Giovan Battista Moroni (1576, olio su tavola, Chiesa di Sant’Alessandro della Croce, Bergamo) 


di prof. ssa Paola Persichetti

Paola Persichetti, oltre ad essere leader del comitato spontaneo La Gente come Noi nella lotta contro l’imposizione di Green pass e Vaccini obbligatori, è Laureata in Lingue e Letterature Straniere, inglese, francese, lingua e Cultura ebraica, all’Università di Perugia con  110/110, bacio accademico e menzione d’onore.  Corso di storia e del Cristianesimo antico, università Perugia. Master universitario in fonti, storia, istituzioni e norme del Cristianesimo ed Ebraismo.

Basta usare il maschile, usiamo un genere neutro: il dibattito nella chiesa anglicana.

Nei giorni scorsi, nella chiesa anglicana c’è chi ha proposto di usare un linguaggio più neutrale quando ci si riferisce alla divinità, anziché continuare con il maschile, e scegliere un pronome neutro. In poche parole nelle chiese protestanti ci si chiede se sia politicamente corretto che Dio sia di genere maschile e per quale ragione non possa essere femminile e a questo punto se non sia meglio riferirsi a lui o a lei con il genere neutro.

Quanto sono ciechi questi vescovi della chiesa anglicana che non vedono la verità?

Si renderanno mai conto che ci sono cose che non si possono discutere?

Cristo ci ha rivelato il volto di Suo Padre e questo non può essere messo in discussione. Dio è colui che detta le regole teologiche. Se vuole essere compreso in termini maschili, allora è così che dobbiamo parlare di Lui. Fare diversamente equivale a creare un dio a nostra immagine e cadere nell’idolatria.

Perché cambiare la mascolinità di Dio?

Perché in questi ultimi anni l’identità maschile fa così paura?

Il maschio, con la sua virilità intesa come disponibilità a rischiare la vita per salvarla, per salvare l’onore (cioè la dignità umana), per la fedeltà ai propri valori; intesa come assertività, coraggio fortezza deve essere neutralizzato. Mai come in questi ultimi anni c’è una crisi inedita nella storia dell’umanità: non era mai accaduto che così tante persone restassero senza risposta davanti agli interrogativi: “chi sono? Quale è il mio ruolo? Qual è il mio posto nel mondo?“

Oggi pare, infatti, che la civiltà sia femminile, la barbarie sia maschile. Tutto ciò che ha un vago odore di virilità suscita disgusto e disprezzo. Sembra che meno  testosterone c’è in giro, meglio è . Se un uomo vuole essere non certo apprezzato, ma perlomeno tollerato, deve mostrarsi assolutamente alieno dei conflitti, pernulla risoluto, attento ai sentimenti più che al raggiungimento degli obiettivi: inerte, passivo e perciò innocuo. Un uomo, insomma, non  virile. L’unico uomo buono è l’uomo morto; o quello castrato.

Nel 2008 in una campagna pubblicitaria lanciata dal fotografo Oliviero Toscani per il settimanale donna moderna veniva pubblicata una immagine shock che rappresentava due bambini nudi (Mario e Anna) sotto l’immagine dei quali si leggeva, rispettivamente, “carnefice“  e “vittima“. Mario, futuro carnefice perché  maschio; Anna, futura vittima perché femmina. Intervistato dal settimanale, alla domanda: “perché non è Anna a diventare carnefice?“, Toscani rispondeva: “un po’ dipende dal sangue, dal DNA, non c’è dubbio“.

Il messaggio è chiaro: il padre è un orco, il maschio è un carnefice. Dipende dal DNA, non c’è dubbio. Cos’altro dovrebbe restare da fare all’uomo, al padre,  dopo una simile campagna? Vergognarsi? Chiedere perdono? Nascondersi, mimetizzarsi, tentare di convincere il mondo che lui è sì un uomo, ma non ne ha colpa? In realtà non è un vero uomo, è che ripudia la sua virilità ? La virilità pare un virus ormai quasi completamente debellato, che ogni tanto, non si capisce bene perché, si ostina a fare capolino nel mondo maschile e a provocare tutti i guai di questa terra.

Non è un caso e una cosa da poco conto voler neutralizzare la figura di Dio come padre con la scusa del politicamente corretto. La verità è che la figura paterna è considerata un pericolo nella società liberale perché solo il padre può insegnare che nella vita è necessario rischiare, osare; per la madre, infatti, il pericolo non è divertente, è solo pericoloso. Persino Freud, il padre della psicanalisi ci dice che il padre è colui che pone un limite, che testimonia che c’è qualcosa di più importante di sé.

Il padre insegna a soffrire, il padre educa a pagare, Il padre ricorda la rinuncia. Per la madre la vita del figlio è sacra, per il padre la vita va resa sacra (sacrificata) per gli altri, o per qualcosa di ancora più sacro. La madre insegna a vivere; Il padre insegna a morire, dopo aver dato uno scopo alla propria vita e quindi essere vissuti con onore. Se  non c’è nulla per cui valga la pena di spendere la vita, questo è ciò che vale la vita: nulla.

Tutto ciò non significa che il modello educativo paterno sia giusto e quello materno sia sbagliato; significa invece che entrambi sono giusti, che entrambi sono necessari e che si completano a vicenda. La diversità, le differenti sensibilità materna e paterna non sono in contrasto, ma si integrano, aggiungendo a  l’uno ciò che manca all’altro. Paternità e maternità non sono mutualmente escludenti, ma complementari. Nel  cristianesimo sono presenti entrambe le sensibilità: paterna (Dio Padre nostro e sposo) materna (vergine Maria madre di Dio e sposa). Perché allora voler eliminare la parola padre dalla preghiera del Padre Nostro perché maschile?

Il motivo è molto semplice: una società senza limiti, che vive obbedendo ai propri desideri è una società senza ordine, caotica, insicura, Inadeguata di fronte alle avversità e ai pericoli della vita ed è per questo facilmente controllabile. Una società che vive in una dittatura del desiderio riconoscendolo come unica autorità , non ha  più punti fermi, non ha più limiti, vive nel caos che genera ansia , insicurezza e precarietà . È una società senza padre, che non ha più strumenti per  affrontare il dolore e la morte.

Come  è potuto accadere tutto ciò? Come è stato possibile?

L’uomo e donna: immagine di Dio

Questa è la visione biblica come risulta dalle prime pagine della genesi: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò“ (genesi 1,27). L’uomo, come Dio lo ha creato, nella sua bipolarità referenziale di maschio o femmina, è immagine di Dio, creato per adorare Dio e riflettere la sua gloria. L’uomo, creato a immagine di Dio, è un essere vivo e relazionale, che ha la sua ragione e la sua possibilità di esistenza in un plurale comunitario: reciprocamente e con Dio.

Differenza e comunione

L’immagine e somiglianza di Dio si manifesta nella differenza e nella comunione sessuale degli uomini. Fin dal primo momento della creazione, l’essere umano esiste nella differenza di sesso e nella reciproca relazione sessuale. Possiamo chiederci perché, nella creazione degli uomini, è sottolineata in maniera speciale la differenza sessuale. Nella creazione degli animali si dice semplicemente: “ognuno secondo la sua specie“ a  quanto pare, questo basta per ricevere la benedizione della fertilità. Nella creazione degli uomini invece, si menziona in maniera esplicita la differenza di sesso. E si aggiunge, poi, la benedizione della fecondità. Questa immagine rappresenta Dio sulla terra e Dio “appare“ sulla terra nella sua immagine “uomo-donna“.

L’uomo e la donna, nel loro mutuo reciproco dono, sono a immagine di Dio. Ma  bisogna affermare che si tratta della Sessualità umana, nella quale è coinvolta tutta la persona. La sessualità umana presuppone, esprime e realizza il mistero integrale della persona. La sessualità umana è una porta di uscita e di entrata nel mondo delle persone. La  sessualità è la grande forza che spinge l’uomo ad aprirsi e ad uscire da se stesso con il suo bisogno dell’altro e la sua capacità di donazione all’altro. L’immagine di Dio, dunque, non è l’uomo singolo e solitario. Uomo e donna uniti in una sola carne, che manifestano il figlio frutto della loro unione,  è l’immagine di Dio amore e fonte della vita. L’immagine di Dio  è un carattere dell’essere dell’uomo che si trasmette ai discendenti, come dono della benedizione divina.

Sessualità: conoscere, conoscersi e riconoscersi

La sessualità umana, come struttura fondamentale della persona, è un valore che riguarda tutta la persona. La sessualità caratterizza l’uomo e la donna non solo sul piano fisico, ma anche sul piano psicologico e spirituale, segnando tutte le sue manifestazioni. La diversità sessuale, uomo e donna, rende possibile l’amore e l’unità. Essendo la donna totalmente altra, differente, l’uomo deve-e lo stesso vale per la donna-uscire da se stesso e andare verso di lei, fino a formare con lei una sola carne nell’amore oblativo di se stesso nell’incontro sessuale. L’amore coniugale è un amore umano nel quale si cerca soprattutto la persona dell’altro, la sua felicità e la sua crescita in ciò che ha di più proprio il singolare. L’atto sessuale è qualcosa di vitale per l’uomo e la donna. Come abbiamo visto, il senso pieno della sessualità umana maschile femminile, secondo la Bibbia, consiste tanto nel fondare una famiglia quanto nella creazione di una comunità d’amore.

Maschile e femminile, papà e mamma. L’ideologia di genere ha  avuto, tra i pochi, il merito di focalizzare l’attenzione di alcuni osservatori sulla figura del padre e  della madre, sul ruolo paterno e materno, e sulla loro importanza nella formazione dell’identità di genere. È importante, si osserva, che ci siano entrambi i genitori, il padre e la madre; ma è ancora più importante che, nei confronti del bambino, siano presenti Il ruolo paterno e materno.

Aldilà di chi li riveste: non è necessario che il ruolo paterno sia esercitato dal padre e quello materno dalla madre; un ruolo paterno può essere esercitato anche da altri uomini (uno zio, un nonno, un prete…) E addirittura da una donna (dalla madre, ad esempio nel caso della vedovanza). L’ideologia di genere sostiene che non esista alcun legame tra sesso e genere; e che il genere, essendo una pura costruzione sociale, deve (per qualche motivo mai chiarito) essere decostruito. Proviamo dunque ad affrontare le domande poste di genere, per poi applicarle alla relazione tra sesso e il loro ruoli genitoriali. Molti ritengono che le questioni relative al genere possono essere affrontate dal punto di vista scientifico.

È senz’altro vero che la scienza (cioè la misurazione come metodo di conoscenza) è un valido strumento per conoscere la realtà, ma non tutta la realtà può essere conosciuta attraverso la scienza: l’uomo ad esempio, nella sua profonda identità, non può essere misurato. lo strumento che fino alla metà dell’ottocento (cioè fino al positivismo) è stato utilizzato con successo per conoscere l’uomo è la filosofia, in particolare l’antropologia.

L’antropologia  può aiutarci a dipanare le questioni poste dall’ideologia di genere? Personalmente credo di sì; credo, in particolare, di alcuni strumenti antropologici della filosofia aristotelico-tomista possano essere particolarmente utili per affrontare tali interrogativi. Aristotele sostiene che il movimento, il divenire, il mutamento consiste nel passaggio dallo stato di potenza a quello di atto.

La potenza è la capacità di un ente di essere ciò che ancora non è; l’atto è, invece la realizzazione di ciò che precedentemente era solamente in potenza. La natura è il principio insito negli enti, che guida il divenire dallo Stato di Potenza a quello di Atto. 

Il termine natura, dunque, non indica semplicemente ciò che esiste, la realtà; né può indicare generalmente ciò che fanno gli animali o vegetali semplicemente perché ogni specie ha una propria natura, ossia un proprio progetto, diverso da quello di altre specie. In termini correnti potremmo definire la natura come il progetto che guida lo sviluppo di ciò che esiste, la sua realizzazione. Mentre l’identità sessuale (cioè l’essere maschio o femmina) è definita sin dal concepimento-il momento dal quale ogni cellula del corpo umano è caratterizzata dai cromosomi XX nella femmina e XY nel maschio; l’identità di genere (cioè l’essere uomo o donna), invece, si acquista con lo sviluppo.

Si potrebbe dire che maschio e femmina li creò (genesi 1,27), ma uomo e donna si diventa. Potremmo  quindi descrivere il sesso e il genere in termini aristotelici, definendo il sesso come potenza e il genere come atto, cioè la realizzazione di un Progetto (la natura) presente fin dal concepimento ma che si realizza nel corso della vita. Il  compimento della propria identità sessuale consiste quindi nell’acquisire pienamente l’identità di genere, ossia nel diventare pienamente uomini (se maschi) e donne (se femmine).

Ciò che può ostacolare o permettere lo sviluppo della natura delle cose è il ruolo dell’ambiente: una piantina di limone ha una natura, un progetto che prevede la produzione di frutti particolari come i limoni. Può tuttavia accadere che, la piantina non porti frutto: forse non ha ricevuto abbastanza acqua, luce, forse è stata assalita dai parassiti, forse era in una posizione non adeguata.

Ciò non significa ovviamente, che la natura della pianta non prevedesse la presenza di frutti, bensì che l’ambiente ha ostacolato lo sviluppo della piantina secondo la sua natura. Tornando all’uomo, questo significa che esiste una natura che guida la realizzazione del progetto della persona; e che se una Persona non riesce a sviluppare pienamente le sue potenzialità non significa che non ne avesse, ma solamente che l’ambiente e le esperienze che ha vissuto (la cultura) non glielo hanno permesso. Quello che permette lo sviluppo dell’identità sono le relazioni, strumento essenziale per la propria realizzazione, e l’uomo non può vivere senza relazioni.

L’ideologia di genere sostiene l’assoluta indipendenza della parte biologica della sessualità (il sesso) da quella non-biologica (il genere). Per  l’antropologia aristotelico-tomista ogni cosa esistente è un “sinolo”-ossia una unione-di materia e forma; nel caso dell’uomo la materia è il corpo e la forma è l’anima. L’anima e il corpo sono  inscindibili, tanto che la separazione dell’anima dal corpo comporta la morte dell’uomo; e il loro rapporto non è una somma, quanto piuttosto un prodotto. Che differenza c’è tra la somma di anima e corpo e la loro unione? Più o meno la differenza che passa tra gli ingredienti per fare una torta e la torta. Finché gli ingredienti sono separati ognuno mantiene le sue caratteristiche ma una volta che si Impastano gli ingredienti e si cuoce la torta non è più possibile separare gli ingredienti.

Questo è, secondo l’antropologia aristotelico-tomista, la relazione che lega anima e corpo nell’uomo: esse sono unite indissolubilmente. Per questo motivo è lecito, ed anche utile distinguere la componente biologica della sessualità da quella psicologica e relazionale; ma esse sono le due facce della stessa medaglia, inscindibili se non al prezzo di annientare l’uomo.

L’Ideologia Gender derivata dal Femminismo

L’ideologia di genere deriva chiaramente dal femminismo radicale e dalla sua lettura della società.

I rapporti tra uomo e donna sono diversi ma hanno uguale dignità; la  complementarietà tra il ruolo maschile  e quello femminile  ha una importanza fondamentale nell’educazione dei figli, nella coppia e persino per la persona, essendo il dono reciproco ( possibile solo tra persone diverse e complementari) la condizione della realizzazione personale,secondo la “teologia  del corpo” di Giovanni Paolo II.

Nel corso dei secoli la  visione complementare della mascolinità e della femminilità  ha subito numerosi attacchi volti a distruggere i legami che presuppongono un’alterità,e quindi una relazione tra soggetti diversi.

Così, seguendo lo schema proposto in campo religioso dalla rivoluzione protestante (eliminati i sacramenti, il culto dei santi, della madonna, tutti siamo soli di fronte a Dio padre, senza avvocati, intercessori, mediatori), la rivoluzione francese lascia gli uomini soli, senza legami se non quelli verticali con lo “Stato“: l’individuo non è più “persona“ ma “cittadino“, deve cioè la sua identità allo “Stato”; vengono  aboliti Gli Stati (ossia le classi sociali: clero, nobiltà e borghesia), gli ordini religiosi, le confraternite, le corporazioni professionali; non esiste più alcuna autorità naturale, ma solo quelle che sono il frutto di un accordo tra i cittadini. C’è un contratto sociale liberamente stipulato tra gli uomini, e non una natura umana non stabilita dall’uomo.

Forse il più importante gesto simbolico della rivoluzione francese fu la decapitazione di Luigi XVI. Egli, infatti, fu ucciso non in quanto Luigi di Borbone, ma per quello che rappresentava, cioè il potere regale di origine divina.

I rivoluzionari intesero distruggere con un gesto simbolico e cruento il principio stesso di autorità naturale in ogni sua forma, compresa l’autorità paterna.

“Tagliando la testa a Luigi XVI, la Rivoluzione ha tagliato la testa a tutti i padri di famiglia” (Honoré de Balzac)

Non è un caso se i Giacobini stabiliscono che i maggiorenni non saranno più sottoposti alla patria potestà; e che i figli saranno allevati dallo Stato e non più dalle famiglie.

Il Femminismo nato durante la Rivoluzione Francese

Non è un caso nemmeno se proprio durante la Rivoluzione Francese nasce il femminismo.

Si tratta di un femminismo di stampo liberale che – in accordo con i princìpi della Rivoluzione Francese- rivendica uguali diritti fra diseguali, opponendosi al principio di organicità tra uomo e donna basato invece sulla complementarietà dei ruoli.

Con la Rivoluzione marxista si arriva poi a considerare la famiglia non come una società naturale, fondata sul matrimonio, bensì fondata sullo sfruttamento della donna da parte dell’uomo. In Italia, il comunismo, non ne fece un obbiettivo principale perché il proletariato condivideva la visione cattolica e naturale della famiglia e dei ruoli maschile e femminile.

La svolta si ebbe nel cosiddetto 68 quando vennero presi di mira i legami personali e familiari; oltre al generico concetto di autorità  venne condannata l’autorità paterna e maschile.

In questo modo , accanto a “ Vietato vietare” e “ L’immaginazione al potere” , comparve lo slogan “ Ne padri né padroni”; il malinconico auspicio:”Una società senza padre” da parte di Alexander Mitscherlich ( 1869-1951).

Negli stessi anni comparve una nuova forma di femminismo denominato radicale che si proponeva di eliminare la radice della disuguaglianza, cioè le differenze.

Le femministe radicali concepivano la società come una struttura costruita dagli uomini (gli oppressori) per tenere le donne ( gli oppressi) in una posizione di sudditanza: tale era infatti la lettura che il femminismo  radicale dava del matrimonio come “un metodo legalmente sanzionato per controllare le donne”; del rapporto sessuale,” pura, formalizzata espressione di disprezzo per il corpo delle donne”; dell’ accudimento materno dei figli visto come “un compito che impedisce la libertà “; la cura della casa come una schiavitù imposta dall’uomo.

Una società senza sessi

 Il Femminismo radicale ritiene che la lotta tra i sessi debba sfociare in una società senza sessi. Il femminismo radicale ritiene che lo strumento dell’oppressione maschile sia il linguaggio. In che modo il linguaggio costringerebbe la donna in una posizione di inferiorità rispetto all’uomo? Secondo le femministe radicali il linguaggio, in quanto espressione di una concezione maschile della realtà, codificherebbe una visione maschile del mondo che, attraverso l’educazione, forma ruoli, sensibilità, psicologie e relazioni diverse per uomini e donne.

Ad esempio, chiamando Dio con un nome maschile; oppure usando la parola “uomo”per indicare il genere umano, oppure indicando con nomi maschili ruoli sociali importanti ( avvocato, magistrato, giudice, sindaco…) indipendentemente dal fatto che a incarnare quel ruolo sia una donna anziché un uomo,creerebbe l’idea che l’uomo è superiore alla donna. Perché uomo e donna siano realmente uguali, dunque, è necessario agire sul linguaggio.

L’incarnazione del verbo è avvenuta secondo il sesso maschile. Che significa questo? Che la salvezza offerta da Dio agli uomini, l’unione cui sono chiamati con lui, in una parola l’Alleanza, riveste fin dall’antico testamento, presso i profeti,  la forma privilegiata di un mistero nunziale: il popolo eletto diventa gli occhi di Dio una sposa ardentemente amata. Allora si realizza pienamente e definitivamente il mistero nuziale, annunziato e cantato nell’antico testamento: il Cristo è lo sposo; la chiesa è la sua sposa, che egli  ama poiché se l’è acquistata col suo sangue e l’ ha resa gloriosa Santa e  Immacolata, e dalla quale è ormai inseparabile.

Dio incarnatosi in Cristo come Sposo

Dio si è incarnato in un corpo  di  sesso  maschile perché è lo Sposo.

Nei tempi passati era lo sposo che determinava la condizione sociale della sposa ed essa veniva elevata al rango sociale del marito diventando comproprietaria dei suoi beni. È interessante quanto si legge nel catechismo della chiesa cattolica: “chiamando Dio con il nome di padre, il linguaggio della fede mette in luce soprattutto due aspetti: che Dio è origine primaria di tutto e autorità trascendente, e che, al tempo stesso,  è bontà e sollecitudine d’amore per tutti i suoi figli.

Questa tenerezza paterna di Dio può anche essere espressa con l’immagine della maternità, che indica ancor meglio l’immanenza di Dio, l’intimità tra Dio e la sua  creatura. Il linguaggio della fede si rifà così all’esperienza umana dei genitori e, in certo qual modo, solo per l’uomo i primi rappresentanti di Dio. Tale esperienza, però, mostra anche che i genitori umani possono sbagliare e sfigurare il volto della paternità e della maternità. Conviene  perciò ricordare che Dio trascende la distinzione umana dei sessi. Egli non è né uomo né donna, egli è Dio. Trascende pertanto la paternità e la maternità umana, pur essendo nell’origine il modello: nessuno è padre quanto Dio.

La  parola Abbà si trova nella lingua aramaica, che è la lingua usata da Gesù e significa papà, padre, babbo, babbo mio e anche padre nostro.
Gesù è stato il primo a rivolgersi a Dio chiamandolo “Padre”.

San Marco che ha scritto il vangelo in greco, narrando la passione del Signore, riporta l’espressione aramaica usata da Gesù: “E diceva: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu»” (Mc 14,36).

San Girolamo, che ha tradotto il vangelo dal greco in latino, ha lasciato questa parola aramaica. E così, giustamente, hanno fatto anche i traduttori italiani.

Con questo nome anche i cristiani, fin dalla prima ora, si rivolgono a Dio, sottolineando così la particolare familiarità che hanno con Lui, con il quale si rapportano non solo come creature verso il Creatore (come fanno i pagani), ma come figli col Padre: “E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!» (Rm 8,15); “E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!” (Gal 4,6).

Gesù, che ci ha insegnato a pregare, vuole che chiamiamo Dio Padre nostro.

San Tommaso commenta: per sottolineare che ci rivolgiamo a Uno che è infinitamente più desideroso di noi di venirci in aiuto. Lo è immensamente di più di quanto non lo sia un padre umano col proprio figlio.

Dio è certamente al di sopra della distinzione sessuale ma i beni che sono racchiusi nella Sessualità(Donazione di sé e procreazione) in Dio sono al massimo esponenziale. È Dio stesso che si è presentato come padre. Chiamandolo padre, noi usiamo il linguaggio usato da Dio stesso il quale peraltro ha espresso i suoi sentimenti nei confronti dell’uomo paragonandoli anche a quelli di una madre. In  ogni caso non si tratta di una Paternità biologica, come quella che si esprimeva nella mitologia greca e pagana, ma soprannaturale. Dio è padre Perché mediante la grazia santificante comunica agli uomini un germe della sua vita divina  e si relaziona con loro non solo come il creatore con le creature alle quali da tutto ciò che è loro necessario per essere tali, ma li innalza alla sua vita divina facendoli diventare suoi familiari e amici. “A quanti l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio” (Giovanni 1,12).

Ciò significa che prima di accoglierlo non erano figli di Dio. Figli di Dio non lo si nasce, ma lo si diventa e lo si diventa quando si accoglie quel germe di vita santa e divina che egli infonde in noi mediante la grazia santificante. San Paolo quando dice che siamo stati predestinati ad essere suoi figli adottivi (Efesini 1,5) vuol sottolineare che non siamo figli di Dio per natura, ma lo diventiamo per grazia, per benevolenza divina. San Giovanni insiste nel dire che “siamo chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente“! (1 Giovanni 3,1).lo siamo realmente a motivo di quel germe divino (1 Giovanni 3,9) deposto il noi.

Un tempo maledetto

Questo è un tempo maledetto in cui i pazzi guidano i ciechi. La nostra società  è  una malata psichiatrica, l’Occidente politicamente ,follemente corretto in cui siamo stati condannati a vivere dove la civiltà , la verità  e la realtà  sono morte. Alla luce delle considerazioni espresse  e dell’analisi fatte sul significato del maschile e del femminile nella rivelazione cristiana è completamente folle che gli anglicani siano intenzionati a cancellare i riferimenti a Dio padre, e ad abolire i pronomi maschili che lo riguardano nelle scritture e nella liturgia. I  settori ecclesiali definiti “liberali progressisti“ ritengono che l’uso del termine “ padre” e il genere maschile siano una cattiva interpretazione teologica che ha portato al “sessismo attuale”.

I portavoce del religiosamente corretto anglicano, esigono  sviluppare un linguaggio più inclusivo  nella liturgia ufficiale dando l’opportunità ai fedeli di parlare di Dio in una maniera non legata al genere”.

Ci tranquillizza il fatto che le chiese anglicane siano deserte e la liturgia di genere neutro riguarderà pochissimi sfortunati agonizzanti. È mai possibile che  la  chiesa anglicana ignori che l’uso del maschile non  significa che Dio sia maschio?“ Il che è un’eresia. Pertanto le immagini maschili e femminili non sono intercambiabili, talchè il Padre non potrà  essere chiamato madre senza una perdita di significato.

Chissà se a Westminster credono ancora che “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente,che striscia sulla terra” ( Genesi 1,26-28). Per i cultori del gender e del Green i tempi della Bibbia devono essere tempi bui e le parole della Genesi  politicamente scorrettissime.

Il padre nostro è stato dettato da Gesù, ogni intervento sul testo è dunque una manipolazione delle scritture, che per i fedeli sono Parola del Signore.

Ma ad una chiesa fondata da un re, Enrico VIII, non per divergenze teologiche ma per divorziare da Caterina d’Aragona e sposare Anna di Bolena, non interessano le scritture. Gli uomini della chiesa anglicana “hanno abbandonato Dio non per altri dèi, ma per nessun dio” (Thomas Stearins Eliot). Questo non era mai accaduto prima. Per riportare le pecore all’ovile non sarà sufficiente il linguaggio inclusivo, la ritrattazione di alcuni dogmi o la folle neutralizzazione del nome di Dio.

Il neo-anglicanesimo, come una parte del cattolicesimo moderno, sono al servizio del potere, instrumentum regni.  In Inghilterra  dove la religione di Enrico nacque come strumento della corona i pastori fanno bene a porsi al servizio del mondo : è il loro ruolo da cinquecento anni, lo hanno svolto con “grande dovizia e maestria”.

Oggi il potere globale dell’Occidente vuole un‘umanità unisex e transex, promuovendo l’equivalenza e la fluidità gender. Non ci dobbiamo stupire quando  arriveranno a cambiare non il genere, ma il nome di Dio, per esempio in energia cosmica, o qualcosa di simile.

Rattrista però vedere le chiese cristiane arrendersi al nemico senza lottare. Non si rendono conto che i loro padroni gioiscono per la resa incondizionata di un Occidente in agonia su un letto di morte con accanto il  suo Dio diventato genitor*1.

Nell’indifferenza generale si vuole celebrare  il funerale di Dio Padre perché troppi chierici hanno scelto di servire Mammona: non ne vogliono più sapere del Dio Padre.

STATI UNITI D’AMERICA: LA CHIESA DEI DEMONI. Dai Puritani del Nuovo Ordine Mondiale agli Albori di una Nuova Umanità

STATI UNITI D’AMERICA: LA CHIESA DEI DEMONI. Dai Puritani del Nuovo Ordine Mondiale agli Albori di una Nuova Umanità

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Nell’immagine la sfilata organizzata dal Satanic Temple davanti all’Arkansas Capitol con la statua di Baphomet, idolo demoniaco di origine medievale

di prof. ssa Paola Persichetti

Paola Persichetti, oltre ad essere leader del comitato spontaneo La Gente come Noi nella lotta contro l’imposizione di Green pass e Vaccini obbligatori, è Laureata in Lingue e Letterature Straniere, inglese, francese, lingua e Cultura ebraica, all’Università di Perugia con  110/110, bacio accademico e menzione d’onore.  Corso di storia e del Cristianesimo antico, università Perugia. Master universitario in fonti, storia, istituzioni e norme del Cristianesimo ed Ebraismo.

 Siamo agli albori di una nuova umanità: Manovre che hanno cambiato per sempre la storia dell’umanità

In questo scritto, si vogliono indagare le radici invisibili dei gravi errori strategici commessi negli ultimi decenni dalla potenza egemone occidentale, gli Stati Uniti d’America; le cercheremo dove è meno facile scorgerle: nel  mito fondativo americano, nella religione civile d’America, nei momenti più profondi e meno consapevoli della psiche americana.

Gli Stati Uniti d’America una “CHIESA” tra Sacra Narrazione e il suo Demone

Il 4 luglio 1776, gli stati uniti furono battezzati con queste parole :” Ci impegniamo reciprocamente con le nostre vite, le nostre fortune e il nostro sacro onore”. È nata una nazione con questo giuramento designando Gli Stati Uniti come il culmine futuro della storia.

Il nuovo mondo fu colonizzato, principalmente, da Olanda e Inghilterra e dai loro dissidenti religiosi o calvinisti estremisti e radicali. Essi si dicevano “lontani dalla vecchia Europa“, come Lutero ci voleva “lontano da Roma“, infatti per i calvinisti americani anche il protestantesimo classico o luteranesimo europeo era intollerabile. I protestanti del nuovo mondo si presentavano come “la nuova Gerusalemme“.

Gli Stati Uniti, con un ardente fervore religioso, credendo di possedere una vocazione superiore a redimere l’umanità, punire i malvagi e battezzare l’età dell’oro sulla terra entrano in una narrazione sacra. Era il nuovo Israele di Dio che aveva una missione da compiere servire l’uomo. L’America è la nazione eccezionale, l’unica, la pura di cuore, la battezzatatrice e la redentrice di tutti i popoli umiliati e oppressi.

Questo è il catechismo della religione civile americana.

Oggi  possiamo davvero comprendere il pensiero e l’azione americani solo attraverso la lente della religione. La narrazione sacra governa gli americani: governa ciò che pensano, dicono e fanno.

Il problema è: chi controlla questa narrazione sacra?

Naturalmente, Il Vangelo americano è Inestricabilmente legato alla Riforma e alla sanguinosa storia del protestantesimo: non può sfuggire alle sue origini cristiane calviniste.

Il concetto puritano /calvinista di vocazione, “secondo il quale il cristiano si dimostra strumento di Dio non negli eroismi della vita monastica, ma accettando la propria posizione nel mondo, operando con successo nel regno del demonio“ (Bonazzi, dizionario di politica, Torino, Utet) è entrato nel sangue degli USA; tra “vocazione o ascesi terrena e mondana“, di cui parla il professor Tiziano Bonazzi, è tipica del calvinismo puritano, dell’americanismo e oggi del neo-conservatorismo cristianista.

Conseguenze importanti del puritanesimo: l’origine delle colonie americane

I padri Pellegrini che emigrarono nel 1620, sul Mayflower, in America erano puritani .Costoro crearono quella borghesia dei commercianti inglesi, severi, avidi di guadagno, che consideravano la ricchezza come una benedizione del cielo e la povertà come l’effetto del vizio.

I puritani trasferitisi in America erano convinti di essere il popolo eletto al quale era stata destinata quella terra ricca e potente, una sorta di paradiso in terra o di terra promessa. Georges Batault mostra  molto bene l’affinità tra giudaismo talmudico e puritanesimo. La pseudo-riforma protestante, spiega l’autore, è stata essenzialmente antiromana ed ha scoperto nella tradizione ebraica sia lo spirito di rivolta e il millenarismo sia la mentalità affaristica che è propria del liberismo anglo-americano.

Il ruolo degli ebrei e dei puritani in America è talmente congiunto che non è possibile distinguerli. Sotto  l’influsso giudaico-puritano, gli Stati Uniti d’America sono diventati la più grande potenza economica, politica e militare e, tramite l’America, lo spirito ebraico-puritano si è diffuso in tutto il mondo.

Mentre in Europa il giudaismo non si è potuto avvalere della religione madre europea, il cattolicesimo romano, che, anche qui, ha esercitato la sua funzione di “colui che trattiene il mistero di iniquità operante nel mondo“ (San Paolo), in America, invece, la religione predominante nel nuovo mondo, il puritanesimo, gli ha dato non solo tolleranza ed emancipazione assimilatrice, ma la piena libertà religiosa, sociale e politica, che lo ha reso un tutt’uno con l’americanismo e ne ha fatto il padre cofondatore degli Stati Uniti: Il puritanesimo e l’ebraismo sionista sono coessenziali e tendono teologicamente al dominio del mondo e alla sua trasformazione in una sorta di paradiso in terra, grazie al benessere materiale ottenuto mediante lo spirito liberal-mercantilistico.

La Massoneria figlia della Riforma 

Il ruolo del protestantesimo gioca un ruolo importante anche nella genesi della massoneria, tale verità è stata troppo spesso passata sotto silenzio. La massoneria è in parte di origine protestante; resta in stretto collegamento con la chiesa anglicana;  la sua ideologia è prossima a quella del protestantesimo/ calvinismo.

Ciò si può evincere da una Breve storia della Massoneria pubblicata in precedenza dal direttore di Gospa News.

Il liberalismo ha abbracciato il protestantesimo e il suo “ pecca fortier”. Il liberalismo è la rivoluzione.

È il padre di ogni altra rivoluzione: quella protestante, quella illuminista, quella marxista, quella sessuale.

Il problema del momento presente è quello di acquisire delle idee chiare su alcune entità che dirigono il mondo: l’americanismo , il suo padre, ossia il giudaismo post biblico e la massoneria americana che partorisce” logge massoniche occultiste ed elitarie volte a propalare l’ideale suprematista di un Nuovo Ordine Mondiale”

Il Papa della massoneria americana fu Albert Pike che nel 1859 divenne Gran  Maestro del Rito Scozzese Antico e Accettato.

La nostra piccola storia comincia nel medioevo, in Italia… a Firenze

Dobbiamo fare molta attenzione a non trarre conclusioni affrettate.

L’Italia non è una terra qualunque, Lo abbiamo già constatato in questi tre lunghi anni di pseudo-pandemia. Anche la Toscana non è una regione qualsiasi: GSK Vaccines Institute for GlobalHealth a Siena.  Larry Fink, “un miliardario americano di origine ebraica che rappresenta l’epifenomeno della cultura Sionista”. Il fondo newyorkese di Fink è un azionista di rilievo della GlaxoSmithKline (GSK).

La famiglia dei Medici

La famiglia dei Medici  era originaria del Mugello; già dal XII secolo si erano trasferiti in città e avevano intrapreso il commercio della lana e dei suoi lavorati.

La manifattura laniera si rivelò una fonte inesauribile di guadagno e la gestione del denaro cominciò a produrre molti utili. Come accade sempre, la gestione del denaro cominciò a produrre più utili della manifattura laniera; così si aprì ufficialmente il Banco Dei Medici  che, in poco tempo, divenne enormemente importante anche a causa della riscossione delle decime per conto del Papa.

Il possesso di ingenti somme di danaro liquido generarono  due cose: Prestito ad usura  e il mecenatismo (accademia neoplatonica).

L’usura, considerata peccato mortale dalla teologia morale cristiana, veniva praticata dal Banco dei Medici . Nonostante ciò non  venne mai esplicitamente condannata: come poter d’altro canto accusare il banchiere del Papa?

Anche le grandi donazioni fatte alla Chiesa (Rinascimento) contribuirono a tapparle la bocca; non solo riguardo all’usura ma anche riguardo al particolare interesse che la famiglia dei Medici riservava allo studio delle arti oscure, ancora più proibite dell’usura.

Una volta superata la soglia morale dell’usura, una volta che si è cominciato a fare denaro con il denaro, ogni altro mezzo diventa lecito. Persino l’alchimia,che aveva come scopo, guarda caso, la creazione di oro dai metalli vili.

La giustificazione venne fornita dal neoplatonismo gnostico che considera lecito ciò che è illecito e buono ciò che è cattivo.

Se è lecita l’usura, è lecito anche l’amore sensuale e passionale. Sparisce l’amore puro, sacro e verginale rappresentato dalla Madonna e al suo posto (ri)nasce Venere, la dea pagana dell’amore carnale, sensuale.

Il rifiuto delle leggi morali e religiose, il ritorno al paganesimo e la ricerca di collusioni con il potere religioso condussero a una rilevanza sempre maggiore del cattolicesimo nella vita dei fiorentini. Irreligiosità e amoralità sono caratteristiche di questo periodo. (Carissimi lettori trovate correlazioni con il periodo odierno?)

E continua a Londra

Questo quadro italiano venne esportato in Inghilterra dove nel 1535 Thomas Cromwell  diventato vicario generale del re e suo principale consigliere, fece diventare legale l’usura secondo il modello fiorentino.

Ma la chiesa in Inghilterra era molto forte per  poter attuare il progetto fiorentino e pertanto andava indebolita: Cromwell iniziò una capillare opera di spoliazione dei monasteri inglesi a favore della corona. Chi si opponeva veniva semplicemente ucciso.

Fu Thomas Cromwell  ad  infilare nel letto di Enrico VIII la cortigiana Anna Bolena e a sostenerne le illegittime richieste di divorzio.

A questo punto l’individuo è solo di fronte al potere politico, al quale non gli resta che sottomettersi. La liberazione sessuale è controllo politico ( E.Michael Jonson).

Questo concetto è profondamente radicato nella teologia cattolica. L’ Uomo libero è colui che segue la ragione, il logos; chi segue le passioni non è libero, bensì schiavo. Per ridurre schiavitù qualcuno, quindi , è sufficiente renderlo schiavo delle passioni; e, tra tutte le passioni, quella più facile da utilizzare è la concupiscenza. Nella Bibbia abbiamo uno splendido esempio di come l’avversario più temibile possa essere reso assolutamente innocuo mediante questa passione: è la storia di Giuditta, che sconfigge, con le sue grazie, il terribile Oloferne, generale dell’esercito assiro.

Per questo motivo, il libro di Giuditta è stato eliminato sia dalla Bibbia ebraica che da quella protestante. Per quanto riguarda i protestanti, la storia ricorda molto ciò che accadde al re Enrico VIII, Defensor Fidei, che  si macchiò di numerosi peccati (scisma, adulterio, omicidio…) a causa dell’avvenenza di Anna Bolena.

Chi era Thomas Cromwell?

Figlio di un birraio di Putney (a sud ovest di Londra ) aveva combattuto come mercenario nelle Fiandre e in Italia ma rimasto disoccupato si fece assumere dai banchieri Frescobaldi ed inviare in Belgio per spiare i banchieri di Anversa, concorrenti dei fiorentini.

Il figlio del birraio, fece carriera come spia lavorando anche in Vaticano e insieme ad un’altro personaggio, il cardinale Thomas Wolsey, fecero in poco tempo una splendida carriera, scalando il potere e accumulando importanti ricchezze.

Cromwell non era solo un’abile spia ma gli anni che aveva passato al servizio dei Frescobaldi  avevano fatto di lui un esperto in tecniche bancarie fiorentine senza scrupoli. Nel 1535 Cromowell  divenne vicario generale del re e suo principale consigliere ed è in questa veste che fece diventare legale l’usura secondo il modello fiorentino; e iniziò una capillare opera di spoliazione dei monasteri inglesi a favore della corona.

Eliminata dall’Inghilterra la Chiesa Cattolica ed essendo re Enrico il capo della nuova chiesa nazionale, non c’era più nessun freno morale che impedisse le più spregiudicate imprese finanziarie.

La riforma luterana forniva una giustificazione con la sua morale così distante da quella cattolica:” Esto peccator et pecca fortiter, sed fortius Fide et gaude in Cristo”, Puoi commettere il peccato e commetterlo senza ritegno, ma credi ancor più fortemente e rallegrati in Cristo.

Cosa mancava affinché il modello fiorentino fosse ricomposto e riprodotto in ogni suo aspetto in Inghilterra ? Mancava lo studio della magia e il suo riconoscimento ufficiale. Elisabetta I rimediò scegliendo come consigliere e astrologo John Dee:  si dedicò alla ricerca della pietra filosofale, contattò medium, fece esperimenti di necromanzia per capire i segreti della produzione alchemica dell’oro.

Fu lui ha creare l’imperialismo britannico (la tradizione voleva che i Tudor fossero discendenti di re Artù, Elisabetta era legittima sovrana di tutte le terre scoperte da quel personaggio; a queste andavano aggiunte quelle raggiunte dal monaco irlandese Brandano. Ciò significava che le isole britanniche, l’oceano Atlantico e il Nord-America erano domini britannici. Non solo: essendo la regina Elisabetta legittima erede delle corone di Spagna e Portogallo, era anche la sovrana di gran parte dell’America meridionale).

È necessario trovare una giustificazione

Come giustificare filosoficamente quanto era accaduto fino a quel momento? Ci pensò Francis Bacon, spia con Elisabetta e Grand commis, alto funzionario di Stato con Giacomo I  di Inghilterra con il quale condivideva l’interesse per l’occulto e per i giovani uomini. Con Bacon non esiste più un bene o un male, un giusto o uno sbagliato, non esiste alcun Logos, alcun ordine universale al quale conformarsi perché la sua esistenza non è verificabile con un’esperimento.

La Royal Society avrà come scopo di approfondire e diffondere la filosofia di Bacon. Non possiamo non menzionare Thomas Hobbes che trasse le conseguenze da quanto scritto da Bacon: se la legge naturale, che proteggeva i deboli, è abolita, il debole è ora alla mercé del forte.

L’uomo hobbesiano non è guidato dalla ragione come nell’antropologia classica, bensì dalle passioni e dal desiderio. ( sarà questo il motivo per cui, oggi, l’industria del porno, che fattura circa 100 miliardi di dollari l’anno, mette i suoi prodotti a disposizione gratuitamente a qualsiasi ora del giorno e della notte? Quale altra industria lo farebbe?).

Locke prosegue  l’opera  di giustificazione negando l’esistenza di leggi morali e religiose innate, assolute e universali. Secondo Locke, gli  unici modi per conoscere qualcosa sono l’esperienza e l’osservazione: la realtà materiale non può essere conosciuta con le realtà metafisiche ( empirismo). Nessuna autorità morale o religiosa può interferire con le scelte di un individuo (scrive Locke).

La demolizione della metafisica procede con Isaac Newton: Newton e Locke sono  entrambi membri della Royal Society, entrambi erano ariani negando la divinità di Cristo, entrambi  alchimisti. Non si dimentichi che Newton fu l’ultimo dei maghi, l’ultimo dei babilonesi e dei sumeri.  Divenne guardiano della zecca reale, a Londra e successivamente venne nominato direttore generale in qualità di matematico, astronomo e alchimista.

Queste poche pennellate sull’usura, sulla magia, sull’alchimia, sull’astrologia, sugli adulteri, sull’ espropriazione dei beni della Chiesa, sull’imperialismo, sul colonialismo non sarebbero complete se non facessimo riferimento anche all’eugenetica che fa i suoi primi passi proprio in quel periodo.

La riforma anglicana con l’espropriazione di tutti i beni ecclesiastici produsse una spaventosa ondata di povertà: moltissimi  inglesi che vivevano nelle e delle proprietà della Chiesa si trovarono da un momento all’altro senza casa e senza mezzi di sostentamento. Ma questo fu solo l’inizio perché tutte le terre demaniali divennero private e recintate. Charles Dickens, nei suoi romanzi descrive molto bene questa massa di povera gente che inurbandosi  si trasforma in sotto- proletariato.

Thomas Robert Malthus  studiò il problema e trovò la soluzione nel limitare artificialmente la crescita della popolazione depopolazione (cari lettori notate delle correlazionei con i nostri tempi?).

Furono queste idee che ispirarono un giovane biologo, Charles Robert Darwin.

Egli nel 1838 lesse il saggio di Malthus e  questo  gli permise di assemblare una teoria sull’origine delle specie : Selezione naturale malthusiana in un universo Newtoniano , meccanico, a-morale e a-teologico. La lotta per la vita si risolve nella sopravvivenza del più adatto. Con Darwin sorge una nuova religione: la scienza (h). Bacon era il suo Abramo e Darwin il suo Mosè.

Per compiere tutti questi delitti, i liberali hanno dovuto rifiutare la legge naturale e le sue manifestazioni, le leggi morali e religiose. Per fare ciò hanno abbracciato il protestantesimo e il suo pecca fortiter, decretandone la fortuna; poi  hanno dichiarato la ragione incapace di cogliere la verità di quelle leggi che avevano infranto; hanno deriso la metafisica, insultato Aristotele; hanno creato dal nulla una nuova filosofia che giustificasse le loro azioni; ne hanno fatto lo strumento per costruire un mondo nuovo che fosse al loro piacimento. In poche parole hanno rifiutato il logos.

Questo è il liberalismo. Il liberalismo è la rivoluzione.

Il liberalismo è la rivoluzione

 Il liberalismo è il padre di ogni altra rivoluzione: quella  protestante, quella illuminista, quella marxista, quella sessuale. Per affermarsi ha dovuto distruggere un mondo costruito in armonia con il logos, il mondo in cui la filosofia del Vangelo governava la società che aveva tratto  da tale ordinamento frutti inimmaginabili, la memoria dei quali dura e durerà, come Papa Leone XIII afferma nella lettera enciclica “Immortale Dei”1885.

 A questo punto possiamo affermare che il capitalismo emerge come un virus da un mondo cattolico indebolito: quando  il cattolicesimo è forte e sano il capitalismo non può manifestarsi. Il  capitalismo precede e fomenta lo sviluppo del protestantesimo che, soprattutto nella sua versione calvinista puritana non è altro che un ritorno all’ebraismo.

Cristo è scandalo per  Giudei  ( 1Cor 1,17-25)

Perché Cristo non è stato riconosciuto come il Messia annunciato nell’antico  testamento da parte degli ebrei? Israele rifiuta la figura del servo sofferente-crocifisso profetizzato dal libro del profeta Isaia. Gli ebrei hanno bisogno di eroi vincenti, rifiutano la figura del Cristo perché perdente ( muore in croce perdonando i suoi nemici). Il figlio di Dio doveva uccidere i propri nemici così come Dio precipitò nel mare cavallo e cavaliere egiziani durante la traversata del Mar Rosso.

L’archetipo del supereroe ebraico è Mosé, che con Superman ha molto in comune.

Gli inventori dei supereroi di carta sono gli ebrei. Da Superman a Batman, passando per X-Men, Daredevil, Spider-Man, Thor…….. Se leggiamo i nomi dei padri dei supereroi a fumetti è come scorrere i banchi di una sinagoga: le prime storie a fumetti sono in lingua yiddish  e quando decidono di fare il salto nel mercato si americanizzano il nome.

Calvinismo e ritorno all’Ebraismo            

Voegelin “ la religione civile e millenaristica americana ha le sue radici nel protestantesimo, in particolare nel credo calvinista frutto di una esegesi della Scrittura priva della prospettiva “ cristologica” che ci fa ritornare all’ebraismo.

In sintesi L’enfasi viene posta sul vecchio testamento che viene letto  negando che si parli di Cristo e non si annunciasse la sua venuta.

A questo punto è doveroso fare alcune precisazioni: “il giudaismo rabbinico“ non è una religione fatta di dogmi e morale, ma piuttosto una forma di vita o una pratica storico-religiosa. Il  giudaismo rabbinico non è la religione mosaica o vetero-testamentaria, esso si fonda non sull’antico testamento(Legge e profeti,) ma sul Talmud, secondo cui Israele è il popolo santo che deve salvare e dominare il mondo. Il  giudaismo rabbinico, quindi è essenzialmente sionista.  La  questione giudaico-americana consiste nel fatto che il nuovo mondo fu colonizzato, principalmente, da Olanda e Inghilterra e dai loro dissidenti religiosi o calvinisti estremisti radicali.

Calvinismo, Massoneria e Sionismo sono le tre componenti principali dell’americanismo, come tale l’America (e il sionismo, di cui gli USA sono la seconda “Terrasanta“) è essenzialmente distinta dall’Europa. La filosofia americana è antimetafisica e quindi anti greco-romana, la politica è massonica e filosionista.

L’Europa rinascerà solo se tornerà alle sue radici (metafisica greca, patristica e scolastica), ritrovando la sua vera identità culturale.

Si comprende così perché il popolo ebraico/puritano americano nato dai padri fondatori, si autoproclama strumento per la purificazione del resto del mondo “ terra di Satana”.

Nel cuore di un uomo americano troviamo l’eterna lotta tra la luce e le tenebre, il bene e il male con una grande differenza con l’esegesi cristiano apostolica ( cattolica ed ortodossa) espressa nel libro dell’apocalisse dove non viene annunciato nessun Regno dei cieli sulla terra bensì la salvezza oltre l’orizzonte terreno.

Il millenarismo è sempre stato respinto dal cattolicesimo e dall’ortodossia.

Il nuovo ordine mondiale, dal 2019 sino ad oggi si è definitivamente installato come una dittatura o meglio come una tirannia su scala globale. Dobbiamo tenere bene a mente come il puritanesimo (che ha giocato in America il ruolo che la massoneria ha avuto in Europa a favore del giudaismo) e l’ebraismo sionista siano cooessenziali e tendono teologicamente al dominio del mondo.

La lobby sionista rappresenta uno dei potentati più forti nel business degli armamenti e delle Big Pharma,  divenute sempre più ricche e prepotenti grazie ad una pandemia pianificata da decenni da esponenti del nuovo ordine mondiale . (Lobby sioniste Fabio Carisio)

Il giudeo-americanismo è il vero problema dell’ora presente: esso  con  l’attuale politica americana ci ha portati sull’orlo di un immane conflitto nucleare, che rischia di esplodere a partire dalla situazione che si è venuta formando in Ucraina-Donbass nel gennaio 2022.

 Svolta Storica e Guerra

Addentriamoci ora nella storia militare, nella strategia e nell’antropologia volendo rischiarare uno degli aspetti più enigmatici della presente svolta storica.

Indaghiamo insieme a Vlahos  le radici invisibili dei gravi errori strategici commessi negli ultimi trent’anni dalla potenza egemone occidentale, Gli Stati Uniti d’ America .

Partendo dalla religione civile d’America che è infiammata da un’apocalisse eternamente ricorrente dove la guerra è il suo rituale di purificazione.

La religione civile americana inestricabilmente legata , come già detto,al cristianesimo calvinista e alla Sanguinosa storia del protestantesimo, dove tra le varie denominazioni protestanti, quella che più incarnanò lo spirito di ribellione alle leggi morali e religiose fu il calvinismo / puritanesimo.

Il calvinismo accentuò il ritorno all’ebraismo; aborre il sacrificio di Cristo; Ignora il nuovo testamento e si concentra esclusivamente sul vecchio ; come  l’ebraismo farisaico , pratica libero esame della scrittura . Vangelo americano:   se siamo caduti nella corruzione, dobbiamo essere purificati e resi di nuovo degni di agire come Redentore del mondo. Per i suoi peccati, una narrazione sacra corrotta non può trovare espiazione. La rinascita esige quindi il passaggio attraverso il fuoco purificatore della guerra. Il demone  dell’ossessione per il potenziale purificatore e consacrante delle prove e dei terrori insiti nella guerra nascosta  nei meandri della letteratura sacra.

La nascita stessa dell’America come nazione è radicata in questo invasamento demoniaco della guerra. Essi si  ritengono in missione per conto di Dio, come ci ricorda  El Wood Blues. L’America è stata incaricata da Dio o dalla provvidenza e quindi porta con sé la sua autorità, con il popolo americano che funge da agente Divino. Con la fondazione dell’America, questa voce divina-che si leva al di sopra e dall’esterno ma che sorge anche dall’interno-diviene immanente nei fondatori dell’America e nei suoi “eletti”. La salvezza del mondo è affidata all’America, che deve assumersi il compito di rovesciare punire i malvagi, di inseguire e abbattere il male stesso.

L’America rappresenta la luce che lotta contro l’eterno lato oscuro-questo è il fondamento del manicheismo americano. Infine, come una Lucerna messa sopra il moggio, l’America rappresenta la nazione scelta da Dio, il cui popolo ha il compito sacro di mantenere la promessa post millenaria del regno dei cieli sulla terra.

La soluzione del 900 dell’America è stata quella di trasformare il nemico distillando tutto il male e il peccato in un individuo satanico che fosse la nuova personificazione del male. Quindi il nemico primordiale dell’America non erano i tedeschi, ma Hitler; non  i sovietici, ma Stalin; non i russi, ma Putin. Il male personificato come anticristo è stato il santo dei santi nella formula di redenzione dell’America per quasi un secolo.

Dove siamo diretti in questa melodrammatica prova?

Gli Stati Uniti sono governati dalla loro religione civile, non dall’ideologia. Gli americani sono guidati da una narrazione sacra. Tuttavia, a guidarla è sempre un piccolo gruppo di élite fanatiche, che guidano una storia che può realizzarsi solo in guerra. Tuttavia ci troviamo di fronte alla battaglia che ci viene imposta con la forza. La realtà è che gli Stati Uniti stanno ora sfidando aggressivamente le due maggiori e più pericolose grandi potenze, La Russia e la Cina.

Gli Stati Uniti hanno iniziato e completato il loro fatidico passaggio come incarnazione di ordini divini: da un “Nuovo Ordine per i Tempi” alle “ Nazioni Unite”, a un Nuovo Ordine Mondiale”,e infine a uno liberale “Ordine basato sulle Regole”. Ma questi cosiddetti ordini sono un simulacro del demone che si nasconde nel profondo della narrazione sacra americana : la fissazione  per il fuoco purificatore della guerra, che ci ha spinti all’eccesso, e sull’orlo della rovina. Ci troviamo in un momento dove è stata finalmente disvelata la tirannia globale.

Detto ciò ci sorge spontanea una domanda: “ Il complotto demo-pluto-giudaico-massonico esiste ancora“?  Fabio Carisio fa una capillare ricostruzione dei rapporti tra l’istituzione massonica e il protestantesimo in Europa e particolarmente in Italia dalla fine del settecento alla prima guerra mondiale.

Tutte le nazioni protestanti e massoniche del mondo nell’800 ma anche gli Stati Uniti, che erano nati da poco, parteciparono con molto zelo a finanziare, a consigliare quelli che fecero l’unità d’ Italia perché fare l’unità d’Italia aveva come obiettivo l’arricchimento di un’Elite che avevano rubato i beni della chiesa e ridotto la maggioranza della popolazione italiana a diventare un popolo di emigranti, che non aveva più una lira.

Le nazioni massoniche e protestanti avevano come obiettivo principale e ideologico quello di trasformare Roma da caput Mundi a caput Italiae, perché è evidente che Roma come capitale d’Italia finì di essere Roma. Una potenza spirituale come l’Italia venne così trasformata in una colonia da parte di coloro che avevano più potere.

La nostra storia che è partita dall’Italia attraversato l’Inghilterra , giunta in Olanda e poi ha navigato fino al Nuovo Mondo ci ha riportati in Italia: identità italiana che si è formata grazie alle sue radici cristiane. Grazie a quel patrimonio di cultura e di arte fiorito nell’humus Cristiano…

“CHI TI AMA, TI PROTEGGE” MA… NON TI VACCINA! Morti Improvvise nei Bimbi: Strano Screening Cardiaco di Medici NO-VAX (Frajese) e ASL PRO-VAX

“CHI TI AMA, TI PROTEGGE” MA… NON TI VACCINA! Morti Improvvise nei Bimbi: Strano Screening Cardiaco di Medici NO-VAX (Frajese) e ASL PRO-VAX

Indice dei contenuti

In quei giorni comparve Giovanni il Battista a predicare nel deserto della Giudea, dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli è colui che fu annunziato dal profeta Isaia quando disse:
Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!”
Vangelo di San Matteo Apostolo ed Evangelista (Mt. 3,1-3) – Sacra Bibbia


Nell’immagine di copertina la locandina del Convegno di Perugia “Chi ti Ama ti Protegge” e due degli illustri partecipanti: il dottor Giovanni Frajese (destra) e il presidente del COSAU Alessandro Montedori (sinistra), responsabile del Servizio programmazione socio sanitaria dell’assistenza distrettuale e ospedaliera della Regione Umbria

di Paola Persichetti
Presidente Associazione Trilly APS – La Gente come noi di Terni

Chi ti ama Ti protegge: Screening Cardiaco 0-14 anni

Il comitato #DifesaMinori sostiene le iniziative regionali e nazionali per gli screening cardiaci in fascia di età da 0-14 anni. Finora hanno presentato le proposte salvavita, il consigliere Marco Cipolletti [ L’Abruzzo], e Valerio Mancini [per l’Umbria].

L’evento dal titolo chi ti ama ti protegge, ha esaminato a fondo le ragioni di una proposta quella di uno screening cardiaco per la fascia di età da zero a 14 anni. È questa la risoluzione 80/V in esame presso la Commissione Sanità della Regione Abruzzo. Nico Liberati, segretario generale del comitato promotore che sostiene l’evento, dichiara di svolgere un’azione di profondità sul territorio grazie ad azioni di prossimità, Incontrando i cittadini, le autorità civili e militari.

Alcuni degli allarmanti dati proiettati durante il Convegno

“Giovedì 8 giugno a partire dalle 17.30 nella Sala Brugnoli di Palazzo Cesaroni si è tenuto il convegno ‘Chi ti ama ti protegge’. – il Consigliere Valerio Mancini (Lega) – ad aprile scorso è stato contattato dal collega Consigliere della Regione Abruzzo Marco Cipolletti, promotore della Proposta di Risoluzione per istituire lo screening cardiologico specifico per la fascia 0-14 anni d’età, che lo ha invitato a partecipare al convegno su questa tematica che si è svolto prima a Teramo, poi a L’Aquila, Rieti e Parma. Mancini ha subito aderito a questa iniziativa presentando alla Presidente della Terza Commissione il testo della Risoluzione adattato alla Regione Umbria, chiedendone la condivisione con tutti i membri perchè tutelare la salute dei bambini e dei ragazzi deve essere una priorità comune a tutti. Si è attivato affinché anche a Perugia si tenesse questo importante convegno che ha visto la partecipazione di professionisti della sanità e del diritto “.

Dopo i saluti istituzionali del Presidente dell’Assemblea Legislativa Marco Squarta, sono intervenuti il Dottor Giovanni Frajese, docente di endocrinologia, il Professor Giulio Pedone, docente di oftalmologia, il Professor Alessandro Capucci, docente di cardiologia, il Sostituto Procuratore Generale della Corte d’Appello di Cagliari, Sergio De Nicola, la Presidente della Commissione Pari Opportunità della Regione Abruzzo, Maria Francesca D’Agostino e ovviamente il Consigliere Regionale d’Abruzzo Marco Cipolletti.

Nel corso degli incontri precedenti erano emersi dati allarmanti che testimoniano un aumento delle morti infantili negli anni successivi alla pandemia  Quella di giovedì 8 Giugno è stata un’ulteriore occasione per approfondire questo tema e per cercare di dare risposte ai troppi interrogativi ancora in sospeso.

Il Comitato Difesa Minori cura con attenzione l’organizzazione di questi eventi cercando una collaborazione con le istituzioni per riuscire a fare qualcosa di concreto per i ragazzi .Mancini sostiene il progetto dello screening considerato fondamentale per prevenire decessi : “per questo è importante che la Regione Umbria si adoperi affinché, in una fase iniziale, almeno a 5.000 tra bambini e adolescenti venga data l’opportunità di eseguire controlli cardiologici specifici”.

Una Discriminazione tra i Bambini Vaccinati

Tale affermazione va immediatamente contestata perché opera una scelta discriminatoria nei confronti di tutti gli altri soggetti che rimangono esclusi dai controlli. Lo screening è un diritto di cui tutti dovrebbero beneficiare soprattutto se si è stati sottoposti all’inoculazione del farmaco genico sperimentale mRNA messaggero anti COVID 19 che sta causando tante pericarditi e miocarditi in soggetti giovani.

Gli incontri salvavita sono previsti anche in altre regioni, prossimo il lancio in Sardegna a Sassari e Liguria a Genova”. Conclude Nico Liberati Portavoce del comitato #DifesaMinori:

”Bisogna fare subito, Euromomo l’Istituto Europeo che si occupa di raccogliere e monitorare i dati della mortalità in Europa, segnala un drastico aumento della mortalità in fascia 0-14 anni. Visto che non esiste alcuna legge che disciplini la morte improvvisa giovanile e la corretta identificazione della sua causa, occorre sollecitare misure urgenti, per prevenire i casi di morte improvvisa in età infantile”.

“L’obbligatorietà dell’autopsia per le morti improvvise giovanili, oltre specifici prelievi per esame tossicologico e molecolare, ma anche la creazione di una rete di riferimento, di percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (PDTA), interventi di formazione ed informazione, di promozione della ricerca scientifica e di prevenzione, sono volti ad attuare strategie per l’identificazione di famiglie e/o popolazioni a rischio, nonché per la creazione di un Registro Nazionale e l’Istituzione di una commissione tecnico-scientifica ministeriale specifica.“

La mia partecipazione all’evento è stata soprattutto dettata dalla volontà di voler tutelare ed informare tutti i soggetti che sono stati in maniera trasversale obbligati o non ,dall’inoculazione del farmaco genico sperimentale. Già da due anni come presidente dell’associazione TRILLY La Gente come noi APS sto portando avanti, insieme a tutti i soci, una lotta volta all’informazione dei cittadini sui diritti che tutti i pazienti dovrebbero conoscere per poterli esercitare.

La conoscenza, in questo momento storico, è l’unica arma che abbiamo a disposizione per poter contrastare e smentire la narrazione falsa e allarmista che ci è stata propinata.

Dopo aver ascoltato i vari interventi e notando fin da subito delle contraddizioni in essere ho chiesto di intervenire per fare una precisazione che riguardava l’autorizzazzione condizionata dell’immissione in commercio di tali farmaci ,dal momento che questo aspetto veniva del tutto ignorato e taciuto dai relatori.

L’intervento mi è stato impedito con la promessa che mi avrebbero dato la parola alla fine. Ho pazientemente atteso la fine degli interventi per poter prendere la parola e puntualizzare quali fossero, secondo me, gli aspetti critici, omissivi e fuorvianti dell’iniziativa così strutturata. L’oggetto dell’intervento è stato ridotto sia dal mediatore e organizzatore dell’evento, Nico Liberati, che da una esortazione del prof. Vanni Frajese preoccupato che potessi rovinare l’idillio dicollaborazione che si era instaurato con le istituzioni.

Il Rapporto del Paziente col Medico Pubblico Ufficiale pagato dalle ASL

Pertanto vorrei puntualizzare ciò che non mi è stato possibile fare in presenza l’ 8 giugno 2023 a palazzo Cesaroni collaborazione fra medico e paziente nell’ottica del rapporto di

– Queste sono tutte le leggi in materia (D. Lgs. 502/92, L. 208/15, dpcm12 gennaio 2017, art. 4 – Assistenza sanitaria di base – e DM 1/2/1991, art 5, nonché, in particolare, il D. Lgs. 124/98 che disciplina le prestazioni erogate senza oneri a carico dell’interessato, art. 1, comma 4, lett. b), nonché le istruzioni fornite dalla Federazione Italiana MMG (FIMMG), la quale chiaramente e correttamente elenca il codice in questione nel suo vademecum per gli iscritti.

La preoccupazione dei relatori di vedersi interrompere un dialogo con le istituzioni, che dopo due anni sono disposte a collaborare perché preoccupate per la nostra salute, è dettata da una confusione di molti medici che scambiano per minacce le richieste lecite dei pazienti, semplicemente perché non rammentano l’Accordo collettivo nazionale.

Ricordiamoci sempre che, da Accordo collettivo nazionale (ACN), fra i compiti del medico ci sono anche:

l’appropriatezza delle scelte assistenziali e terapeutiche, la necessità di un uso appropriato delle risorse messe a disposizione dal Servizio sanitario nazionale, nonché l’adesione a specifici progetti concordati a livello regionale e/o aziendale; lo sviluppo e la diffusione della cultura sanitaria e della conoscenza del Servizio Sanitario Nazionale nonché del corretto uso del farmaco nell’ambito della quotidiana attività assistenziale, fatta salva la partecipazione a specifici progetti concordati a livello regionale e/o aziendale, nei confronti dei cittadini attraverso la loro sensibilizzazione alle tematiche concernenti in particolare:

  • l’osservanza di comportamenti e stili di vita positivi per la salute;
  • la donazione di sangue, plasma e organi;
  • la cultura dei trapianti;
  • il sistema di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie e il regime delle esenzioni;
  • l’esenzione dalla partecipazione alla spesa in relazione a particolari condizioni di malattia;
  • la necessità di un uso appropriato delle risorse messe a disposizione dal Servizio Sanitario Nazionale.

I Doveri del Medico sulla Somministrazione dei Vaccini

Questo significa che il MMG (medico di medicina generale), che nell’esercizio delle sue funzioni è un pubblico ufficiale (e quindi risponde in maniera più grave di eventuali violazioni di legge) deve conoscere le modalità di somministrazione, il regime di esenzione (o meno), valutare l’appropriatezza di un farmaco in base alle istruzioni del produttore e delle autorità e alle effettive condizioni dell’assistito e alle conoscenze necessarie per fare tale valutazione.

Sarebbe davvero terribile se il nostro medico di base o gli illustri medici specialisti presenti all’evento non sapessero che questi non sono vaccini, ma sono terapie avanzate secondo la normativa europea che disciplina i farmaci, n. 83….del 2001.e che sono tutti a prescrizione obbligatoria! Se si rifiutasse di assistere il proprio paziente nella valutazione del farmaco migliore per lui… verrebbe addirittura meno ai suoi doveri contrattuali…. che ne penserebbe il dirigente ASL, suo diretto superiore?? ( Tra l’altro presente il responsabile della ASL 1 Umbria in sala )

E già… perché ricordiamoci che i MMG non sono liberi professionisti, bensì lavoratori parasubordinati del Sistema Sanitario Nazionale, facenti capo direttamente alla ASL, come la Corte Costituzionale ci ha definitivamente chiarito nel 2019 (Ma il TAR Lazio ce lo diceva già dal 2002) . Infatti dalla ASL prendono la busta paga, no?

Il Condizionamento dei Medici che hanno operato secondo Scienza e Coscienza

L’esercizio professionale del medico è fondato sui principi di libertà, indipendenza, autonomia e responsabilità.

Il medico ispira la propria attività professionale ai principi e alle regole della deontologia professionale senza sottostare a interessi, imposizioni o condizionamenti di qualsiasi natura.

Tale omissione, ricadendo nella fattispecie di pericolo, in qualità di presidente dell’associazione TrillyAPS, fu segnalata già nel 2021 alle autorità, affinché i dirigenti delle ASL Umbria 1 e 2 chiedessero la collaborazione dei Medici Competenti per redigere specifico Documento di Valutazione del Rischio.

Nulla di tutto ciò è accaduto, almeno in Umbria, fino ad oggi, ad eccezione di una vessazione e condanna, da parte degli ordini, di tutti quei medici che hanno esercitato la loro arte medica in scienza e coscienza. Molti sono tutt’ora indagati per falso ideologico, per aver esentato i pazienti dalla vaccinazione in osservanza anche solo del primo principio del codice deontologico: primum non nocere.

Non volendo pertanto creare divisione all’interno di un evento che vedeva la partecipazione e la collaborazione delle istituzioni civili e sanitarie,volto a gestire l’incremento anomalo di morti improvvise dopo l’inizio della campagna vaccinale, mi sono limitata a chiedere l’immediata sospensione dell’inoculazione del vaccino come vera prevenzione e non l’uso del defibrillatore semiautomatico, proposto dagli esperti medici presenti, per riportare in vita l giovani , vittime di arresto cardiaco.

È un nostro diritto e un preciso dovere del medico escludere eventuali pericoli per la salute prima che venga compromessa. I medici che hanno esentato dalla vaccinazione per salvare i propri pazienti da complicanze che potevano presentarsi data la presenza di particolari patologie, sono stati invece puniti: radiazione, sospensione o accusati di falso ideologico.

Lo Screening sugli Effetti Avversi dei Vaccini a carico del Sistema Sanitario Nazionale

Il medico è tenuto a:

indicare i benefici che si ottengono dalla somministrazione di tale farmaco; illustrare in termini percentuali le probabilità che ha il paziente di incorrere in eventi avversi gravi e perché il medico ritenga – per comprovate e documentabili evidenze scritte – sia eventualmente più vantaggioso sottoporsi all’inoculazione del farmaco da Lui stesso indicato (farmaco anti-COVID-19) rispetto alle cure esistenti.

La nostra intera esistenza in questo momento sembrerebbe dipendere da ciò che il MMG decide essendo l’unico investito del potere di stabilire se noi pazienti siamo o meno a rischio di effetti avversi dovuti ai trattamenti sanitari in oggetto.

Infine, qualora il MMG dovesse ritenere comunque opportuno prescrivere i farmaci sperimentali di cui sopra, è un nostro diritto chiedere di prescrivere anche le analisi atte a determinare possibili rischi per la nostra salute a carico del Sistema Sanitario Nazionale, attraverso il codice di esenzione “P03”, così come previsto dall’art. 1 comma 4 lett. b del D.Lgs.124/1998– prima parte (G.U. n. 99 del 30/04/1998) e DPCM 12/01/2017 (G.U. n. 65 del 18/03/2017).

Quindi il progetto di screening dai 0-14 anni che ci viene proposto come una concessione straordinaria con lo slogan “chi ti ama ti protegge” in realtà è già disponibile.

Le persone vaccinate o in procinto di esserlo sono già protette dalla normativa vigente a patto di conoscerla ed esercitarla nelle sedi e nei luoghi opportuni.

Non è eticamente concepibile che si continui a somministrare il “vaccino” sacrificando migliaia di giovani e meno giovani per raccogliere i dati sulle morti improvvise; dati necessari a dimostrare la correlazione con il farmaco genico ricevuto.

L’uso del Defibrillatore Semiautomatico contro il Danno da Vaccino

Il rimedio proposto per gestire il danno correlato al “vaccino” è la possibilità di avere un defibrillatore semiautomatico nelle vicinanze.

Per meglio comprendere riporto un ‘intervista al dottor Alessandro Capucci primario cardiologo dell’ospedale civile di Piacenza relatore all’evento di Perugia.

Il medico risponde con pregevole sintesi e chiarezza: «La fibrIllazione ventricolare è l’aritmia che, nel 90% dei casi, ferma il cuore. Il cuore non si muove più (non si contrae) perché viene attivato troppo rapidamente (anche 400-500 volte ai minuto). Non ha pertanto più la possibilità di distendersi e di contrarsi. Bastano pochi secondi di questa aritmia e la persona, colpita perde conoscenza. Una volta che inizia quest’evento, bisogna intervenire al più presto, in quanto, ogni minuto, si perde il 10% di possibilità di salvare questa vita».

Tempo limite dunque, per conservare un barlume di speranza, è quello di dieci minuti dalla perdita di coscienza.

Prosegue il Dr. Capucci nella sua intervista: «la cura è la defibrillazione elettrica, mediante un apparecchio già noto da decenni che, dando una scossa elettrica al torace, ne produce l’azzeramento elettrico, con successiva ripresa dell’attività elettrica dei cuore e, quindi, della contrattilità».

Nella stessa intervista, il Dr. Capucci spiega che la defibrillazione è sempre un atto medico, in quanto deve essere preceduta dalla diagnosi di arresto cardiaco, che è un atto medico. In questi anni si è tentato, quindi, di portare il medico sul luogo dell’arresto cardiaco nel più breve tempo possibile… il problema è che un’ ambulanza attrezzata, in una città media, ha un tempo di intervento medio non inferiore a dieci minuti, troppi per riprendere questi pazienti. Occorre, anche, aggiungere il tempo necessario ai soccorritori per rendersi conto di ciò che è accaduto e per telefonare al 118 (altri cinque o sei minuti).

Sempre nella stessa intervista, il Dr Capucci aggiunge che: «Esiste, oggi, una novità tecnica e, cioè, un defibrillatore che è in grado di fare la diagnosi automaticamente e di dialogare con la persona che lo utilizza per guidarla nell’impiego”. (intelligenza artificiale)».

Ancora, il dottor Capucci: “Siamo di fronte ad una persona che è morta, se non la soccorriamo, esiste un apparecchio che la può salvare e che è in grado di diagnosticare correttamente e richiede di erogare la scarica elettrica solo se riconosce la fibrillazione ventricolare (FV); altrimenti, non si carica nemmeno!

A questo punto, la parola può passare all’esperto di diritto.

L’art. 348 del codice penale sancisce: “Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato (nella specie, professione medica) è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da £ 200.000 a £.1.000,000*”.

Prima dell’invenzione del defibrillatore semi automatico, non si poteva applicare la scarica elettrica al torace dei pazienti, che avrebbe prodotto l’azzeramento elettrico ventricolare (con successiva ripresa dell’attività elettrica regolare del cuore e, quindi, della contrattilità), senza una diagnosi di arresto cardiaco.

Tale diagnosi è un tipico atto sanitario, da compiersi da un medico. Del resto, è facile comprendere i pericoli ed i danni, che deriverebbero dall’usanza di intervenire, per spirito di carità, In siffatti casi, non resta altro che telefonare al 118. Ma, in presenza di fibrillazione cardiaca, l’intervento dell’ ambulanza è, in pratica, sempre tardivo.

Gli aspetti Giuridici del Defibrillatore Automatico

Oggi, però, il defibrillatore semi automatico diagnostica correttamente la fibrillazione cardiaca ed eroga la scarica elettrica solo se riconosce la fibrillazione ventricolare; altrimenti, non si carica nemmeno, come spiega il Dr. Capucci, nella sua intervista.

Allora, per il giurista è chiaro che l’atto medico (la diagnosi di fibrillazione ventricolare) non promana dall’operatore (vigile urbano, poliziotto di Stato, carabiniere, vigile del fuoco o un comune cittadino in possesso di defibrillatore), ma proviene dal defibrillatore stesso, senza alcun margine di discrezionalità da parte dell’operatore medesimo. tanto più che, come si è detto, il defibrillatore non si carica nemmeno e, quindi, non emette la scarica elettrica se non diagnostica autonomamente la fibrillazione ventricolare (FV).

Pertanto, come ha esattamente intuito il Presidente del Tribunale di Bolzano, dott. Carlo Bruccoleri, nel suo conciso e chiarissimo parere pubblicato sul “Mensile italiano di soccorso” del gennaio 2000, l’abusivo esercizio della professione sanitaria non sussiste, nel caso di impiego del defibrillatore semi automatico, poiché manca qualsiasi diagnosi di fibrillazione ventricolare da parte dell’operatore, per essere stata fatta, tale diagnosi, dal defibrillatore stesso, automaticamente e senza alcuna discrezionalità di giudizio da parte dell’operatore. Tutto ciò esaurisce la questione giuridico penale.

Per abbondanza, si soggiunge che, in ogni caso, l’art. 593, comma secondo, codice penale, punisce penalmente chiunque “trovando un corpo umano, che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo, omette di prestare l’assistenza occorrente o di darne immediate avviso all’ Autorità”.

Orbene, il vigile urbano in possesso di un defibrillatore semi automatico, che entra in funzione ed eroga la scarica elettrica solo se accerta la sussistenza della fibrillazione ventricolare, senza alcuna discrezionalità da parte del vigile urbano stesso, agisce, in ogni caso, ai sensi dell’art. 51 comma primo del codice penale che recita: “L’ esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica (nella specie, l’art, 593 codice penale, poco sopra citato)… esclude la punibilità”.

Pertanto, anche l’art. 51 esclude la possibilità del reato di esercizio arbitrario della professione medica da parte del poliziotto o del vigile urbano che usi il defibrillatore, infine, l’art. 54 codice penale recita: “Non è punibile chi ha commesso il fatto (esercizio arbitrario della professione medica, nella specie) per esservi stato costretto dalla necessita di salvare se od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”

Dopo quanto si è detto, è sufficiente soffermarsi sull’ inciso “ne altrimenti evitabile” per concludere, data la pratica impossibilità di assicurare il soccorso, con ambulanza, nei fatidici dieci minuti, che l’uso del defibrillatore sarebbe, in ogni caso, un atto necessitato, per evitare una morte e, quindi, tale da escludere il reato è sempre utile l’intervento legislativo.

La Strategia della Paura sulla Morte Cardiaca senza Spiegazione

A tal proposito è utile rifarsi ad un’idea che prese corpo in quel progetto che oggi tutti conoscono come “Progetto Vita”. Defibrillatori diffusi a livello capillare sul territorio, corsi per imparare a usarli, app e tecnologie per accorciare i tempi di intervento, una fitta rete di collaborazione tra soggetti della Sanità, forze dell’ordine, vigilanza privata e istituzioni.

Un sistema ben oliato, anzi, perfettamente oliato e funzionante, efficace, in grado di salvare vite, tante vite. Un modello che piano piano sempre più province stanno cercando di studiare e quindi adottare, un modello destinato a essere esportato: “modello Piacenza”.

L’obiettivo è far capire alle altre città che è possibile realizzare una rete di pronto soccorso per arresto cardiaco utilizzando uno strumento salvavita. Così dichiara la dottoressa Daniela Aschieri, allieva del dott. Capucci.

Di nuovo ci viene riproposta la strategia della paura per convincerci della bontà del progetto: non importa cosa provoca la morte cardiaca l’importante è tranquillizzare e gestire la nostra paura con un defibrillatore. Stessa strategia, creare il problema per poi intervenire successivamente con un rimedio.

“Il progetto dei quartieri cardioprotetti è l’obiettivo futuro ma anche e soprattutto l’educazione nelle scuole: un obiettivo a lungo termine che però rappresenta la base per poter proseguire in questa strada”, afferma Aschieri.

Sarà un caso?

Voi lettori cosa ne dite cel fatto che Il 23 febbraio 2022 è stato firmato presso la Sala della Giunta Comunale alla presenza del Sindaco Patrizia Barbieri il Protocollo d’Intesa per la divulgazione su tutto il territorio nazionale del Progetto FacileDae per la diffusione in Italia, seguendo l’esempio unico in Europa di Progetto Vita, per la cultura dell’uso precoce del defibrillatore in caso di arresto cardiaco.

Il Protocollo d’Intesa è stato sottoscritto dalla Dott.ssa Daniela Aschieri Presidente di Progetto Vita Odv, dal Dott. Fabrizio Pregliasco Presidente dell’Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze OdV e dal Dott. Leonardo Braschi Presidente di Ircomunità APS.

Le tre organizzazioni di volontariato e di promozione sociale lanciano così il Progetto FacileDae per far comprendere a tutti la semplicità e l’importanza dell’uso precoce del defibrillatore per salvare vite umane attraverso la realizzazione di azioni congiunte informative con materiali didattici condivisi, con l’uso di piattaforme digitali e la formazione di istruttori/formatori nazionali.

Le organizzazioni, che si sono impegnate a far promulgare dal Parlamento la Legge 116/2021, che rende possibile l’utilizzo del defibrillatore a tutti i cittadini senza alcuna responsabilità e senza l’obbligo di una certificazione a seguito di un corso specifico, hanno sollecitato i Ministeri competenti all’emanazione dei decreti attuativi chiedendo anche alle Regioni l’eliminazione delle farraginose procedure burocratiche per la formazione all’uso del defibrillatore. Congiuntamente sono stati realizzati spot televisivi e studi scientifici.

Purtroppo questo che stiamo vivendo è sicuramente uno dei momenti più bui della storia dove la verità e la vita vengono giornalmente calpestati o scarsamente difesi.

Deresponsabilizzare il Medico invece di Interrompere le Vaccinazioni Covid

In conclusione ci si attiva per fare leggi ad hoc che giungono al momento giusto deresponsabilizzando la figura medica delegando all’intelligenza artificiale la gestione della nostra salute. Ci si ostina a chiudere la stalla quando ormai sono usciti i buoi, incoraggiando le persone a scaricare le app, ad affidarsi alle piattaforme digitali che sapranno come proteggerci dal male… Non preoccupatevi se dopo aver ricevuto l’inoculazione di una terapia genica sperimentale si andrà incontro ad un arresto cardiaco perché saremmo protetti dal defibrillatore semiautomatico che ci riporterà in vita (forse…) .

Vorrei, a tal proposito, rivolgere un particolare invito al C.O.S.A.U. che era presente a Perugia l’8 Giugno 2023, rappresentato nella persona del suo presidente dottor Alessandro Montedori, ad attivarsi per chiedere l’immediata sospensione della campagna vaccinale anti Covid 19 in Umbria. Questa è vera prevenzione. Questo dovrebbe fare un comitato di sanitari che operano in scienza e coscienza a tutela della vita e della salute.

Riporto le parole con le quali lo stesso C.O.S.A.U. si definisce sul suo sito:

”Il comitato sanitari umbri in scienza e coscienza costituito da medici e sanitari dell’Umbria che si sono riconosciuti nella loro esperienza e competenza ed hanno condiviso la necessità di promuovere un dialogo tra i cittadini e le istituzioni nella difesa della libertà di scelta terapeutica e avendo come bussola il rispetto del codice deontologico e della Costituzione Repubblicana”.

Il Presidente del COSAU Alessandro Montedori e l’endocrinologo Giovanni Frajese al convegno di Perugia

Se non ha perso la bussola e la scienza il C.O.S.A.U. parli ora con le istituzioni o taccia per sempre.

A tutti gli altri illustri personaggi che hanno partecipato all’evento di cui sopra cosa posso dire?

Non ho visto il coraggio nei vostri occhi, non ho sentito l’amore per la verità.

Vorrei rilanciare la bellissima citazione che lo stesso prof. Frajese ama ricordarci nei suoi convegni ,una bellissima frase di San Giuseppe Moscati, eccezionalmente attuale:

“Ama la verità, mostrati qual sei senza Infingimenti quindi e senza paure e senza riguardi. E se la verità ti costa la persecuzione, tu accettala; e se il tormento, tu sopportarlo e se per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua vita, tu sii forte nel sacrificio.”

Ci si sente protetti soltanto da coloro che amano la verità appassionatamente, con spirito di sacrificio e con dedizione instancabile resistendo anche agli attacchi personali, alle invidie, all’ostilità ideologica.

La verità ormai è sotto gli occhi di tutti: i dati sono inoppugnabili e solo chi è in malafede può negarli. Dopo questi lunghissimi tre anni non resta che passare dalle tante parole ai fatti altrimenti la verità resta sterile lettera morta.

PRIMIZIE DI PENTECOSTE: DALLA FESTA GIUDAICA A QUELLA CRISTIANA. L’Importanza della Storia Biblica di Rut la Moabita

PRIMIZIE DI PENTECOSTE: DALLA FESTA GIUDAICA A QUELLA CRISTIANA. L’Importanza della Storia Biblica di Rut la Moabita

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di prof. ssa Paola Persichetti

Paola Persichetti, oltre ad essere leader del comitato spontaneo La Gente come Noi nella lotta contro l’imposizione di Green pass e Vaccini obbligatori, è Laureata in Lingue e Letterature Straniere, inglese, francese, lingua e Cultura ebraica, all’Università di Perugia con  110/110, bacio accademico e menzione d’onore.  Corso di storia e del Cristianesimo antico, università Perugia. Master universitario in fonti, storia, istituzioni e norme del Cristianesimo ed Ebraismo.

Come la Pasqua, anche la Pentecoste cristiana affonda le proprie radici nella festività ebraica. La prima comunità, riunita nel cenacolo, essendo formata da ebrei, festeggiava la pentecoste ebraica. Il nome ebraico di questa festa è Shavuot.

Shavuot è la stagione della mietitura del grano in Terra d’Israele. Nell’antico Israele la mietitura durava sette settimane durante le quali si respirava un’atmosfera di gioia (Geremia 5:24[10], Deuteronomio 16:9-11[11], Isaia 9:2[12]). Si iniziava con la mietitura dell’orzo durante Pesach e si terminava con la mietitura del frumento a Shavu’òt. Shavu’òt era quindi la festa conclusiva della mietitura del grano, così come le otto giornate di Sukkot rappresentavano il termine del raccolto della frutta. Durante l’esistenza del Tempio di Gerusalemme, si faceva un’offerta di due pagnotte della farina di Shavuot. Secondo Esodo 34:18-26[13], Shavu’òt è la seconda delle tre feste che venivano celebrate nel Tempio e gli Israeliti dovevano recarvisi portando con sé i primi frutti del raccolto:

« Porterai alla casa del Signore, tuo Dio, la primizia dei primi prodotti della tua terra», (Esodo 34:26, su laparola.net.)

Non era prescritta una quantità minima: «Poi celebrerai la festa delle settimane per il Signore tuo Dio, offrendo nella misura della tua generosità e in ragione di ciò in cui il Signore tuo Dio ti avrà benedetto» ( Deuteronomio 16:10-10, su laparola.net.)

Nel Levitico 23:15-21 vengono definiti i sacrifici che dovevano essere offerti dalla comunità: essi prevedevano il sacrificio di numerosi animali.

Il periodo di tempo che separa la Pasqua dalla Pentecoste nella tradizione giudaica era già inteso dall’antichità come una lunga preparazione, di cinquanta giorni o sette settimane, per poter commemorare il dono della Legge. In questo tempo si faceva il conteggio dei giorni dell’omer (una misura di grano di circa 2 litri), ovvero dell’offerta d’orzo che doveva essere ripetuta tutti i giorni fino a Pentecoste, ma in realtà ci si preparava a ricevere di nuovo le parole di Dio, date a Mosè sul Sinai, e poi date ad ogni credente che vuole ascoltarle e metterle in pratica.

Sarà nella mistica ebraica, nella lettura cabalistica, che il periodo tra Pasqua e Pentecoste diventerà un vero e proprio percorso di accrescimento spirituale e di liberazione, dove ognuno dei 49 giorni corrisponde a una caratteristica della personalità sulla quale lavorare e che può essere migliorata; l’ultimo giorno, il cinquantesimo, non si può fare più nulla, perché è Dio, con la sua grazia, che agisce e compie l’opera.

Sempre secondo una tradizione giudaica, siccome a Pentecoste – come vedremo – è stata donata la Legge, allora in questo cammino di 49 giorni, e precisamente ogni giorno, si deve rileggere e studiare la Torah, perché possa essere di nuovo accolta: essa, infatti, si può ricevere e imparare solo dopo aver acquisito 48 “qualità”, come è detto in un passo della più famosa raccolta di detti rabbinici, l’Etica dei Padri: «La Torah è ancora più grande del sacerdozio, e della regalità, perché la regalità si acquista con trenta prerogative, mentre il sacerdozio con ventiquattro doni [ci si riferisce a testi quali 1Sam 8,11ss. per la regalità, e Lv 21 e Nm 18 per il sacerdozio]. La Torah invece si riceve per mezzo di 48 qualità» (Pirkei Avot 6,6).

Il carattere Giudaico e Cristiano di Pentecoste

In questo breve saggio vediamo anzitutto il carattere giudaico di Pentecoste, e poi quello cristiano.

Come si celebra Shavuot? È consuetudine rimanere svegli l’intera notte leggendo e studiando la Torah mentre, durante le celebrazioni della mattina, si legge il libro di RUT.
E ora Rut, la moabita. Tra le donne della genealogia ricordate da Matteo è lei la più inquietante, e “giustamente” a lei il Primo Patto dedica un brevissimo, ma fulminante libro.

I moabiti sono una stirpe che inizia col superstite di Sòdoma, Lot. Fuggito da Sòdoma in fiamme Lot si ritira con le figlie sulle montagne. Le figlie lo ubriacano e giacciono con lui per avere discendenza; una situazione che per certi versi ci ricorda quella di Tamar. La prima di queste figlie concepisce Moab, mentre la seconda colui che sarà il capostipite degli Ammoniti. Perciò entrambi, l’Ammonita e il Moabita, saranno indicati lungo tutta la tradizione biblica come popoli incestuosi. Essi non entreranno nella comunità del Signore: «Nessuno dei loro discendenti, neppure alla decima generazione, entrerà nella comunità del Signore» (Dt 23,4). Ed ecco che proprio una moabita è l’antenata di Davide e perciò dello stesso Messia!

D’altronde, anche prima di Matteo, Rut figurava tra gli antenati del grande Davide, e perciò le era dedicato quel piccolo, grande Libro, che nella Bibbia ebraica è collocato tra gli “Scritti”, insieme ai Salmi, ai Proverbi, a Giobbe e al Cantico. Ciò fa emergere ancora di più la straordinarietà della testimonianza che ci offre il libro di Rut: Umiltà che lotta

Rut: Umiltà che Lotta

Il contenuto del libro è noto, ma vale la pena ricordarlo. Un uomo di Betlemme di Giuda è costretto ad emigrare dalla sua terra a quella di Moab a causa di una carestia. Emigra con la moglie Noemi (che significa “dolcezza”) e i suoi due figli. La famiglia si stabilisce nel territorio di Moab senza alcun conflitto con gli indigeni che vi risiedono (o almeno nulla si dice a proposito), e tuttavia è colpita spietatamente dal Signore. È una sorte, la sua, simile a quella di Giobbe. “Senza ragione” il Signore li mette alla prova più dura.

Dopo la morte del marito Noemi deve piangere anche quella dei figli, uno dei quali si era sposato appunto con Rut. Noemi muta, allora, il suo nome in quello di Mara (che vuol dire “amarezza”) e dice alle nuore: «Io sono troppo infelice per potervi giovare, poiché la mano del Signore è stesa contro di me» (Rut 1,13). Noemi è abbandonata, sola e straniera nella terra di Moab. E invita le due nuore ad abbandonarla, a non seguirla nel suo disperato ritorno in Giudea.

Pur addolorata di dover abbandonare la suocera, una di esse decide di stare col suo popolo. Rut invece, senza spiegarne il motivo, apparentemente senza alcuna ragione, non si stacca da Noemi-Mara. «Non insistere con me perché ti abbandoni – ella dice – perché dove andrai tu andrò anche io, dove ti fermerai mi fermerò. Il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio. Dove tu morirai, io morirò e sarò sepolta. Il Signore mi punisca come vuole se altra cosa che la morte mi separerà da te» (Rut 1,16-17).

È una parola assolutamente imprevedibile, fatta di amore assoluto, una decisione che nulla calcola, che nulla scambia. Puro dono. E tuttavia è testimonianza di un amore totalmente umano e terreno; Rut ama in modo incondizionato una persona in carne ed ossa. Non si è convertita al Dio di Noemi, ma poiché ama Noemi fa proprio anche il Dio di quest’ultima. Al Dio di Israele ella perviene attraverso l’amore per questa sua prossima, per il suo prossimo più abbandonato derelitto, disperato.

E dunque Rut lascia la sua terra i suoi consanguinei, abbandona tutto “ il suo” per donarsi tutta all’altra.

Matteo non poteva non ricordare in questa figura le radicali parole della “decisione” di Gesù stesso: «Lascia tutto, seguimi» (cfr. Mt 19,21). Così fa Rut: per seguire Noemi lascia perfino il suo Dio, e si umilia ai mestieri più poveri, spigolando dietro i contadini, raccogliendo ciò che avanza dal loro lavoro, come i più poveri dei poveri in Israele.

Noemi senza marito e senza figli; Rut senza figli, vedova, e per di più straniera, e non una straniera qualsiasi, ma una moabita, una del popolo incestuoso e maledetto. Entrambe ridotte all’umiltà totale: umili davvero da humus, letteralmente “a terra”.

Ma Rut è della stirpe di Tamar e di Raab. La sua umiltà è fatta anche di lotta. Ella lavora nelle campagne di Booz (che significa “in lui la forza”). Pur essendo un parente di Noemi, egli non ha alcun obbligo diretto di accudirne la famiglia. Tuttavia dà cibo e lavoro alla moabita, la accoglie e lentamente (se ne accenna nel racconto, anche se con grande pudore) prova affetto per questa straniera, fino a riscattarla dal primo parente e a farla sua sposa. Dal legame tra Rut e Booz nascerà il padre del padre di Davide.In questo breve saggio vediamo anzitutto il carattere giudaico di Pentecoste, e poi quello cristiano.

Una festa ebraica: Shavuot

La parola Pentecoste è un prestito da un aggettivo greco che significa “cinquantesimo”, e si riferisce ai cinquanta giorni che devono passare dalla Pasqua, secondo quanto previsto da Lv 23,15-16.

Pentecoste/Shavuot è una delle tre feste di pellegrinaggio (Shalosh Regalim) previste nella Legge, secondo quanto scritto nel libro del Deuteronomio, al capitolo 16, dove è richiesto che ogni anno gli ebrei maschi, in rappresentanza di tutto Israele, salgano a Gerusalemme «per farsi vedere dal Signore» (Dt 16,16; CEI: «si presenterà»). Se le feste di pellegrinaggio di Pasqua e delle Capanne sono, rispettivamente, memoria della liberazione dall’Egitto e del tempo dagli Ebrei passato nella provvisorietà delle capanne, nel deserto, a cosa rimanda invece Pentecoste/Shavuot?

Prima di rispondere, si deve notare che la sua collocazione, tra Pasqua e festa delle Capanne, è centrale perché legata alla straordinarietà della rivelazione sinaitica che essa celebra.Anche per questa ragione Pentecoste, che deve aver avuto in primo luogo un significato legato ad un particolare tempo dell’anno e alle attività ad esso collegate, acquisisce in seguito il suo pieno significato religioso rispetto al dono della Legge data a Mosè. Allo stesso modo, Pasqua era anzitutto una festa che aveva a che fare con la nascita degli agnelli e con l’inizio della mietitura, e poi diventa, a causa di quanto accaduto in “quella” particolare Pasqua, la memoria della liberazione dall’Egitto. Pentecoste e Pasqua sono allora «riti che consentono la costruzione della storia della nostra“ salvezza”.

Una festa agricola

Nel libro di Rut, a partire dal secondo capitolo, si parla della mietitura del frumento e dell’orzo, a cui anche la moabita partecipa: il culmine di questo raccolto è proprio la festa di Pentecoste, che inizialmente è una festa agricola, chiamata Hag ha Katzir, “festa della mietitura”, secondo la definizione che appare nel più antico calendario cultuale, in Es 23,16.

La mietitura culmina con l’offerta del grano da portare al Tempio, secondo quanto scritto in Lv 23,15-16: «Dal giorno dopo il sabato, cioè dal giorno in cui avrete portato il covone per il rito di elevazione, conterete sette settimane complete. Conterete cinquanta giorni fino all’indomani del settimo sabato e offrirete al Signore una nuova oblazione» (di frumento nuovo). Il gesto di offrire le primizie si spiega con la memoria della liberazione dalla schiavitù d’Egitto, perché le offerte dovevano essere fatte a Yhwh, che aveva dato la terra al suo popolo, secondo quanto scritto nel libro del Deuteronomio: «Ti presenterai al sacerdote in carica in quei giorni e gli dirai: “Io dichiaro oggi al Signore, tuo Dio, che sono entrato nella terra che il Signore ha giurato ai nostri padri di dare a noi”. Il sacerdote prenderà la cesta dalle tue mani e la deporrà davanti all’altare del Signore, tuo Dio, e tu pronuncerai queste parole davanti al Signore, tuo Dio: “Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto…”» (Dt 26,3-5).

Anche se nel libro di Rut non è nominato espressamente quest’obbligo, vi è un collegamento con il testo dal Levitico, alla fine del secondo capitolo, quando leggiamo che la moabita si trova nelle terre di Booz «a spigolare, sino alla fine della mietitura dell’orzo e del frumento» (Rt 2,23).

Tale espressione ci porta a pensare che la spigolatura di Rut si sia conclusa in occasione di quella festa. Infatti è scritto così in quel brano: «Conterai sette settimane [dalla festa di Pasqua]. Quando si metterà la falce nella messe, comincerai a contare sette settimane e celebrerai la festa delle Settimane per il Signore, tuo Dio, offrendo secondo la tua generosità e nella misura in cui il Signore, tuo Dio, ti avrà benedetto. Gioirai davanti al Signore, tuo Dio, tu, tuo figlio e tua figlia, il tuo schiavo e la tua schiava, il levita che abiterà le tue città, il forestiero, l’orfano e la vedova che saranno in mezzo a te, nel luogo che il Signore, tuo Dio, avrà scelto per stabilirvi il suo nome. Ricordati che sei stato schiavo in Egitto: osserva e metti in pratica queste leggi».

Per il lettore che osservava i precetti del Levitico e del Deuteronomio, e che leggeva Rut, «e che conosceva bene il tempo che richiedevano le diverse attività agricole, la questione era semplice: Rut ha spigolato per un tempo considerevole, per l’intero raccolto dell’orzo e del frumento, ovvero fino a Pentecoste.Oltre a questa spiegazione che, per prima, collega Rut a Pentecoste, possiamo tentarne una ulteriore, sempre centrata sull’idea di un “raccolto” dei frutti della terra. A Shavuot, Rut finalmente raccoglie non solo il frutto del suo umile lavoro (orzo e frumento), ma anche quello delle sue buone opere, e merita così di poter incontrare il suo futuro marito, Booz, dal quale discenderanno Davide e il Messia.

Il Significato del Frumento

CERCHIAMO DI CAPIRE IL SIGNIFICATO DEL FRUMENTÒ IN QUESTA FESTA.Il Signore tuo Dio sta per farti entrare in un paese fertile: […] paese di frumento, di orzo, di viti, di fichi e di melograni; paese di ulivi, di olio e di miele” (Dt 8,7-8)

Piante fondamentali nell’alimentazione dell’uomo e degli animali, i cereali segnano il passag- gio storico dell’umanità, dall’esperienza nomade, basata sulla caccia e sulla pesca, ad una vita stabile, caratterizzata dall’agricoltura, con la coltivazione dei cereali e degli ortaggi. In questo modo, i cereali diventano il segno della stabilità di un popolo e la sua appartenenza ad una terra che permetteva di vivere, perché produce il raccolto.

Sono questi i significati profondi che i cereali assumono nella Bibbia; oltre ai cinque alberi, la presentazione della Terra Promessa (Dt 8,7-8), propone due tipi di cereali, il frumento e l’orzo come segno di una terra stabile, offerta al popolo eletto, e come un legame d’appartenenza a quella terra.Le coltivazioni del frumento e dell’orzo erano usuali in Palestina; per questo motivo sono molti i riferimenti ai cereali e alle attività agricole.

Il frumento, simbolo di fertilità e d’abbondanza, è un cereale che comprende varie specie, quali il grano tenero, il grano duro, il farro e la spelta. Simbolo particolare della Terra Pro- messa (Dt 8,8; 11,14; 33,28; 2Re 18,32; 72,16; 81,14-17), l’abbondanza del raccolto, in Pale- stina, era testimoniata dalle promesse di pagamento, fatte da Salomone, con grano ed orzo, agli operai del Tempio (2Cr 10,9). Il frumento era il segno tangibile della benedizione di Dio, con un raccolto abbondante (Sal 65,14; Ger 31,12; Os 2,24; 14,8; Gl 2,24) e della sua condan- na, quando il raccolto era perduto (Lam 2,12; Gl 1,10.11; Ger 12,13; Ag 1,11).

Le grandi coltivazioni di cereali, che caratterizzavano i paesaggi della Palestina, hanno ispira- to molti messaggi biblici. Immagine dei nemici da mietere con la falce (Is 17,5; Gl 4,13; Ap 14,14-16), la messe era, anche, presentata come un campo coltivato da Dio, immagine del mondo intero (Sal 65, 10-14) e del Regno dei cieli.

FRUMENTO: Il gran contatto che Gesù aveva con i campi di frumento, per il suo ministero itinerante (Mt 12,1), lo condussero ad utilizzare, in molte parabole, l’immagine della messe e del frumento come annuncio del Regno di Dio e del giudizio che si realizzerà con la sua venuta (Mt 3,12; 9,37; 13,3-23; 24-30; 36-43; Mc 4,1-20; 26-28; Lc 8,4-15; Gv 12,24).Le parabole ispirate al mondo agricolo, fanno pensare che Gesù conoscesse bene le attività dei contadini e sapesse che con il frumento si otteneva la farina, necessaria per l’alimento princi- pale del nutrimento umano: il pane.

Quest’alimento appare in molti modi nella sua predicazione: richiesta quotidiana nella pre- ghiera al Padre (Mt 6,11, Lc 11,3), diventa l’occasione per manifestare il Regno di Dio, già presente, sfamando un popolo affaticato e desideroso di speranza (Mt 14,13-21; 15,32-39; Mc 6,32-44; 8,1-10; Lc 9,10-17; Gv 6,1-15).Gesù rende il pane segno particolare del Regno, quando nell’Ultima Cena lo presenta insieme al vino, come sacramento del suo Corpo offerto per la salvezza degli uomini; egli, infatti, si propone come il “pane vivo disceso dal cielo” (Gv 6,32-58); chi mangia il pane diventato il Corpo di Gesù, sacrificato sulla croce, avrà la vita del Regno.

Profeticamente, il pane eucaristico, era stato annunciato sin dalla nascita di Gesù a Betlemme; in ebraico Bet-lehem, significa letteralmente “casa del pane”, nome ispirato probabilmente al fatto che la cittadina era circondata da campi di orzo e di frumento, Betlemme si presentava come un granaio e probabilmente il pane usato da Gesù per l’Ultima Cena era stato prepara- to con farina di orzo e di frumento; infatti il pane dei poveri era prodotto con il miscuglio di queste due farine. Nell’AT c’è un rito, molto antico, che presenta l’offerta di pane e di vino a Dio, da parte di Melchisedec, sacerdote, che con quel gesto chiede la benedizione per Abramo (Gn 14,17-18). Nella tradizione cristiana si percepisce questo rito come una profezia del sacrificio eucaristico.

ORZO , RUT, BETLEMME: L’orzo, graminacea dalle spighe simili al grano, era una coltivazione importante della Giudea, così come ci racconta il libro di Rut, che ha come scenario le grandi coltivazioni d’orzo nella zona di Betlemme. Cereale adeguato ad ogni clima, resistente alla siccità, era considerato fon- damentale per la sopravvivenza, in quanto con la sua farina si preparavano focacce e pane. Le citazioni bibliche presentano i campi d’orzo, la sua farina e il pane come segno di sicurezza quotidiana per la sopravvivenza, di stabilità in una terra e di legame profondo con l’ambiente agricolo (Rt 1,22; 3,7; 2Sam 14,30; 17,8; 1Cr 11,13; Ger 41, 8; Gv 6,9).

Questi aspetti sono evidenziati nella vicenda di Rut, che nel contesto della coltivazione dell’or zo, ritrova sicurezza, stabilità e una nuova relazionalità con la terra e con gli altri. Così la di- struzione e la perdita del raccolto d’orzo assumevano connotati di grande sventura, perché era segno non solo di carestia ma anche di perdita di stabilità e di legame con la propria terra (Es 9,31; Gb 31,38-40; Gl 1,11; Ap 6,6).

Rispetto al grano, per valore nutritivo, l’orzo è meno importante e vale metà del suo valore (2 Re 7,1.16; Ap 6,6), ma l’orzo, maturando precocemente, si rende disponibile a essere con- sumato prima del grano e a essere offerto nel culto. Nella festa di Pesach si offrivano, infatti, le primizie e l’orzo era il primo raccolto destinato a diventare pane (Es 9,31). L’Esodo ricorda che la settima piaga che colpì l’Egitto fu la grandine che distrusse l’orzo: «Ora il lino e l’orzo erano stati colpiti, perché l’orzo era in spiga e il lino in fiore; ma il grano e la spelta non erano stati colpiti, perché tardivi» (Es 9, 31-32).

L’orzo, nel culto, era portato come omer, vale a dire, manipolo o misura di spighe raccolto e of-ferto nel Tempio, all’indomani del primo giorno di Pesach, il 16 di Nisan: «Porterete al sacerdote un fascio di spighe, come primizia della vostra raccolta; il sacerdote agiterà il fascio di spighe davanti al Signore, perché sia gradito per il vostro bene; l’agiterà il giorno dopo il sabato» (Lv 23,9-14). Questo fascio era costituito senza dubbio da spighe d’orzo. L’offerta dell’omer di orzo, oltre al significato di misura, aveva anche un significato temporale religioso: il giorno dell’offerta dell’orzo iniziava il calcolo di altri 49 giorni che conducevano alla festa di Shavuot, che cadeva sette settimane dopo la Pesach, cioè, dopo la Pasqua (Lv 23,15-21).

L’orzo nel libro di Rut ricorre 5 volte: la vedova Rut e la suocera Noemi, spinte dalla fame, giungono a Betlemme «quando si cominciava a mietere l’orzo» (1,22) e Rut che va a spigolare raccoglie circa una quarantina di chili di orzo (2,17) e rimane a spigolare «sino alla fine della mietitura dell’orzo e del frumento» (2,23). Noemi le dice che Booz «proprio questa sera deve ventilare l’orzo sull’aia» (3,2) e dorme accanto a un mucchio di orzo (3,7). Rut gli si pone accanto e da Booz riceve sei misure d’orzo che gliele pone sulle spalle (3,15) per portarle alla suocera (3,17) e sfamarsi insieme per lungo tempo e in abbondanza.

In pratica, l’orzo ambienta la narrazione: il viaggio di Rut e Noemi fu provocato dalla carestia che spinse le due donne e cercare il nutrimento. Si svolge in primavera, tempo della raccolta dell’orzo. Suscita solidarietà: secondo la Torah, i poveri avevano diritto a raccogliere le spighe che cadevano dai covoni e i padroni il dovere di lasciarli spigolare.

I quattro Vangeli narrano la moltiplicazione dei pani compiuta da Gesù, ma solo quello di Giovanni specifica che i cinque pani erano pani di orzo, il cibo dei poveri che sazia tutti (6,9.13) ed evidenzia che l’evento avvenne in primavera, nel clima pasquale: «Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei» (6,4).I pani di orzo richiamano il profeta Eliseo (2Re 4, 38-44) che moltiplicò venti pani d’orzo che saziarono cento persone. Gesù, profeta escatologico, invece, moltiplica cinque pani d’orzo per cinquemila persone e con gli avanzi dei cinque pani d’orzo riempirono dodici canestri. Anche Rut ricevette orzo in abbondanza ed ella «mangiò a sazietà e ne avanzò». Il sovrappiù manifesta la sovrabbondante generosità di Dio che giunge nella solidarietà fraterna, precoce e umile come l’orzo.

Matan Torah: il dono della Legge

In qualche momento della storia d’Israele, la festa di Shavuot diventa meno importante per il suo carattere agricolo, e viene più strettamente connessa all’esodo dall’Egitto: il nome di Pentecoste ora esprime pienamente il suo legame con la Pasqua. Non è però confusa con questa festa, che celebra direttamente quel “passaggio”; è vista piuttosto come la memoria di ciò che accade dopo la liberazione dalla schiavitù, in un territorio liminale che è il deserto del Sinai. Secondo quanto scritto in Es 19, nel deserto ha luogo la stipulazione dell’alleanza tra Israele e Dio, con l’accoglienza da parte del popolo del dono della Torah. In un antico testo apocrifo ebraico (risalente almeno al II sec. a.C.), il Libro dei Giubilei, 6,21, si legge che «la festa delle primizie ha un duplice contenuto»: non solo quello agricolo, ma anche quello legato alla celebrazione dell’alleanza sinaitica.

Come si è visto sopra, il periodo di tempo che separa la Pasqua dalla Pentecoste è nel rabbinismo come una lunga preparazione per poter commemorare la ricezione della Legge.

Il fatto che la tradizione ebraica leghi strettamente Shavuot al compimento dell’esodo, ovvero alla liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, è ricco di significati. Dice che la libertà non è fine a se stessa, o semplicemente “da” qualcuno, ma è per qualcosa. Dopo la liberazione materiale di Pesach [Pasqua], Pentecoste rappresenta il raggiungimento della libertà spirituale per mezzo del dono della Torà. La vera libertà infatti consiste nella volontaria sottomissione alla legge morale. Dato che a Pentecoste Israele ricordava il dono della Legge ricevuta al Sinai, Rut la moabita viene interpretata nella letteratura giudaica rabbinica come la straniera che accetta volontariamente questo giogo.

Per illustrare meglio l’idea, dobbiamo ricorrere ad un midrash: «Prima di dare la Legge ad Israele, Dio si rivolse ad ogni tribù e ad ogni nazione, e offrì loro la Torah, perché non potessero poi avere scuse e dire “Se il Signore, benedetto Egli sia, avesse voluto darci la Torah, noi l’avremmo accettata”. Così Dio andò dai figli di Esaù, e chiese loro: “Accettate la Torah?”, e questi gli risposero: “Cosa ci sta scritto?”. Egli rispose: “Non uccidere”. Allora dissero tutti: “Ci vuoi togliere la benedizione dalla quale siamo nati? Siccome Esaù è stato benedetto con le parole Vivrai della tua spada (Gen 27,40), non accettiamo la Torah”. Allora andò dai figli di Lot, e domandò loro: “Accettate la Torah?”, ed essi risposero: “Cosa ci sta scritto?”. “Non commetterai incesto”.

Questi risposero: “Dall’incesto noi deriviamo; non vogliamo accettare la Torah”. Allora andò dai figli di Ismaele e disse loro: “Volete accettare la Torah?”, e questi gli domandarono: “Cosa ci sta scritto?”. Ed egli rispose: “Non rubare”. Ed essi dissero: […] “Non vogliamo accettare la Torah”. Allora Dio andò da tutte le altre nazioni, che allo stesso modo rigettarono la Torah, dicendo: “Non possiamo abbandonare le leggi dei nostri padri, e non vogliamo la tua Legge; dalla al tuo popolo, Israele”. Dopo di questo Egli venne da Israele, e disse loro: “Accettate la Torah?”. Ed essi risposero: “Cosa ci sta scritto?”. Egli rispose: “Seicentotredici precetti”.

Allora essi dissero: “Tutto quello che il Signore ha detto, noi lo faremo, e ad esso obbediremo”» (SifDev 343). In questo modo si può spiegare perché il libro di Rut era proclamato nelle sinagoghe (e lo è ancora) in occasione di Pentecoste/Shavuot. Mentre tutti i popoli della terra, proprio a Pentecoste, rifiutarono il giogo della Legge (e tra questi vi sono anche i moabiti), Rut è la rappresentante di una nuova risposta, di un riscatto, di una straniera che si sottopone alla Legge, perché ad essa, come dice il midrash, in pratica già obbedisce. Quando poi Rut dice a Noemi «il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio» (Rt 1,16), è come se pronunciasse, con tutto Israele sotto il Sinai, la formula dell’alleanza: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto» (Es 24,7).

In questo modo, Rut davvero dona tutta se stessa a Dio, come Israele al Sinai: venuta da una popolazione riprovata, i cui maschi sono per sempre interdetti, esclusi dal diritto di conversione all’ebraismo secondo i termini espliciti della Torah di Mosè, Rut è stata la prima ad aver compiuto il salto nella fede. Ella compie un’oblazione di tutto il suo essere, ed è ciò che ricordiamo il giorno del dono della Legge .La festa del re Davide, discendente di Rut

Secondo la genealogia che si viene a trovare alla fine del libro di Rut, la moabita è un’antenata del re Davide, ed è come l’anello di una catena, o se si preferisce, un ponte, che porta dalla storia triste del tempo dei giudici all’istituzione della monarchia.

L’importanza del legame familiare tra Rut e il re Davide emerge però anche nel Primo libro di Samuele. Lì si racconta che Davide, fuggendo da Saul che si era ingelosito delle lodi delle donne che cantavano «“Ha ucciso Saul i suoi mille e Davide i suoi diecimila”» (1Sam 21,12), si rifugia a Moab, insieme ai «suoi fratelli e tutta la casa di suo padre» (1Sam 22,1) cercando protezione tra coloro che, pur nemici acerrimi di Israele, evidentemente conservavano una speciale relazione con lui, discendente della moabita.

La Tradizione Ebraica sulla Morte di Re Davide

Ecco perché non ci stupisce il trovare un ulteriore accostamento tra il libro di Rut e la Pentecoste, dato proprio dal fatto che il re Davide, secondo un’antica tradizione ebraica, sarebbe nato proprio durante questa festa, e in questo stesso giorno avrebbe visto la morte, dopo quarant’anni di regno (cf. 1Re 2,11)

Riportiamo la leggenda, nella traduzione di M. Perani: «Un giorno Davide chiese a Dio di conoscere il giorno della sua morte. Il Signore non assecondò la sua richiesta, perché aveva stabilito che nessun uomo potesse sapere in anticipo il momento esatto della sua morte. Tuttavia disse al re che egli sarebbe morto all’età di settant’anni e in giorno di sabato. […] Davide, saputo che sarebbe morto di sabato, ma consapevole anche che l’angelo della morte non può strappare all’uomo la sua vita mentre questi studia la Torah ed osserva i comandamenti di Dio, da allora cominciò a passare l’intero tempo del sabato nello studio della Torah. L’angelo della morte dovette perciò ricorrere all’astuzia per poter strappare a Davide la sua vita. Un sabato, in cui cadeva anche la festa di Pentecoste, Davide era assorto nello studio, quando udì un rumore proveniente dal giardino. Il sovrano allora si alzò e discese le scale che conducevano dal palazzo al giardino, per vedere quale fosse la causa del rumore. Non fece in tempo ad appoggiare i suoi piedi sui gradini che essi subito si incastrarono e Davide morì. Era stato l’angelo della morte a causare quel rumore, per potersi impossessare della vita del re in un momento di interruzione del suo studio della Torah».

Questo suggestivo racconto da una parte ci conferma il singolare dono fatto a Dio al suo eletto, Davide, che può morire di sabato e di Pentecoste: è il giorno in cui Israele ricorda proprio il dono della Legge e l’impegno assunto nel conoscerla e nell’osservarla, come richiesto dal Signore in Dt 6,6-7: «Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai».

Il dono dello Spirito a Shavuot/Pentecoste

Rimane un ultimo aspetto da prendere in esame a proposito del rapporto tra Rut e la Pentecoste. Anche se i cristiani tendono ad associare la discesa dello Spirito Santo esclusivamente a questa festa, seguendo il racconto del libro degli Atti degli Apostoli, è vero che in occasione di ogni festa di pellegrinaggio, secondo la tradizione giudaica, è donato lo Spirito di Dio. A mo’ di esempio, si può riportare il bel commento midrashico al libro della Genesi, dove si legge una interessante elaborazione dell’episodio di Giacobbe al pozzo. Il patriarca, in cammino nelle regioni di oriente in cerca di una moglie, «vide nella campagna un pozzo e tre greggi di piccolo bestiame distese vicino, perché a quel pozzo si abbeveravano le greggi» (Gen 29,2).

La caratteristica curiosa di quel pozzo era il fatto che «solo quando tutte le greggi si erano radunate là, i pastori facevano rotolare la pietra dalla bocca del pozzo e abbeveravano il bestiame» (Gen 29,3). Questo dettaglio ha scatenato l’esegesi ebraica, che ha visto nel pozzo la prefigurazione del Tempio di Gerusalemme, e nei tre greggi i simboli delle tre feste di pellegrinaggio durante le quali le tribù di Israele si radunavano nella città santa, oppure, secondo un’altra interpretazione, nell’acqua la Torah che esce da Sion e che dona la vita al popolo che ad essa si rivolge.

Nel midrash, soprattutto, si dice che come le greggi si abbeveravano a quell’acqua viva, così i figli di Israele che si recavano a Gerusalemme per le tre feste di pellegrinaggio venivano riempiti di Spirito Santo (BerR su Gen 29,2-3). Un lettore che ha familiarità con il Nuovo Testamento, non può non ritrovare analogie con il racconto giovanneo dell’incontro di Gesù con la donna samaritana, narrato in Gv 4. È ancor più intrigante il fatto che, secondo alcuni, la “festa dei Giudei” per la quale Gesù salì a Gerusalemme «dopo questi fatti» (Gv 5,1: ovvero dopo l’incontro al pozzo di Giacobbe con la donna di Samaria e dopo il secondo segno di Cana), potrebbe essere proprio Shavuot/Pentecoste. Ma non solo lo Spirito è donato a coloro che si recano a Sion per le feste previste dalla Legge: esso scende anche su coloro che studiano la Torah, donata da Dio al Sinai.

Chi studia la Torah, è circonfuso della stessa gloria e della Presenza di Dio che scendeva sul monte. Questo suggestivo racconto ci richiama alla mente non solo la Pentecoste cristiana, ma anche un episodio del Nuovo Testamento, quello di Gesù coi discepoli di Emmaus. Gesù che si mette a fare un tratto di strada coi discepoli, riprende in mano le Scritture, «cominciando da Mosè [la Torah] e da tutti i Profeti» (Lc 24,27). I due di Emmaus, commentando tra loro l’accaduto, dicono che «ardeva il loro cuore» (Lc 24,32), mentre Gesù spiegava quelle parole di Dio che si riferivano al Messia.Infine, l’episodio ci richiama ovviamente la Pentecoste cristiana, di cui parleremo subito. Prima però possiamo aggiungere ancora qualcosa sulla presenza dello Spirito Santo nel libro di Rut e nella festa di Shavuot.

Leggiamo la scena della moabita che si prepara per incontrare Booz, descritta in Rt 3,3 («Làvati, profumati, mettiti il mantello e scendi all’aia») e troviamo richiami simbolici proprio allo Spirito Santo: «Ora Rut si prepara ungendosi. Gli orientali usavano l’olio profumato per proteggere e guarire il corpo, e per rendersi attraenti. […] L’olio dell’unzione dice della presenza e dell’azione dello Spirito Santo nella nostra vita. Tutti i credenti hanno ricevuto l’unzione dello Spirito (1Gv 2,20; 27), e dovrebbero essere il “profumo di Cristo” per il Padre celeste (2Cor 2,15). Un ulteriore dettaglio che ci permette di passare, finalmente, ad evidenziare alcuni aspetti della festa di Pentecoste come letta e interpretata dai cristiani, nel Nuovo Testamento: una Festa Cristiana.

Pentecoste: una Festa Cristiana per tutti i popoli e tutte le lingue

La Pentecoste, narrata da Luca nel libro degli Atti, racconta di un avvenimento con caratteristiche proprie rispetto alla celebrazione ebraica di Shavuot, ma anche se nel racconto lucano di Pentecoste non c’è alcun riferimento diretto al patto sinaitico, allusioni indirette fanno capire che Luca era consapevole dell’associazione della Pentecoste con il rinnovamento di quel patto .Molte parole usate dall’evangelista sono riprese dal racconto del dono della Legge al Sinai, e così la descrizione dell’evento, con i suoi suoni e le sue luci di fuoco.

La descrizione di Es 19,18 secondo cui «il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco, e ne saliva il fumo come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava molto», fornisce lo sfondo non solo per spiegare le «lingue di fuoco», ma anche il «fragore» che riempie la sala sul monte Sion a Gerusalemme.

Luca scrive che a Gerusalemme non vi erano solo Giudei, ma anche stranieri da tutte le nazioni sotto il cielo, comunque pur sempre circoncisi .La logica conseguenza è che la Pentecoste lucana è un fenomeno ecclesiale che ha come sbocco l’annuncio cristiano agli ebrei: nella scena Luca presenta solo giudei, cioè membri del popolo d’Israele (e non pagani): nella prima parte del libro [degli Atti] il vangelo è annunciato solo ad essi; questi ebrei di tutte le nazioni sono però simbolo di tutti i popoli a cui poi si rivolgerà l’annuncio che Gesù è il Messia.

L’affermazione lucana si potrebbe spiegare ricorrendo alla tradizione giudaica che interpretava l’evento del Sinai come destinato a tutti i popoli della Terra. Sotto quel monte, infatti, secondo il Talmud, non vi era solo l’assemblea di Israele, ma tutti i popoli, come scritto in questo testo talmudico: «R. Johanan disse: “che cosa significa il versetto Il Signore dà la parola: quelli che danno la notizia sono una grande schiera” [Sal 68,12]?

Ogni singola parola che esce dall’Onnipotente si divideva in settanta lingue. Queste settanta lingue, secondo la tradizione giudaica, erano le lingue parlate dai settanta popoli del mondo, come scritto in un altro testo talmudico, dove si discute su quali caratteristiche debbano avere i membri del Sinedrio, e si dice che devono essere sapienti, di bell’aspetto, di età matura, con diverse conoscenze, e capaci «di conversare in tutte le settanta lingue dell’umanità» (B. San 17b; Settanta è appunto il numero delle lingue della terra secondo altri testi rabbinici, quali PRE 24, Tg. Ps.-J. Gen 11,8, e in Rashi su Dt 1,5), in modo che nessun interprete debba essere richiesto dalla corte, intendendo così che tutte le lingue dovevano essere conosciute nel Sinedrio.

La Pentecoste raccontata da Luca nel libro degli Atti degli Apostoli è la memoria del dono dello Spirito alla Chiesa, ma è anche profezia dell’apertura universale dell’ebraismo e del cristianesimo, apertura che si mostra nella capacità di parlare le lingue degli altri: la Legge, con la comunità messianica di Gesù, potrà presto, ma non prima della Pentecoste dei pagani (At 10,44), giungere davvero a tutti.«Da Sion uscirà la Torah» (Is. 2,3): Rut non esce da Moab.

Questo è stato possibile grazie al cristianesimo. Diversamente da Rut, che uscendo da Moab, è entrata nell’alleanza e ha scelto di assoggettarsi alla Legge, è stato il Vangelo, portato dai cristiani, ad uscire da Gerusalemme, già con la Pentecoste cristiana, e questo ha permesso che la Legge fosse conosciuta anche dai pagani.

Poiché secondo alcune tradizioni rabbiniche, la Legge era stata offerta a tutti i popoli al Sinai, ma essi l’hanno rifiutata, ora, con Shavuot/Pentecoste, a tutti i popoli del mondo è data una nuova opportunità. La grande visione di Isaia 2,2-3, dove il profeta descriveva come «alla fine dei giorni, al monte del tempio del Signore… affluiranno tutte le genti», e come tutti i pagani sarebbero saliti a Gerusalemme (e con essi la moabita!), diceva anche che «da Sion uscirà la Legge e da Gerusalemme la parola del Signore». Nell’interpretazione patristica (Girolamo e altri), Rut è figura della Chiesa che proviene dai Gentili; con la Pentecoste cristiana, Rut non esce più da Moab per andare a Betlemme, è la Chiesa che va incontro a lei.

Ora, le parole di Isaia hanno un nuovo significato: il monte Sinai è diventato il Sion, il luogo di Gerusalemme dove, tradizionalmente, la comunità cristiana ha proprio localizzato la nascita della Chiesa e l’episodio della Pentecoste secondo il racconto di Atti degli Apostoli (tradizione già in Cirillo di Gerusalemme, prima del 348 d.C.)

In una festa di Pentecoste/Shavuot, la comunità messianica di Gerusalemme, ha sperimentato che Gesù è il Messia, la Torah vivente, la Parola di Dio, venuto a vivere e a spiegare la Parola di Dio: ora, il suo Spirito – donato ad ogni festa di pellegrinaggio – dona ai discepoli di capire quanto è accaduto: «questi uomini non sono ubriachi» (At 2,15), ma inebriati delle parole di Dio a cui hanno potuto accedere tramite Gesù. Se i discepoli di Emmaus avevano il cuore che bruciava loro nel petto, la Chiesa di Pentecoste, ora sul monte Sion, ha finalmente accesso alla cantina del Sinai.

Considerazioni finali: La lettura liturgica del rotolo di Rut

A conclusione della lettura di Rut, possiamo riprendere alcune considerazioni sulla collocazione del rotolo nella liturgia ebraica, e precisamente nella festa di Pentecoste. In essa Israele commemora l’alleanza stipulata al Sinai tra JHWH ed il popolo, con il dono della Tôrāh; Šābū ô̔ t, la festa delle settimane, è infatti celebrata il cinquantesimo giorno dopo
Pasqua. In origine, era la festa cananea della raccolta, nella quale si offrivano le primizie.
Per molto tempo questa festa rimase una semplice festa di raccolto, senza essere rapportata a qualche determinato evento della storia di Israele o a qualche azione di Dio verso il suo popolo.

Solo con il codice sacerdotale vi è una connessione chiara tra la rive- lazione al Sinai e questa festa (cf Es 19,1). Se nell’originaria festa del raccolto si partiva dal presupposto che la terra e i campi appartengono alla divinità e, quindi, vanno offerte alla divinità le primizie del raccolto, quale garanzia dei raccolti futuri, ora il centro della festa sta non più nella raccolta, ma nel dono della Legge.

Il risultato è che il senso della festa è ormai abbastanza chiaro: da un lato essa è espressione di riconoscenza per la benedizione del raccolto e dall’altro dà un secondo fondamento alla fede giudaica, cioè la fede nella divina rivelazione, nella manifestazione della Toràh divina. E. se la Pasqua era poeticamente descritta come il tempo del fidanzamento di Israele con Dio, così Šābū ô̔ t corrisponde al tempo del matrimonio.

Il punto simbolico, culminante, ciel tempo della preparazione alla festa si ha nella notte della festa, in cui, a partire dal Medio Evo, cerchie di cabalisti «insegnavano la Tôrāh». I Qabbalisti, infatti, ritenevano che a mezzanotte il cielo si aprisse per accogliere, con be-nevolenza, le preghiere e le meditazioni dei pii, che celebrano la lunga veglia la sera precedente la festa della rivelazione della Torah.

Il libro di Rut è letto in questa festa per più motivi. Il fatto che si parli della mietitura è uno dei motivi esteriori. Più importante è invece il ruolo che la legge svolge nella sopravvivenza di queste due donne povere. Grazie alla legge della redenzione e quella della spigolatura, la povera Noemi e la straniera Rut incontrano la misericordia del Dio di Israele che continua a porre il suo sguardo misericordioso sui poveri.

Bisogna inoltre conoscere una tradizione giudaica del libro apocrifo dei Giubilei, secondo il quale la festa di Pentecoste era celebrata già in cielo fin dalla creazione ed era stata rivelata a Noè nel giorno stesso in cui Dio aveva concluso l’alleanza con ogni vivente, cioè il giorno 15 del terzo mese.

Alleanza cosmica ed universale si saldano insieme con quella confermata ad Abramo e con quella conclusa con Mosè e il popolo il 50° giorno dall’uscita dell’Egitto. Pentecoste è dunque la festa dei giuramenti di Dio e di quelli degli uomini verso di Lui.

Il libro di Rut è davvero l’esaltazione di questo Dio fedele che mantiene la sua promessa verso gli uomini, e della fedeltà delle persone agli impegni da esse assunti verso di Lui e verso il prossimo. Rut è come l’incarnazione di questa fedeltà, mantenuta a caro prezzo; per questo i Rabbini dicono che la lettura di Rut è stata prescelta per Pentecoste in quanto «la legge si può ottenere solo a prezzo di molte sofferenze»

«Per i cristiani Pentecoste è la festa della nuova Alleanza, celebrata anch’essa nel 50° giorno come completamento della Pasqua del Signore avvenuta con la croce e la resurrezione. La legge cede il posto allo Spirito e nasce la Chiesa in una nuova alleanza. Rut dunque potrebbe essere giustamente letto anche nella Chiesa la vigilia di Pentecoste tenendo soprattutto conto dell’interpretazione dei Padri che vedono nella donna protagonista del libro la «Ecclesia ex gentibus», ammessa al banchetto del Regno: “vieni, mangia il pane e intingi il boccone nel vino” (2,14); “rimani insieme ai miei servi, finché abbiano finito tutta la mia mietitura”»

CON GESU’ VERSO IL GOLGOTA. Le Palme e le altre Simbologie di Alberi, Pane e Spezie dall’Ebraismo al Vangelo Cristiano

CON GESU’ VERSO IL GOLGOTA. Le Palme e le altre Simbologie di Alberi, Pane e Spezie dall’Ebraismo al Vangelo Cristiano

di Paola Persichetti

Paola Persichetti, oltre ad essere leader del comitato spontaneo La Gente come Noi nella lotta contro l’imposizione di Green pass e Vaccini obbligatori, è Laureata in Lingue e Letterature Straniere, inglese, francese, lingua e Cultura ebraica, all’Università di Perugia con  110/110, bacio accademico e menzione d’onore.  Corso di storia e del Cristianesimo antico, università Perugia. Master universitario in fonti, storia, istituzioni e norme del Cristianesimo ed Ebraismo.


Seguiamo giorno per giorno e quasi ora per ora il cammino di Gesù verso il Golgota accompagnati dalla simbologia degli alberi

La liturgia della Chiesa cattolica non conosce lungo tutto il ciclo nel quale l’hanno svolge per lei i suoi fasti ed i suoi simboli, una settimana più ricca in bellezza, più carica di significato, di quella in cui commemora gli ultimi giorni vissuti da Gesù sulla terra. La settimana Santa.

La settimana si apre nell’odore fresco dei rami tagliati, palme e rami di olivi.

Ingresso messianico di Gesù a Gerusalemme – affresco di Giotto della Cappella degli Scrovegni risalente agli inizi del XIV secolo.

Appena dileguato il motivo del GLORIA ICTUS , Ecco degli osanna d’israele, ecco la chiesa sprofondarsi nell’ufficio notturno, nel quale le lunghe letture dei profeti e il canto alterno dei salmi richiamano insieme il dramma che si avvicina e le promesse più volte secolari, delle quali esso sarà il compimento.

Il giovedì Santo, coi suoi sepolcri profumati, sembra interrompere con un sorriso l’ascesa al calvario: Ma nell’ostia nascosta fra rose e ceri, un popolo in ginocchio ad ora la carne stessa della vittima. Cala infine la notte: Il mutismo delle campane, lo scalpiccio lugubre delle  folle alla via crucis, statue velate, tabernacolo deserto, il monumento stesso sembra partecipare al dolore del mondo, fino al momento in cui sgorga, nell’alba del giorno miracoloso, il grido esultante della speranza:

“Il Cristo è risorto!”.

Bisogna ormai seguire giorno per giorno e quasi ora per ora il cammino di Gesù verso la decisione Suprema.

Ci si immagina nella terra della Giudea piena di profumi vegetali, nel canto mille  volte ripetuto delle allodole, dove l’anima crede di sentire la presenza stessa della grazia divina.

Scendiamo allora nella Giudea per conoscere il simbolismo e il significato di tutti gli alberi menzionati nella Bibbia durante le sacre  letture che ci accompagneranno nel cammino della settimana Santa. Si squarcerà un’orizzonte che ci farà entrare e vivere in pienezza nella terra nativa di Gesù Cristo.

L’UOMO È COME UN ALBERO

Gli alberi nella scrittura e il loro significato

Per ricordarsi dove sono le radici del cristianesimo è necessario conoscere  il perché nell’ebraismo è data tanta importanza agli alberi, si da dedicare loro un giorno festa, il 15 del mese di Febbraio, quando in Israele inizia la fioritura, viene posta la festa dedicata agli alberi. Del resto gli alberi sono i veri primi abitanti del nostro pianeta e quasi tutte le feste ebraiche comportano anche una menzione agli alberi e ai raccolti, infatti:

  • TU BISHVAT Capodanno degli alberi, si celebra mangiando tutte le 7 specie di frutti della terra per i quali e lodata nella per i quali è lodata nella torah la terra di Israele, ossia frumento, cereali, uva, Fico, melograno, ulivo, dattero;
  • SUKKOT, Festeggia il raccolto della frutta con il rito del “LULAV”, Iniziano le piogge;
  • CHANUKKAH festeggia la fine del raccolto delle olive;
  • PESACH Si miete l’orzo essi semina;
  • SHAVUOT Celebra la raccolta di grano e frutta estiva;
  • TU BE AV Festa della vita e dell’amore
  • ROSH HA SHANA Compleanno della creazione, il Capodanno ebraico quando i melograni sono divisi tra i commensali augurantisi che le buone azioni siano numerose nell’anno come i semi di quei frutti.

Le 22 sacre lettere con  i significati grafici delle lettere ebraiche ci  aprono un mondo :

Sono il segno parlante delle sacre scritture, sono balbettii su Dio.

Iniziamo insieme questo viaggio addentrandoci nel mondo vegetale  con lo stesso spirito e la stessa curiosità con cui si inizia un cammino esplorativo e contemplativo nella natura.

Per l’utilità del lettore presentiamo una minima nomenclatura delle varie parti di un albero concepita nel mondo ebraico:

  • Le radici
  • Il fusto o tronco
  • Il germoglio
  • Il virgulto
  • La ramificazione, fronde, chioma
  • Un ramo
  • Foglia, fronda, Frasca, fogliame
  • Fiore
  • Frutti
  • Seme

Questi sono i nomi degli alberi che si trovano ricordati  più di 20 volte Nell’antico testamento e almeno 5 volte nel nuovo testamento,

  • Fico
  • Ulivo
  • Vite

Ecco gli alberi ricordati meno di 20 volte nell’antico testamento e meno di 5 volte nel nuovo testamento

  • Palma
  • Sicomoro

Questi poi sono alberi, importanti richiamati almeno 5 volte nei testi ebraici dell’antico testamento, ma che non sono citati nel nuovo testamento

  • Cedro del Libano
  • Melo
  • Cipresso
  • Acacia
  • Melograno
  • Salice
  • Mandorlo
  • Leccio
  • Quercia

Questi alberi, pure importanti, sono citati meno di 5 volte nell’antico testamento, ma non sono menzionati nel nuovo testamento

  • Noce
  • Platano
  • Gelso
  • Pioppo
  • Mirto
  • Tamarisco

Il carrubo non è menzionato nell’antico testamento ed è ricordato solo nel Vangelo di Luca nella parabola detta del figlio prodigo

Dagli alberi a Cristo

Per la proprietà di icone insita nelle lettere dell’alfabeto ebraico di trasmettere anche dei messaggi grafici, molti dei termini usati per gli alberi si prestano a tratteggiare vicende del crocifisso e a sostenere la questione che poi affronteremo dell’uomo simile a un albero. Al riguardo, è interessante ricordare che i quattro principali frammenti della Santa croce ritrovata nel 326 a Gerusalemme da sant’elena, madre dell’imperatore Costantino, conservati in Roma a Santa Croce in Gerusalemme, a Pisa nel Duomo A Firenze in Santa Maria del fiore sono stati identificati come schegge di legno di ulivo. Per cui l’ipotesi che la Santa croce fosse di legno di ulivo si fa concreta. Spieghiamo allora il perché le  lettere della parola ulivo “zit”cominciano a parlare e dicono

  • Con un attrezzo-tagliata-segata fu la croce (In corsivo è una +)
  • Di questo Sarà la croce
  • Su questa + fu crocifisso.

Proponiamo alcuni esempi di come vari altri termini degli alberi si prestano bene a essere letti Con pensiero profetico sulle vicende che conosciamo dai Vangeli. Tutti i seguenti termini sono riferibili a Gesù Cristo proprio nel libro del profeta Isaia, nella famosa profezia sul messia che viene dal tronco di iesse padre di David “Un germoglio spunterà dal tronco di iesse, un virgulto dalle sue radici”.

Ancora su tale argomento si presentano i termini

  • Fronda
  • Chioma
  • Ramo
  • Foglia, fogliame
  • Radici, ceppo
  • Vite
  • Vigna

Il legno della Croce con sopra Gesù crocifisso, quindi, si presta idealmente a essere paragonato a un albero con fronde e frutti.

Su tale discorso torneremo.

L’albero che cammina

Vari e tanti, peraltro, sono i paralleli tra alberi e uomini che si rinvengono nei libri che compongono la Bibbia. Il campo da investigare è molto ampio.

Per le loro varie forme e per specifiche qualità, con la variabilità dei frutti e delle foglie, per la presenza di spine o di resina, per altezza o per forma  delle chiome e delle radici, gli alberi, si prestano a commenti e similitudini con le caratteristiche di certi uomini, fruttiferi o non, alti e superbi, come i cedri del Libano  o umili come gli arbusti spinosi.

In  Sant ’Agatone d’Egitto , uno dei padri del deserto, vissuti nel quarto secolo nelle steppe di Palestina, Siria ed Egitto ebbe a dire:” l’uomo è come un albero, la fatica del corpo sono le foglie, la custodia del cuore il frutto. Ora, poiché come è scritto ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco(Matteo 7,19), E chiaro che tutto il nostro impegno deve tendere al frutto, cioè a custodire il nostro spirito. Ma è necessaria anche la protezione e l’ornamento delle foglie, cioè la fatica del corpo.”

Quel pensiero di Sant ‘Agatone che l’uomo è come un albero è proprio dell’ebraismo che lo considera come un enunciato della Torah, dedotto oltre che da vari paragoni da una lettura particolare del versetto del deuteronomio 20,19 che recita: “Quando cingerai d’assedio una città per lungo tempo, per  espugnarla e conquistarla, non ne distruggerai gli alberi colpendoli con la scure; ne  mangerai il frutto, ma non li taglierai: L’albero della campagna è un uomo”… E allora si trasgredirebbe al comandamento di non uccidere visto che non è un nemico specifico da assediare.

Il progetto ha inizio

L’insieme dei libri chiamato Bibbia, che per i credenti giudeo cristiani contiene la rivelazione di Dio agli uomini, esordisce attribuendo in 7 giorni la creazione di tutto ciò che esiste al creatore chiamato dal testo ebraico di genesi 1 .1 Eolohim Termine che viene tradotto Dio le cui lettere suggeriscono una forma verbale.

Si deve porre grande attenzione sulla differenza sostanziale che c’è tra Dio creò del versetto uno e Dio disse del versetto tre..

Il creare da parte di Dio riguarda

  • L’universo sensibile
  • La vita animale che inizia
  • La coppia dei progenitori ad immagine e somiglianza di Dio

Per la creazione dell’uomo, il testo usa tutti e tre i verbi dire, fare, creare.

Agli occhi dell’uomo l’albero è il segno tangibile della forza vitale che il creatore ha escluso nella natura. Ad ogni primavera Esso ne annuncia La rinascita. Tagliato, rigermoglia. Nel deserto arido indica i luoghi dove l’acqua permette la vita, nutre l’uomo con i suoi frutti. Ce n’è a sufficienza perché si possa paragonare ad un albero verdeggiante sia l’uomo giusto che Dio benedice sia il popolo che gli colma di favori . È vero che esistono alberi buoni ed alberi cattivi, che si riconoscono dai loro frutti: i cattivi non  meritano che di essere tagliati e gettati nel fuoco ; e così anche gli uomini, al momento del giudizio di Dio. Partendo da questo significato generale il simbolismo dell’albero si sviluppa nella Bibbia in tre direzioni.

  • L’albero della vita
  • L’albero del regno di Dio
  • L’albero della croce.

L’albero di vita

Riprendendo un simbolo corrente della mitologia mesopotamica, la genesi colloca nel paradiso primitivo un albero di vita il cui frutto comunica l’immortalità genesi 2.9.

In connessione con questo primo simbolo la falsa Sapienza che l’uomo usurpa attribuendosi la conoscenza del bene e del male, eppure rappresentata come un albero il cui frutto è vietato genesi 2. 16. Sedotto dall’apparenza ingannatrice di quest’albero l’uomo ne ha mangiato il frutto e di conseguenza ora non ha più accesso all’albero di vita. Nell’escatologia  profetica La terra santa è descritta negli ultimi tempi, come un paradiso ritrovato, i cui alberi meravigliosi forniranno agli uomini cibo e rimedio.

L’albero del regno di Dio

Le mitologie orientali conoscevano pure il simbolo dell’albero cosmico, rappresentazione figurata dell’universo. Questo simbolo non è ripreso nella Bibbia, la quale però paragona volentieri gli imperi umani, che tengono sotto la loro ombra tanti popoli, ad un albero straordinario che sale fino al cielo e di scendere fino agli inferi, da ricetto a tutti gli uccelli e a tutte le bestie nel libro del profeta Ezechiele. Grandezza fittizia, perché fondata sull’orgoglio. Il giudizio di Dio abbatterà quest’albero. Ma il regno di Dio, nato da un umile seme, diventerà il suo stesso un grande albero dove tutti gli uccelli verranno a fare il nido nel vangelo di Matteo 13,31s.

L’albero della croce

L’albero può diventare segno di maledizione quando è usato come patibolo per i condannati a morte (genesi 40,19. Giosuè 8,29. Ester 2,23): colui che ne prende contamina La terra santa, perché è una maledizione di Dio. Ora Gesù ha voluto prendere su di sé quella maledizione. Ha portato i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, vi ha inchiodato la sentenza di morte che era è messa contro di noi. Nello stesso tempo l’albero della croce è divenuto il legno che salva: è aperta la via che conduce al Paradiso ritrovato, dove fruttifica per noi l’albero di vita(apocalisse 2,7). L’Antico segno di maledizione è divenuto esso stesso questa albero di vita:” o croce sempre fedele, sei l’unico albero glorioso. Nessuna selva ne produce uguali, per fronde, fiori e ceppo”.

Molto interessante è entrare nella terra della Palestina e della Giudea per comprendere, soprattutto in riferimento alla settimana santa che andiamo a vivere, quali alberi incontriamo nei vangeli e nelle letture sia dell’Antico testamento che del Nuovo testamento, il loro significato catechetico che ci aiuta a vivere in pienezza questi giorni in preparazione alla santa Pasqua.

La Vite e la Vigna

Poche colture dipendono, come la vite, sia del lavoro attento ed ingegnoso dell’uomo sia dal ritmo delle stagioni. La Palestina, terra di vigneti, insegna ad Israele a gustare i frutti della Terra, a dedicarsi totalmente ad un lavoro promettente, ma anche ad aspettarsi tutto dalla generosità Divina. D’altra parte la vite, così preziosa, ha qualcosa di misterioso. Non ha valore che per il suo frutto.

Il suo legno è senza valore e i suoi tralci sterili non sono buoni che per il fuoco; ma il suo frutto rallegra dei e uomini (Giovanni 15,6); la vite nasconde quindi un mistero più profondo; porta la gioia nel cuore dell’uomo (Salmo 104), è una vita il cui frutto è la gioia di Dio.

Noè, il giusto, pianta la vite su una terra che Dio ha promesso di non più maledire . E la presenza di vigneti sulla nostra terra è il segno La benedizione di Dio non è stata completamente distrutta dal peccato di Adamo. Dio promette e da al suo popolo una terra ricca di vigne ma coloro che opprimono il povero Oh sono infedeli a Jahvè non berranno il vino delle loro vigne; Esse saranno divorate dalle locuste (Gioele 1) o faranno posto ai Rovi (Isaia7,23).

Gravemente ingiusto è il re che prende le vigne dei suoi sudditi; di questo abuso predetto da Samuele si rende colpevole Achab. Ma,  sotto un buon re, ognuno vive nella pace, sotto la sua vite ed il suo Fico. ( 1Re 5,5).

Questo ideale si realizzerà nei tempi messianici; allora La vigna e sarà immagine della Sapienza, immagine della sposa feconda del giusto.

La vite che mette le gemme simboleggia la speranza degli sposi che, nel cantico dei cantici, cantano Il mistero dell’amore.

Israele è la vigna infedele a Dio. Sposo e vignaiolo, il Dio di Israele ha la sua vigna che è il suo popolo. Per Osea, Israele è una vigna feconda che rende Grazie della sua fecondità ad altri piuttosto che a Dio, quel Dio che, mediante l’alleanza è il suo sposo. Per il profeta Isaia, Dio ama la sua vigna, ha fatto tutto per essa, ma invece del frutto di giustizia che attendeva,  ha dato l’acerba vendemmia del sangue versato; egli l’abbandonerà ai  devastatori.

Per il profeta Geremia, Israele è una vigna scelta, inselvatichita è divenuta sterile che sarà divelta e calpestata. Ezechiele infine paragona ad una vigna feconda, poi inaridita e bruciata, ora Israele infedele al suo Dio, ora il Re infedele ad una Alleanza giurata.

Verrà un giorno in cui la vigna fiorirà sotto la custodia vigilante di Dio. A tale scopo Israele invoca l’amore Fedele di Dio affinché egli possa salvare questa vigna che ha trapiantato dall’Egitto nella sua terra e che ha dovuto abbandonare allo sterminio e al fuoco. La fedeltà futura di Israele non dipenderà da lui, Israele da solo non può mantenere questa promessa. Sarà il figlio di Dio prediletto, il vignaiolo Fedele, che farà sì che la vigna darà finalmente il suo frutto. Accanto a Cristo, per fare la sua vendemmia, Dio accoglierà tutti gli operai che lavoreranno fin dal mattino oppure assoldati all’ultima ora ma tutti riceveranno la stessa ricompensa. Infatti ciò che Israele non ha potuto dare a Dio  gliel’ho da Gesù . Egli è la vigna. È il vero Israele.è stato piantato dal Padre  suo , è stato circondato di cure e mondato affinché porti un frutto abbondante. Ed il vino, frutto della vite, sarà , nel mistero eucaristico, il segno sacramentale di questo sangue versato per suggellare la nuova alleanza.

Egli è la vera vite e noi tralci. Gesù solo vera vite, può portare un frutto che glorifichi il vignaiolo, il Padre  suo. Senza la comunione con lui, noi siamo tralci staccati dalla vite, privi di  linfa, sterili, buoni per il fuoco. Mediante questa comunione, l’uomo diventa tralcio della vera vite. Ecco allora il mistero spiegato della vera vite:il  il suo legno non ha valore . Il legno della vite ha un unico fine : generare i frutti .

La palma

La domenica delle Palme si celebra nella domenica precedente la Pasqua. Questa festività ha un significato specifico nella liturgia cattolica: Nasce da un episodio raccontato nel Vangelo, con l’arrivo di Gesù trionfante a Gerusalemme e affonda le sue radici nella festa del Sukkot

Origini Ebraiche della Festa Sukkot

Nella tradizione ebraica, c’è una festa, chiamata la festa delle capanne o Sukkot, dalla quale sembra mutuata la simbologia della nostra domenica delle Palme. In si celebra coralmente la liberazione del popolo di Israele dall’Egitto , dove , dopo il passaggio nel mare rosso, per 40 anni era vissuto nelle capanne. Il messia, secondo la tradizione, sarebbe arrivato proprio durante questa festa.

Gli e israeliti compivano insieme un pellegrinaggio a Gerusalemme e salivano verso il tempio in processione. Ognuno portava in mano e sventolava un piccolo mazzetto, Lulav, Composto dai rami di tre alberi, il mirto, simbolo della preghiera che si innalza verso il cielo, il Salice la cui forma delle foglie rimandava la bocca chiusa dei fedeli, in silenzio di fronte a Dio, e la Palma simbolo della fede, tenuti insieme da un filo d’erba.

L’Ingresso messianico Gesù – opera di Filippo Pinsoglio dal ciclo sulla Bibbia

La Palma, a cui si fa riferimento, e la Palma da dattero, che è uno degli alberi più presenti nella terra della sacra scrittura, soprattutto nella regione della giudea. Il suo frutto, dolce come il miele, nutre i nomadi e gli abitanti del deserto ed è legato anche alla simbologia della terra promessa dove Dio promette ad Abramo che gli donerà una terra dove scorrerà latte e miele. Il miele a cui fa riferimento non è il miele prodotto dalle api ma il miele del dattero. Perché proprio la Palma?

L’albero della Palma ha una caratteristica ha delle radici molto lunghe con le quali assorbe l’acqua nascosta nella profondità della terra, infatti cresce rigogliosa nel deserto e nelle zone aride, rimanendo sempre verde, cioè, viva. Nel Vangelo di Giovanni, la Palma indica la vittoria di Gesù sulla morte e la sua resurrezione. Il Vangelo di Giovanni, a differenza dei sinottici che descrivono l’ingresso di Gesù a Gerusalemme acclamato con rami di ulivo, narra che la gente che lo seguiva con in mano rami di Palma: ”Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore…….”(Giovanni 12.13).

Nell’apocalisse i martiri, a causa della loro fede, sono i risorti che stavano in piedi davanti al trono e davanti all’agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani. Apocalisse 7.9. Nel cristianesimo la Palma detta della vittoria è il simbolo dell’ascesa, della rinascita, della vittoria della vita sulla morte. Per questo motivo i primi martiri sono raffigurati con una Palma in mano.

L’acacia o mimosa nilotica. È un arbusto spinoso, con infiorescenze. Questo albero da il vero succo d’acacia, la gomma arabica. Nella sacra scrittura la troviamo utilizzata per costruire l’arca dell’alleanza. Nel libro dell’esodo si legge che Bezaleel Fece l’arca in legno di acacia che poi rivestì d’oro, nella tavola delle offerte ugualmente costruita con legno di acacia e le rivesti d’oro, ritroviamo l’acacia nell’altare dei profumi dove si bruciava l’incenso, l’altare dei sacrifici stesso era fatto il legno d’acacia. Secondo alcuni storici anche la corona di spine di Cristo è  stata intrecciata con rami di acacia.

Il cedro del Libano cedrus libani.

Il cedro del Libano per le sue notevoli dimensioni, è stato fatto l’emblema della grandezza, della nobiltà, della forza e dell’immortalità. Nel cantico dei cantici troviamo una bellissima immagine di questo albero che dice che il cedro non marcisce; Fare in cedro le travi delle nostre case e preservare l’anima dalla corruzione dice l’autore. Essendo simbolo di incorruttibilità, gli ebrei, al tempo del re Salomone, lo utilizzarono per costruire la struttura del tempio di Gerusalemme. L’interno del tempio era fatto interamente di legno di cedro dove scolpito a rosoni e a boccioli di fiori. Non venne usata neanche una pietra.

Nel libro del profeta Isaia;, nel profeta Amos; Ezechiele; Il cedro è anche il simbolo della bellezza. Nel capitolo 31 Ezechiele utilizza Il cedro paragonandolo al messia e al suo Regno” Io prenderò dalla cima del cedro, dalle punte dei suoi rami coglierò un ramoscello e lo pianterò sopra un Monte alto, massiccio; Lo pianterò sul Monte alto d’Israele  Metterà rami e farà frutti. Diventerà un cedro magnifico. Sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno, ogni volatile all’ombra dei suoi rami riposerà. Sapranno tutti gli alberi della foresta che io sono il signore che umiliò l’albero alto e innalzò l’albero basso faccio segare l’albero secco., io il signore ho parlato e lo farò”.

Era il 1856. Costanzo Falletti di Rodello ed Eulalia Della Chiesa di Cervignasco, avi della famiglia Cordero di Montezemolo dell’azienda agricola Monfalletto a La Morra (Cuneo), decisero di rendere visibile e concreto il loro sentimento. Nel giorno delle loro nozze, dunque, i due piantarono un cedro del Libano. Lo investirono di un incarico importantissimo e propiziatorio: diventare per la comunità locale un simbolo tangibile di amore reciproco e un manifesto di devozione per la terra.
Il Cipresso

Il cipresso è un albero slanciato. Nel libro del profeta Isaia capitolo 55.13 troviamo la descrizione del cipresso“Invece di spine cresceranno cipressi, invece di ortiche cresceranno mirti; Ciò sarà gloria del Signore, un segno eterno che non comparirà”.

Anche il legno di cipresso, come quello del cedro servi a rivestire il tempio di Gerusalemme:” Ho ascoltato il tuo messaggio, farò quanto desideri riguardo a legname di cedro e di cipresso”1 Re5,22.

Gesù realizzò nella propria persona la parola che Osea mette sulla bocca del Signore:” Io sono come un cipresso sempre verde, grazie a me tu porti frutto”Os.14,9.

Il Fico

“Fico”: sia l’albero che il suo frutto  sono espressi da una stessa parola”, entrambi in ebraico si dicono t’enah  , al plurale t’enim, o t’enei lettere, ma con diversa vocalizzazione si ha:

– t’anah per “incontro, passione, lascivia, frega, calore” (Geremia 2,24); – to’anah per “occasione, pretesto” (Giudici 14,4);

– ta’aniiah per “lamenti, gemiti, tristezza, lutto” (Isaia 29,2);

– t’unim per “fatica, stanchezza, travaglio, stento” (Ezechiele 24,12).

e con talIl termine fico pare provenire dal radicale  che presenta due significati:

– 1) “lamentarsi, gemere, sospirare” da cui ‘onoeh lutto, cordoglio, simile al radicale onomatopeico da cui lamento o canto funebre nehi  e altro modo per “lamento, ahimè, guai”, è ‘oi ;

– 2) “far incontrare e farsi incontrare, far cadere, capitare accadere, cercareoccasione o pretesto”.

Di primo impatto viene l’idea di provare a spezzare quel termine t’enah  in due elementi  e allora: indicano “segno, termine” e  “inizio”, quindi, un qualcosa di definito che ha capo  e coda.

A questo punto pare potersi dire che t’enah o “segnala un lamento  ” e un possibile collegamento sul perché il fico ha potuto avere quel nome in ebraico, potrebbe essere che quando si coglie un frutto di fico accade che distaccato dal ramo sia il frutto, sia il rametto, producono una secrezione a goccia che sembra una lacrima di colore bianco simile al latte e pare che il fico pianga, quindi, ecco il collegamento al radicale del verbo che riguarda lamentarsi.

Analizziamo ora l’episodio di Natanaele. Natanaele in ebraico significa “Dio ha donato” e la tradizione lo identifica con l’apostolo Bartolomeo ossia Bar-figlio di Tolomeo che ne sarebbe il patronimico.

L’interpretazione corrente di quel dire del fico da parte di Gesù nel Vangelo di Giovanni è che è un albero che dà buoni frutti e lo stare alla sua ombra concilia la meditazione, ma c’è di più e di specifico proprio relativo allo scrutare le Sacre Scritture che corrisponde allusivamente “a stare sotto il fico”.

Ora in ebraico “il tuo fico” è t’anak, come già accennato, dal suono simile a TaNaK il nome con cui gli ebrei chiamano la Sacra Scrittura, acronimo delle tre parti che la formano – Torah o Legge, Nevi’îm o profeti e Ketubim o altri scritti – da cui TNK, quindi, TaNaK.

Con quel dire “ti ho visto sotto l’albero di fichi” Gesù forse alludeva proprio che Natanaele spesso era assorto nello studio e meditazione delle Scritture il che porterebbe a ritenere che fosse uno studioso della Torah.

Il fico, infatti, nell’ebraismo è paragonato alla Torah, in quanto, cercando in essa con accuratezza sotto le foglie si può trovare qualche frutto buono.

C’è anche il pensiero che l’evangelista Giovanni in quell’episodio del fico volesse ricordare profezie che a Natanaele erano venute alla mente quando Filippo gli parlò di Gesù di Nazaret.

Alla parola Nazaret, infatti, Natanaele prima fece la sua considerazione sarcastica “Da Nazaret può venire qualcosa di buono?”, poi avrebbe accostato quel nome a natzer ossia “virgulto” che lo avrebbe portato al “germoglio” di Isaia 11,1 “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici”, quindi, alla profezia di Zaccaria in 3,8.10 “manderò il mio servo Germoglio. …In quel giorno – oracolo del Signore degli eserciti ogni uomo inviterà il suo vicino sotto la sua vite e sotto il suo fico.”

Ciò reca all’annuncio della fine dei tempi quando in una festa di Sukkot per la tradizione sarebbe venuto Messia.

Secondo Zaccaria 14,16-19, accadrà che “… i superstiti, fra tutte le nazioni che avranno combattuto contro Gerusalemme, vi andranno ogni anno per adorare il re, il Signore degli eserciti, e per celebrare la festa delle Capanne . Se qualcuna delle famiglie della terra non andrà a Gerusalemme per adorare il re, il Signore degli eserciti, su di essa non ci sarà pioggia. Se la famiglia d’Egitto non salirà e non vorrà venire, sarà colpita dalla stessa pena che il Signore infliggerà alle nazioni che non saranno salite a celebrare la festa delle Capanne. Questo sarà il castigo per l’Egitto e per tutte le nazioni che non saranno salite a celebrare la festa delle Capanne”, quindi, Sukkot sarà festa universale nell’era messianica e tutte le nazioni verranno in pellegrinaggio a Gerusalemme per la Festa per avere garanzia della pioggia.

Natanaele stava celebrando il tempo di Sukkot in cui, in ricordo dei tempi dell’uscita dall’Egitto, simbolo di ogni tipo di schiavitù, l’ebreo dimora per 7 giorni in una capanna in genere coperta di rami di fico o di palma e l’usanza vuole che spiritualmente ogni sera ceni, meditando, con un ospite e l’ultima lo fa idealmente col Messia.

Natanaele, perciò, era aperto all’attesa dei tempi messianici, e quale “…Israelita in cui non c’è falsità”, fu pronto a replicare: “Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!”, perché aveva vissuto con intensità quel tempo propizio al riconoscimento del Messia e l’aveva atteso.

Ancora un altro pensiero sul nome “fico” in ebraico in cui una qualche influenza ha per certo anche il radicale  di “desiderare, volere, avere brama”, ossia “Uno  porta  a uscire ” evidentemente per cercare qualcosa che ritiene gli necessiti da cui ‘avvah per “desiderio, appetito, voglia” e il frutto del fico oltre che essere un boccone desiderabile è noto che è spesso stato usato, anche in italiano, per alludere all’organo sessuale femminile e al suo desiderio, per cui ecco che t’enah   “indica un gemito ” di desiderio, quindi la ricerca, anticamera della conoscenza ed è noto però nell’ebraismo anche l’atto sessuale, “conoscere una donna” è collegato appunto alla sfera della “conoscenza”.

Quello della ricerca invero pare trasparire anche in Natanaele in base all’elogio che Gesù fa nei suoi confronti, “Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità”.

Compito primo di un Israelita nel rapporto con Dio è essere attento alla Sua parola il che implica un rapporto stretto con la Sacra Scrittura e ne consegue allora che lo studiare di Natanaele era senza interesse di ricerca di potere, ma solo della Verità assoluta ed esistenziale, quindi, teso al Messia atteso proprio secondo quelle Scritture essendo il Messia il frutto che si nasconde tra le foglie della TeNaK.

Gesù con quel “ti ho visto sotto il fico…” dice in pratica a Natanaele che lo conosce nell’intimo e sa che è proprio un ricercatore di Verità; per contro Natanaele sente subito di essere stato capito, compreso nel profondo e che Gesù è diverso da ogni altro uomo, è il Santo, ed ecco risponde con la verità suggeritagli spontaneamente dallo Spirito Santo: “Tu sei il Figlio di Dio, Tu sei il re d’Israele!”.

Il fico nel Nuovo Testamento

Iniziamo col vedere come viene trattato il tema del “fico” nei Vangeli.

Matteo

Il primo incontro che nel Nuovo Testamento si fa con il termine “fico” è nel discorso della Montagna – capitoli 5, 6 e 7 – del Vangelo di Matteo, quando Gesù dice : “Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dagli spini o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li riconoscerete.” (Matteo 7,15-20)

Da tale autorevole dire si rileva che indiscutibilmente uva e fichi sono frutti buoni, e non cattivi o ambigui, quindi, sono diversi dall’albero della conoscenza del bene e del male di cui parla Genesi 2.

Sappiamo che in natura si trovano sia piante di viti, sia di fichi, selvatici e al riguardo questo selvatico abbiamo considerato che è un efficace parallelo per alludere all’opera del demonio nemico dell’uomo e di ciò che serve all’uomo. Eppure l’uomo è come un albero buono se ben preparato dall’ascolto e meditazione della parola del Signore; dice, infatti, il Salmo 1,3 : “È come albero piantato lungo corsi d’acqua, che dà frutto a suo tempo: le sue foglie non appassiscono e tutto quello che fa, riesce bene” e il profeta Geremia 17,8 conferma “Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore e’ la sua fiducia. È come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, nell’anno della siccità non si dà pena, non smette di produrre frutti.” L’allegoria è ancora legata alle lettere ebraiche e questa volta alla , mem, la 13° di quell’alfabeto che graficamente sta a significare “acqua, vita, madre” mentre la “parola” è millah come “acqua dal Potente uscita   ”.

A questo punto vengono alla mente gli alberi del Gan Eden che vivevano in quel giardino irrigato dalle acque emanate dal Signore e sono appunto la sua “parola” dice Isaia 55,10s “Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata.”

E il cerchio si chiude, quei progenitori in quel giardino erano come alberi buoni che erano nutriti dalla “parola” del Signore!

La domanda è cosa intende il Salmo 1,3 con quel “dà frutto a suo tempo”; certamente la risposta è, quando assimilato l’insegnamento l’uomo sarà simile al suo maestro, ossia al Signore stesso che gli parlava in quel giardino, infatti dice Gesù in Luca 6,40 “Il discepolo non è da più del maestro; ma ognuno ben preparato sarà come il suo maestro.”

Eppure, il midrash della “caduta” di Genesi 3 insegna che la prima coppia scelse un altro pedagogo, il serpente e si … inselvatichì.

Si rivestirono di foglie di fico divennero come alberi di fico selvatici, ma sotto le foglie non c’erano frutti buoni.

E’ ora di ricordare la profezia del profeta Ezechiele 47 del risanamento del Mar Morto con l’acqua che fuoriesce dalla destra del Tempio in cui tra l’altro afferma : “Lungo il torrente, su una riva e sull’altra, crescerà ogni sorta di alberi da frutto, le cui foglie non appassiranno: i loro frutti non cesseranno e ogni mese matureranno, perché le loro acque sgorgano dal santuario. I loro frutti serviranno come cibo e le foglie come medicina.”

Finalmente avviene la sintesi nel libro dell’Apocalisse di San Giovanni22,1-3 in cui, praticamente chiude con “ …mi mostrò poi un fiume d’acqua viva, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. In mezzo alla piazza della città, e da una parte e dall’altra del fiume, si trova un albero di vita che dà frutti dodici volte all’anno, portando frutto ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni. E non vi sarà più maledizione.”

Ricordiamoci, allora, questa allegoria: quando finirà la maledizione non vi sarà più una stagione dei frutti, ma in ogni tempo, ogni mese, l’albero buono li darà. Vediamo ora la seconda volta che nel Vangelo di Matteo si riparla di fichi.

Tutto ciò servirà per spiegarci anche quanto verrà detto poi nel Vangelo di Marco.

Occorre andare al capitolo 21 dopo l’ingresso messianico a Gerusalemme in cui viene raccontato che “La mattina dopo, mentre rientrava in città, ebbe fame. Vedendo un albero di fichi lungo la strada, gli si avvicinò, ma non vi trovò altro che foglie, e gli disse: Mai più in eterno nasca un frutto da te! E subito il fico seccò. Vedendo ciò i discepoli rimasero stupiti e dissero: Come mai l’albero di fichi è seccato in un istante?” (Matteo 21,18-20)

Icona Bizantina – la Maledizione del Fico

Era prima della Pasqua all’inizio della primavera e certamente non era il tempo dei fichi, nemmeno dei fioroni, e Gesù lo sapeva, ma fece egualmente quel segno che evidentemente era un segno profetico.

Si trova ancora: “ Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete tutte queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli del cielo né il Figlio, ma solo il Padre.” (Matteo 24,32-36)

Era primavera e il ramo di fico era divenuto tenero ma non era ancora avvenuta la reintegrazione dell’uomo e della natura allo stato primigenio, quello di prima del peccato dell’uomo che ha alterato la creazione; mancava, infatti. ancora il compimento definitivo del disegno di salvezza di Dio che passava attraverso gli eventi pasquali del Cristo.

Ecco comunque che è da ringraziare il Signore che come ha fatto quella volta in Matteo 21,18-20 col fico, non seccò l’uomo che aveva peccato e s’era coperto di foglie senza frutti, ma gli fece il dono del tempo per coltivarlo e farlo riprendere come poi vedremo nel Vangelo di Luca.

Gesù, dice quel racconto, “ebbe fame” e “aver fame” in ebraico ha per radicale in cui appare come “un male     dentro ” per cui l’aver fame evoca rinnova in Gesù la costatazione che sussiste il male nel mondo e conferma con quel segno il voler portare a termine la propria missione, quella di vincere il male ed ecco maledisse il fico, come del resto nel giardino terrestre era stato maledetto il male, ossia il “cattivo”.

Marco

Al capitolo 11 del Vangelo di Marco nei seguenti termini si trova il parallelo all’episodio del fico seccato di Matteo 21,18-20.

In Marco 11,12-14 viene, infatti, raccontato che Gesù : “La mattina seguente – all’ingresso trionfale in Gerusalemme accadde che – mentre uscivano da Betania, ebbe fame. Avendo visto da lontano un albero di fichi che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se per caso vi trovasse qualcosa ma, quando vi giunse vicino, non trovò altro che foglie. Non era infatti la stagione dei fichi. Rivolto all’albero, disse: Nessuno mai più in eterno mangi i tuoi frutti! E i suoi discepoli l’udirono.” (Marco 11,12-14)

L’osservazione che vi si trova “Non era infatti la stagione dei fichi”, che in effetti vorrebbe essere un chiarimento, in pratica per molti è risultata una stranezza … ma cosa pretendeva? … e allora perché lo seccò?

La chiave di volta del discorso qui come in Matteo è che Gesù “ebbe fame” ossia dopo quel fatto che l’invocarono come Messia gli si era riproposto in modo pressante lo scopo della Sua missione, infatti, ecco che, come aveva riportato il Vangelo di Matteo maledisse quel fico.

Del resto la profezia di Isaia 49,8-10 diceva del Messia: “Ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo , per far risorgere la terra, per farti rioccupare l’eredità devastata, per dire ai prigionieri: Uscite, e a quelli che sono nelle tenebre: Venite fuori. Essi pascoleranno lungo tutte le strade, e su ogni altura troveranno pascoli. Non avranno né fame né sete e non li colpirà né l’arsura né il sole, perché colui che ha misericordia di loro li guiderà, li condurrà alle sorgenti d’acqua.”

A questo punto ecco che il Vangelo di Marco inserisce l’episodio di Gesù che caccia i venditori dal Tempio e nasce evidente il parallelo tra l’albero del fico, ricco di foglie, ma privo di frutti in quel momento col culto, solo esteriore in quel momento del Tempio che poi tra qualche anno sarà distrutto quasi a sancirne l’ormai completa inutilità.

Subito dopo questo episodio ecco che il Vangelo di Marco 11,20-22 precisa : “La mattina seguente, passando, videro l’albero di fichi seccato fin dalle radici. Pietro si ricordò e gli disse : Maestro, guarda: l’albero di fichi che hai maledetto è seccato. Rispose loro Gesù: Abbiate fede in Dio!”

L’aver fame di Gesù nei Vangeli, peraltro, si presenta solo in due occasioni:

– nell’episodio delle Tentazioni dopo il battesimo al Giordano e i 40 giorni di digiuno Matteo 4,1.2 // Luca 4,1.2 “Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame .”

– nell’episodio del fico seccatosi, di cui ho detto, come si legge in Matteo 21,18 e in Marco 11,12.

Quindi, come nell’episodio delle tentazioni. “il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato” (Luca 4,13), ossia il momento della croce quando gli diranno, ovviamente sobillati dal demonio in quanto usano lo stesso suo modo di dire “Se tu sei Figlio di Dio”, infatti riporta Matteo 27,39s “… quelli che passavano di là lo insultavano scuotendo il capo e dicendo: Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce” per cui Gesù, che sa bene che dopo l’acclamazione messianica gli si prepara quel momento.

Come ho accennato, sente vicino il momento culminante della sua missione che aveva iniziato dopo il battesimo al Giordano e “ha fame”!

Del resto nel “discorso della montagna” tra l’altro aveva proclamato in Matteo 5,6: “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati” e la Sua è vera fame di giustizia che, essendo Dio, non è mai disgiunta dalla misericordia.

Giovanni

Nel Vangelo di Giovanni del fico si parla solo nell’episodio in 1,43- 51, di cui già ho detto, quello dell’incontro di Gesù con Natanaele.

La quercia

Il signore apparve ad Abramo alle querce di mamre. La quercia, nella Bibbia, e uno degli alberi che indica la del luogo e rimanda ad eventi particolarmente significativi per il popolo d’israele. Basti pensare a Giacobbe che primo sotto una quercia presso sichem sotterro tutti gli dei stranieri che possedeva la sua famiglia e quanti erano con lui: Un gesto rituale di purificazione e di deciso rifiuto dell’idolatria(  Genesi 35, 2).

Ancora Debora, la nutrice di Rebecca, viene sepolta ai piedi di una quercia, che perciò si chiamò quercia del pianto( Genesi 35,8)

Nelle immediate vicinanze di quest’albero dalla chioma folta e rigogliosa spesso venivano piantate le tende per ripararsi dalla calura. Sembra che il vissuto più intimo dell’uomo debba essere custodito all’ombra di una quercia: L’intrecciarsi degli affetti, tra fatiche gioie, il desiderio di Dio, l’ansia di essere fedele alla sua legge. Non stupisce dunque che Dio appaia ad Abramo presso le querce di mamre.

La Ginestra 

La ginestra (Spartium junceum), questo arbusto, alto tra i due metri e mezzo e i tre, diritto, dai giovani rami giunchiformi flessibili, ha fiori odorosi di un bel giallo oro, che si aprono in grappoli terminali.

E’ possibile che per gli antichi ebrei la parola “Ginestra” designasse il ginepro e forse, in modo particolare, lo Juniperus oxycedrus, della famiglia delle conifere. I poveri ne mangiavano le radici amare: “Raccolgono l’erba salsa accanto ai cespugli e radici di ginestra per loro cibo” (Gb. 30,4). La ginestra è citata come luogo di riposo; seguiamo Elia sfinito nel deserto: “Egli si inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto una ginestra” (1Re 19,4).

Il Lino

Il Lino (Linum usitatissimum), questa pianta erbacea, dai bei fiori blu, è coltivata per i suoi semi e le sue fibre, utilizzate per la fabbricazione di tele.

Mosè comunica alla comunità gli ordini del Signore per quando riguarda le vesti: “Fecero le tuniche di bisso, lavoro di tessitore, per Aronne e per i suoi figli; il turbante di bisso, gli ornamenti dei berretti di bisso e i calzoni di lino di bisso ritorto; la cintura di bisso ritorto… come il Signore aveva ordinato…” (Es. 39,27-29).

Ezechiele riprende questa prescrizione per i sacerdoti: “Quando entreranno dalle porte dell’atrio interno, indosseranno vesti di lino; non porteranno alcun indumento di lana… Porteranno in capo turbanti di lino e avranno mutande ai fianchi” (Ez. 44,17-18).

Il libro di Ester ci ricorda che il palazzo del re Assuero era decorato di questo tessuto nobile: “Vi erano cortine di lino fine e di porpora viola, sospese con cordoni di bisso e di porpora rossa…” (Est. 1,6).

L’evangelista Giovanni mette in evidenza il lino per festeggiare le nozze dell’Agnello, che sono simbolo del Regno celeste: “La sua sposa è pronta, le hanno dato una veste di lino puro splendente. La veste di lino sono le opere dei santi” (Ap. 19,7-8)

Nella sacra Scrittura le Querce di More sono nominate anche come segno di benedizione: “Quando il Signore tuo Dio ti avrà introdotto nel paese che vai a prendere in possesso, tu porrai la benedizione sul monte Garizim e la maledizione sul monte Ebal. Questi monti si trovano oltre il Giordano, dietro la vie verso occidente, nel paese dei cananei che abitano l’Araba di fronte a Galgala presso la Querce di More. Voi infatti state per passare il giordano per prendere in possesso il paese che il Signore vostro Dio vi dà” Dt. 11,29-31).

Il Salice

Il Salice (Salix) si presenta in numerose e diverse specie di alberi e arbusti. In occasione della festa delle Capanne, il Signore si rivolge a Mosè: “Il primo giorno prenderete frutti degli alberi migliori: rami di palma, rami con diverse foglie e salici di torrente e gioirete davanti al Signore vostro Dio per sette giorni” (Lv. 23,40).

Il salice è segno di benedizione: “Spanderò il mio spirito sulla tua discendenza, la mia benedizione sui tuoi posteri; cresceranno come erba in mezzo all’acqua, come salici lungo acque correnti” (Is. 44,3-4).

Il Sicomoro  

Il Sicomoro (Sycomorus); un tempo, in Egitto, questo albero molto alto ,cresce fino all’altezza di 20 metri e raggiunge i 6metri di larghezzaera  era coltivato per il suo legno e i suoi frutti. Si credeva che, fra tutti, fosse il più difficilmente sradicabile. I suoi frutti servivano soprattutto per l’alimentazione del bestiame. Il legno di sicomoro è tenero ma resistente, adatto a farne statue e mobili. Gli egiziani se ne servivano per i sarcofagi delle mummie.

In Israele quest’albero cresceva soltanto nella pianura della Sefela e nella depressione del Giordano: “Salomone fece sì che in Gerusalemme l’argento abbondasse come le pietre e rese il legname di cedro tanto comune quanto i sicomori che crescono nella Sefela” (1Re 10.27).

Nella civiltà ebraica il sicomoro era noto e apprezzato.nel libro di Amos,redatto ai tempi del Regno di Giudaattorno al 775-750 a.C.Il profeta omonimoasserisce di essere stato,prima di dedicarsi alla missione profetica,un pastoree raccoglitore di sicomori:Il che testimoniache in quell’epocal’albero era già presente in Palestinaè utilizzato dall’uomo.inoltreuna leggenda riferita peròal nuovo testamento,racconta che Giuda iscariota,il traditore di Gesù,si sia impiccato su un albero di sicomoro.

Un sicomoro era l’albero sul quale salì Zaccheo per dominare la folla e vedere Gesù (Lc. 19,2-4). L’omaggio fatto dalla civiltà ebraica e cristiana al sicomoro, avendolo scelto come pianta degna di elevazione (capace di dare altezza e visione al  piccolo Zaccheo che, proprio attraverso la sua grandezza ha  potuto vedere e farsi vedere da Gesù), significa che a quest’albero viene  attribuita la forza e il potere della congiunzione tra il terreno ed il divino. Sicomoro,quindi come albero della vita è allo stesso tempo anche viatico della morte:Albero di speranza e di risurrezione, come è successo a Zaccheo, che  tramite il sicomoro ha incontrato la salvezza, ma anche albero della buona morte, che accogliendo nel suo ventre ligneo  l’uomo  nell’ultimo suo viaggio, lo accompagna fiducioso e pieno di speranza. Albero  con poteri soprannaturali, quindi sacro : con poteri di salvezza in vita e di viatico per l’ aldilà.

Il Mandorlo

Il Mandorlo (Amygdalus communis), in ebraico “shaked”. La radice della parola significa “vegliare”. I suoi fiori, dai petali bianchi o rosei, compaiono prima delle foglie e sembrano uscire dal sonno dell’inverno. La loro comparsa nel mese di febbraio annuncia la rinascita della natura.

Il Signore stesso vi allude nel passo seguente: “Che cosa vedi, Geremia?”. Risposi: “Vedo un ramo di mandorlo”. Il Signore soggiunse: “Hai visto bene, poiché io vigilo sulla mia parola per realizzarla” (Ger. 1,11).

Il mandorlo accompagna l’uomo nel suo cammino verso l’eternità: “Quando si avrà paura delle alture e degli spauracchi della strada; quando fiorirà il mandorlo e la locusta si trascinerà a stento e il cappero non avrà più effetto, poiché l’uomo sene va nella dimora eterna” (Qo. 12,5).

Il mandorlo è citato nel Genesi come uno dei migliori prodotti del paese: “Israele loro padre disse: “Se è così, fate pure: mettete nei vostri bagagli i prodotti più scelti del paese e portateli in dono a quell’uomo: un po’ di balsamo, un po’ di miele, resina e laudano, pistacchi e mandorle” (Gn. 43,11).

A Luz, che in ebraico significa “mandorla”, Giacobbe vide in sogno il Signore a questo luogo gli parve sacro e ad esso egli diede il nome di Betel o Casa di Dio (Gn. 28,17-19).

Nella tradizione, il mandorlo e la mandorla sono stati messi in relazione con Maria. Nell’iconografia tradizionale, l’immagine del Cristo, della Vergine e a volte dei santi in gloria eterna si iscrive in una figura geometrica a forma di mandorla.

Il Melograno

Il Melograno (Punica granatum), questo albero si orna di fiori raggruppati in piccolo numero verso l’estremità dei rami. Era utilizzato per le sue proprietà terapeutiche. Il suo frutto, una grossa bacca sferica chiamata melagrana, racchiude un gran numero di grani che riempiono completamente l’interno.

Nella Bibbia le melagrane ornavano gli enormi capitelli di bronzo che sormontavano le colonne all’entrata del Tempio di Salomone: “Chiram… terminò tutte le commissioni del re Salomone per il Tempio del Signore,… i due reticolati per coprire i due globi dei capitelli che erano sopra le colonne, le quattrocento melagrane sui due reticolati, due file di melagrane per ciascun reticolato…” (1Re 7,40-42).

In rapimento poetico, lo sposo canta le bellezze dell’amata: “Come un nastro di porpora le tue labbra e la tua bocca è soffusa di grazia; come spicchio di melagrana la tua gota attraverso il tuo velo” (Ct. 4,3).

Per il gran numero dei suoi chicchi, i Padri della Chiesa hanno fatto della melagrana un simbolo di fecondità.

L’Olivo

L’Olivo (Olea europaea). L’olivo è un albero che può raggiungere i sedici metri di altezza e vivere cinque o sei secoli e anche più. Il suo legno giallognolo è molto duro. Dalle sue foglie medicamentose è stato ricavato un estratto efficace contro la febbre, l’ipertensione e il diabete. Il suo frutto, l’oliva, contiene olio, il solo che venga “Olivo verde, maestoso, era il nome che il Signore ti aveva imposto” (Gr. 11,16), impiegato nel culto.

La presenza dell’olivo è ritenuta segno di benedizione: “… Il Signore tuo Dio sta per farti entrare in un paese fertile,… paese di frumento , di orzo, di olio e di miele… Mangerai dunque a sazietà e benedirai il Signore Dio tuo a causa dal paese fertile che ti avrà dato” (Dt. 8.7-8.10).

“La tua sposa come vite feconda nell’intimità della tua casa; i tuoi figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa. Così sarà benedetto l’uomo Che teme il Signore” (Ps. 127.3-4).

L’olio d’oliva è sorgente di luce: “Tu ordinerai agli israeliti che ti procurino olio puro di olive schiacciate per il candelabro, per tener sempre accesa una lampada. Nella Testimonianza, Aronne e i suoi figli la prepareranno, perché dalla sera alla mattina essa sia davanti al Signore” (Es. 27,20-21).

E’ l’olio santo: “Procurati balsami pregiati… e olio di oliva. Ne farai l’olio per l’unzione sacra, un unguento composto secondo l’arte delle profumerie: sarà l’olio per l’unzione sacra. Con esso ungerai la tenda del convegno, l’Arca della Testimonianza, la tavola e tutti i suoi accessori, l’altare del profumo, l’altare degli olocausti e tutti i suoi accessori, la conca e il suo piedistallo” (Es. 30,22.25-28).

Le tradizioni giudaica e cristiana fanno dell’olivo un simbolo di pace: alla fine del diluvio, la colomba porta a Noè proprio un ramo di olivo.

Il Pioppo

Il Pioppo(Populus alba) è un albero dalla corteccia argentata; i suoi rami più giovani sono bianchi.

La Bibbia vi allude presentando Giacobbe avveduto nella gestione dei suoi beni:

“Giacobbe pascolava l’altro bestiame di Labano. Giacobbe prese freschi rami di pioppo, di mandorlo e di platano, ne intagliò la corteccia a strisce bianche, mettendo a nudo il bianco dei rami… Egli si arricchì oltre misura e possedette greggi in grande quantità…” (Gn. 30,36-37.43).

Dopo la propria conversione, Israele ricevette la benedizione del Signore: “Io sarò come rugiada per Israele; esso fiorirà come un giglio, metterà radici come un pioppo, si spanderanno i suoi germogli…” (Os. 14,6-7).

Il Grano, l’Orzo e altri Cereali

Nel brano del Deuteronomio, che enumera le attrattive della Terra Promessa (Dt. 8,7-8) al primo posto troviamo l’acqua, il bene più indispensabile; seguono “sette piante”, di cui le prime sono cereali, cioè grano ed orzo, le altre cinque alberi da frutto, (vite, olivo, fico, melograno, palma da datteri).

Col nome cereali (che deriva da Cerere, la dea romana delle messi) si indica convenzionalmente un gruppo di dieci piante che hanno un ruolo fondamentale nell’alimentazione dell’uomo e degli animali: riso, mais, frumento, orzo, avena, segale, miglio, panico, sorgo, grano saraceno. Le prime nove appartengono alla famiglia delle Graminaceae, l’ultima alle Poligonaceae.

La storia dei cereali si identifica con la più remota storia dell’uomo, col suo passaggio da cacciatore o pescatore nomade ad agricoltore stabile: un’evoluzione basata su due elementi fondamentali, l’osservazione di piante con semi commestibili (e riproducibili) e l’invenzione dell’aratro. Le diverse condizioni climatiche hanno fatto prevalere l’una o l’altra specie, ma questi eventi si verificarono in modo analogo in varie parti del mondo, sempre iniziando nelle regioni dove il terreno era più fertile per la presenza dei “grandi fiumi”: la Mesopotamia, la valle del Nilo, del Giordano, dell’Indo e del Gange, del fiume Giallo.

In varie zone della Siria, dell’Anatolia e della Mesopotamia sono stati ritrovati grani di cereali risalenti a circa 8000 anni a. C.. Il mito di Cerere risale a quello della dea greca Demetra; questa e l’egiziana Iside, quasi certamente sono a loro volta collegate al culto di Cibele, l’antica “dea madre” delle popolazioni dell’Asia Minore.

La Bibbia in moltissime occasioni parla di cereali o loro derivati (farina, focacce, pane), riferendosi ovviamente, a quelli coltivati fin dai tempi antichi in Israele, Egitto, Mesopotamia.

Le piante sono quattro, o forse cinque specie. La corrispondenza dell’antico nome ebraico con il nome botanico in qualche caso è sicura, in altri dubbia.

Il Miglio (Panicum miliaceum) e Panico (Panicum italicum) sono due specie biologicamente vicine e nelle citazioni antiche possono essere indicate con lo stesso nome “Dohan” (anche se il miglio è più probabile). Queste Graminacee originarie dell’Asia centromeridionale sono state forse uno dei primi “grani” utilizzati dall’uomo: la loro coltivazione richiede pochissime cure, quindi è adatta a popolazioni primitive e seminomadi.

Il Sorgo (Sorgum durra e specie affini) è una pianta con grosse pannocchie, di origine africana (dove è tuttora molto diffusa), anche questa di facile coltivazione: in ebraico è “durah” e non risulta sicuramente nella Bibbia, ma potrebbe essere un’alternativa di “dohan”.

L’Orzo (Hordeum vulgare) corrisponde sicuramente all’ebraico “sa ‘arah”. Ha spighe abbastanza simili a quelle del grano; in confronto a questo, ha molto minori esigenze climatiche, tanto che si coltiva dalla Scandinavia all’Equatore. Era noto fin dai tempi antichissimi sia in Cina che nell’area Mesopotamica; ne fecero largo uso gli Assiri e Babilonesi, Ebrei, Greci e Romani, da solo o misto con altri cereali.

Il Frumento (il Grano per eccellenza) dal punto di vista botanico appartiene al genere Triticum: un genere che comprende numerose specie, attualmente classificate su base citologica (cioè dal numero dei cromosomi) in tre grandi gruppi, dai quali derivano tutte le qualità coltivate. Oggi in tutto il mondo si coltiva prevalentemente il Triticum vulgare o sativum, cioè il grano tenero per farina da pane; ma un tempo erano assai più diffusi il Triticum durum (grano duro), il Triticum monococcum o farro piccolo, il Triticum dicoccum o grande farro, il Triticum spelta o spelta ed altre specie asiatiche ed africane oggi scomparse. In genere, l’ebraico “hittah” viene tradotto come grano; “kusemet” come farro o spelta.

I testi biblici si riferiscono talvolta ad un solo cereale, più spesso ad un gruppo di essi. Per esempio, la ricca agricoltura egiziana è descritta con precisione a proposito di una delle “piaghe d’Egitto” inviate per punire il Faraone: “fece piovere grandine su tutto il paese… il lino e l’orzo furono colpiti, perché l’orzo era in spiga e il lino era in fiore, ma il grano e la spelta non erano stati colpiti, perché tardivi…” (Es. 9,25-31).

L’importanza dell’orzo nel territorio della Giudea risulta evidente nella storia di Rut, un piccolo libro ambientato all’epoca dei Giudici, che ancor oggi nella tradizione ebraica si

legge nella festa “delle settimane” o “della mietitura”.

Noemi, una donna di Betlemme, era emigrata nella terra di Moab con il marito e due figli, che sposano donne moabite; gli uomini della famiglia muoiono e Noemi decide di tornare alla sua terra. Una delle sue nuore, Rut, la segue affermando: “dove vai tu andrò anch’io, dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il miopopolo e il tuo Dio sarà il mio Dio…” (Rut 1,16).

Ed esse: “arrivarono a Betlemme quando si cominciava a mieter l’orzo” (Rut 1,23).

La giovane va a spigolare l’orzo in un campo che appartiene a Booz, un parente della suocera; questi, saputa la sua storia, la protegge ordinando ai suoi servi: “lasciatela spigolare tra i covoni e non le fate affronto, anzi lasciate cadere apposta per lei spighe dai mannelli…” (Rut 2,23-26).

Infine Booz riscatta la terra di Noemi e sposa Rut; dal loro matrimonio nasce un figlio che sarà padre di Jesse, che è padre di Davide. Così Rut la moabita diviene, attraverso Davide, un’antenata del Messia. In tutte le storie dell’Antico e del Nuovo Testamento è evidente una stretta interdipendenza tra l’uomo e la terra, e di entrambi da Dio: gli alberi da frutto e i cereali – le piante più necessarie alla vita dell’uomo – sono quelle che esprimono più concretamente questo rapporto.

Le principali feste religiose ebraiche accompagnano i ritmi agricoli: la “festa degli azzimi”, cioè la Pasqua, in primavera; quella “della mietitura” o “delle settimane”, a distanza di sette settimane o cinquanta giorni dalla Pasqua (da cui il nome greco “Pentecoste”); quella “del raccolto” o “delle capanne” in autunno. Lo schema di queste celebrazioni viene dettato a Mosè prima della partenza dall’Egitto (Es. 12,8-23, 14-17); il rituale è poi precisato in Deuteronomio (16) e in Levitico (2 e 3).Gesù si serve del tema della “semina” e del raccolto in due importanti parabole: quella del “seminatore”, in cui la Parola di Dio è paragonata ad un seme che può cadere in un luogo sassoso o tra spine o in un terreno buono (Mt. 13,3-8; Mc. 4,3-8; Lc. 8,5-8) e quella della “zizzania” seminata dal nemico (il diavolo) insieme con il seme buono (Mt.13,24-30).

Ma i significati simbolici e trascendenti sono collegati soprattutto al principale prodotto del grano (o di altri cereali): il pane.

IL PANE DA ABRAMO A GESU’

Il pane ha un posto importante in tutta la tradizione ebraica e cristiana. Ancora oggi, gli Ebrei prima di mangiare recitano la benedizione: “Benedetto sei tu, Signore, che fai uscire il pane dalla terra”; e i cristiani pregano, secondo l’insegnamento di Gesù: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Nelle Scritture i vari significati del pane (concreto, simbolico, trascendente) si alternano e talvolta si sovrappongono.

In Genesi leggiamo che: “Melchisedec, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram…” (Gn. 14,17-18). In questa emblematica figura del re-sacerdote dal nome cananeo molti hanno voluto vedere un’anticipazione del Messia e del sacrificio Eucaristico.

Incontro tra Abramo e Melchisedec – opera di Dirk Bouts 1464-1467

Poco dopo, sempre in Genesi, assistiamo a una scenetta familiare: ad Abramo, presso le Querce di Mambre, si presentano “tre uomini” ed Abramo dice loro: “accomodatevi sotto l’albero e permettete che vada a prendere un boccone di pane… poi andò in fretta nella tenda da Sara e disse: presto, tre staia di fior di farina, impastala e fanne focacce…” (Gn. 18,4-7).

Gli antichi ebrei usavano infatti mangiare pani (o piuttosto focacce) piccoli e rotondi, non lievitati, preparati dalle donne.

Ben diversa la situazione in Egitto, dove fu portato Giuseppe, poi raggiunto dai suoi fratelli. Tra i popoli dei “grandi fiumi”, gli antichi egiziani furono senza dubbio quelli che maggiormente valorizzarono il grano. Il Nilo era il grande protagonista dell’agricoltura: le stagioni venivano denominate, secondo il comportamento del fiume, “inondazione”,“germinazione del seme”, “raccolta del grano”. Fu creato un complesso sistema di irrigazione e fu perfezionato il primitivo aratro. Gli Egiziani furono i primi a fabbricare il pane.

Probabilmente fu accidentale – e ritenuta di origine magica – la scoperta che la pasta inacidita faceva fermentare l’impasto; comunque, quando altri popoli usavano ancora i cereali abbrustoliti o in focacce, gli Egiziani già cuocevano in forno diverse qualità di pane. Scritti e pitture murali ce ne danno testimonianza. Il Faraone era il “signore del grano”; il pane era l’elemento fondamentale dell’economia nazionale e con varie quantità di pane e di birra si pagavano operai, funzionari, sacerdoti. Il pane veniva offerto agli dei e veniva posto nella tomba dei defunti.

Alla lavorazione erano addetti operai specializzati. Quando Giuseppe è messo in prigione, insieme con lui c’è il “capo dei panettieri” che gli racconta di aver sognato: “tre canestri di pane bianco, e nel canestro che stava di sopra ogni sorta di cibi per il Faraone, quali si preparavano dai panettieri…” (Gn. 40,16-17).

Nella predicazione di Gesù il pane – sia concreto che simbolico – ha un posto importantissimo. Il pane per gli affamati. Davide, quando si reca a Moab, chiede al sacerdote Achimelech se ha del pane peDavide, quando si reca a Moab, chiede al sacerdote Achimelech se ha del pane per sfamare i suoi uomini e il sacerdote: “gli diede il pane sacro, perché non c’era altro pane che quello dell’offerta” (I Sam. 21,4-7).

Gesù si riferisce a questo precedente nell’episodio delle “spighe strappate”, narrato nei Vangeli: “passo tra le messi in giorno di sabato e i suoi discepoli ebbero fame, e cominciarono a cogliere spighe e le mangiavano; ciò vedendo, i farisei dissero: ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito… ed Egli rispose: non avete letto quello fece Davide, quando ebbe fame insieme con i suoi compagni, come entrò nella casa di Dio e mangiò il pane dell’offerta che non era lecito mangiare né a lui né ai suoi compagni, ma solo ai sacerdoti? Ora io vi dico che qui c’è qualcosa di più grande del tempio; se aveste compreso che cosa significa “misericordia io voglio e non sacrificio”, non avreste condannato individui senza colpa…” (Mt. 12,1-8; Mc. 2,23-28; Lc. 6,1-5).

Una prima “moltiplicazione dei pani” viene compiuta dal Signore per mezzo di Eliseo. “Da Baal-Salisa venne un uomo che offrì primizie all’uomo di Dio, venti pani d’orzo e farro che aveva nella bisaccia. Eliseo disse: dallo da mangiare alla gente. Ma colui che serviva disse: come posso mettere questo davanti a cento persone? Quegli rispose: dallo da mangiare alla gente, poiché così dice il Signore; ne mangeranno e ne avanzerà ancora” (II Re 4.42-43).

Gesù compie la moltiplicazione dei pani presso il lago di Tiberiade, dove una grande folla (quattro o cinquemila uomini) lo ha seguito. La scena, pur essendo sostanzialmente uguale (Gesù benedice il pane e i pesci, li fa distribuire e tutti si saziano) è narrata nei Vangeli con qualche variante: in Luca e in Giovanni l’episodio avviene una sola volta, ci sono cinque pani e due pesci ed avanzano dodici ceste di pane; in Matteo e in Marco il miracolo si ripete due volte e in una di queste compare il numero sette per i pani e per gli avanzi. Secondo i commentatori, si tratterebbe di due diverse tradizioni: dodici è il numero delle tribù d’Israele e degli Apostoli, mentre il sette allude alle nazioni di Canaan e ai diaconi ellenistici (Mt. 14,13-21 e 15,32-39; Mc. 6,30.44 e 8,1-9; Lc. 9,10-17; Gv. 6,11-13).

Non di solo pane …

Prima di iniziare la sua predicazione, Gesù si ritira nel deserto e digiuna per quaranta giorni: il diavolo, come prima tentazione gli propone: “se sei il Figlio di Dio, fa che queste pietre diventino pane …”

Gesù lo respinge dicendo: “sta scritto, non di solo pane vivrà l’uomo” (Mt. 4,1-4; Lc. 4,3-4; Mc. 1,12-13). Come molte volte, il messaggio di Gesù si collega alle scritture: in questo caso, al

monito di Mosè al suo popolo: “ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto… ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna che non conoscevi e che i tuoi padri non avevano conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma vive di quanto esce dalla bocca del Signore…” (Dt. 8,2-3).

Il pane di vita.

Dopo aver compiuto la moltiplicazione dei pani ed altri miracoli, Gesù si rivolge alla folla nella sinagoga di Cafarnao ed afferma: “in verità vi dico, non Mosè vi ha dato il pane del cielo, ma il Padre mio vi dà il pane del cielo, quello vero; il pane di Dio è quello che discende dal cielo e dà la vita al mondo… Io sono il pane della vita, io sono il pane vivo disceso dal cielo; se uno mangia di questo pane vivrà in eterno…” (Gv. 6,32… 48). E’ il discorso che prelude all’istituzione dell’Eucarestia nell’ultima cena (Mt. 26,26; Mc. 14,22; Lc. 22,19). Anche dopo la morte e risurrezione di Gesù, ad Emmaus, i discepoli lo riconoscono quando a tavola spezza il pane e lo dà a loro (Lc. 24,30).

Il Rito sta per compiersi – Omaggio a Franco Zeffirelli dell’artista Nerio Griso
I LEGUMI

La parola “legumi” comprende varie specie di semi commestibili, ottenuti da piante di quella grande famiglia che si chiama appunto delle “Leguminose”. Le leguminose comprendono migliaia di specie, diffuse in tutto il globo e molto diverse per aspetto e dimensioni: hanno in comune i fiori a forma di farfalla (sono dette anche papillonacee) e i semi contenuti in una capsula apribile in due valve (il legume o baccello).

Le Lenticchie (lens culinaria o lens esculenta) sono i legumi di dimensione più piccola, ma anche quelli con la storia più antica: sono state trovate in giacimenti dell’epoca neolitica presso Gerico, in tombe egiziane del 3000 a. C., nella zona dell’antica Troia. Crescono anche in terreni aridi, ma vogliono clima caldo. Il seme può essere di vario colore; la sua forma biconvessa ha dato il nome alle lenti ottiche. Nella Bibbia la lenticchia (in ebraico “adasah”) èfamosa per l’episodio di Esaù che vende la sua primogenitura.

“Giacobbe aveva cotto una minestra di lenticchie; Esaù arrivò dalla campagna ed era sfinito. Disse a Giacobbe: lasciami mangiare un po’ di questa minestra rossa: Giacobbe disse: vendimi subito la tua primogenitura. Rispose Esaù: ecco sto morendo, a che mi serve allora la mia primogenitura? Giacobbe allora disse: giuramelo subito. Quegligiurò e vendette la primogenitura a Giacobbe” (Gn. 25,29-34).

I Ceci (Cicer arietinum) sono anch’essi di antica origine asiatico-mediterranea: le virtù energetiche di questo legume erano molto apprezzate, tanto che il latino “cicer” deriva dal greco “Kikis” che significa “forza” e l’appellativo “arietinum” allude all’ariete: il nome ebraico “homis”, simile all’arabo “humus”, può essere riferito a questa pianta: è citato i Isaia 30,24.

Le Fave (Vicia Faba) sono un altro legume molto antico, utilizzato in vario modo nell’alimentazione dei popoli del medio oriente e del mediterraneo. In ebraico è “pol”.

Per rifocillare Davide e i suoi, che avevano patito fame e stanchezza, quando giungono a Macanaim vengono portati loro i cibi fondamentali di quella terra: “grano, orzo, farina, grano arrostito, fave, lenticchie, miele, latte acido e formaggio di pecora e di vacca…” (2° Sam. 27-29).

Al profeta Ezechiele, come annunzio dell’assedio di Gerusalemme viene prescritto di rimanere incatenato e mangiare un pane fatto di: “Grano, orzo, fave, lenticchie, miglio e spelta in quantità razionata” (Ez. 4,9-10).

GLI ORTAGGI

C’è un’occasione in cui il racconto biblico nomina una serie di ortaggi. Quando dopo qualche giorno di cammino nel deserto, il popolo comincia a lamentarsi: “Chi ci potrà dare da mangiare? Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto gratuitamente, dei cocomeri, dei meloni, dei porri, delle cipolle e dell’aglio… ora i nostri occhi non vedono altro che questa manna…” (Nm. 11,4-6).

L’Aglio (Allium sativum), ebraico “sum”; il Porro (Allium porrum), ebraico “hasir” e la Cipolla (Allium cepa), ebraico “basal”, sono stati coltivati fin dai tempi più remoti nel Medio Oriente e in Egitto; particolarmente la cipolla, considerata indispensabile per l’alimentazione degli operai, è presentata spesso in dipinti delle tombe egizie.

IL Melone (Cucumis melo), ebraico “qisu ‘im” e il Cocomero (citrullus vulgaris) ebraico “abattiah” erano molto diffusi in Egitto: è comprensibile che specialmente il secondo, per il suo alto contenuto di acqua, fosse rimpianto nel deserto.

LE ERBE AMARE

Le Erbe Amare in ebraico “maror”, ritualmente prescritte insieme con l’agnello nella celebrazione della Pasqua, sono molto probabilmente delle CICORIE (Cichorium endivia e Cichorium pumila), forse anche il TARASSACO o dente di leone (Taraxacum officinalis). Erbe aromatiche.

Molte Erbe Aromatiche sono menzionate nella Bibbia.

Una delle più ricche di significato è l’Issopo (Origanum syriacum): una pianticella erbacea con piccoli fiori bianchi, che cresce spontaneamente in terreni aridi e sassosi, ed è sempre stata usata in tutto il Medio Oriente per insaporire i cibi e come digestivo. Il nome ebraico “ezob” e nella tradizione biblica il suo significato principale è quello di purificazione.

Nelle prescrizioni per la Pasqua dettate da Mosè, si legge che il Signore risparmierà dallo sterminio le case segnate dal sangue dell’agnello, spruzzato mediante un fascio d’issopo sull’architrave e sugli stipiti della porta (Es. 12,21-24).

L’issopo è prescritto, insieme ad altri materiali, per la purificazione del lebbroso (Lv. 14,6) e di chi si è contaminato toccando un cadavere (Nm. 19,17). Nel famoso Miserere (Salmo 51) il peccatore invoca: “Purificami con issopo e sarò mondo, lavami e sarò più bianco della neve”.

Il piccolo e pur tanto utile issopo è anche simbolo di umiltà, contrapposto alla grandezza e superbia rappresentata dal cedro. Altre erbe di cui si usavano – e si usano ancora – foglie e semi per aromatizzare i cibi sono il Coriandolo (Coriandum sativum), ebraico “gad” a cui viene paragonata la manna del deserto, la Menta (Mentha longifolia), l’Aneto (Anethum graveolens) e il Cumino (Cuminum cyminum).

Questi ultimi venivano anche seminati nei campi, come ci ricorda Isaia (Is. 28,25). Gesù, nell’invettiva contro scribi e farisei ipocriti, dice: “guai a voi, che pagate la decima della menta, dell’aneto e del cumino e trascurate le prescrizioni più gravi della legge; la giustizia, la misericordia e la fedeltà…” (Mt.23,23).

Di un’altra pianta aromatica, la Senape (Brassica nigra) si serve Gesù per una delle sue parabole: “Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senape, che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi, ma una volta cresciuto è più grande di tutti i legumi e diventa un arbusto, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano tra i suoi rami” (Mt. 13,31-32; Mc. 4,30-32; Lc. 13,18-19).

SPEZIE E PROFUMI

In tutta la tradizione dell’oriente hanno sempre avuto un posto notevole le spezie e gli aromi per aromatizzare i cibi, per profumare ambienti e persone, per onorare le divinità e i sovrani.

La parola “profumo” deriva letteralmente dal latino “per fumum”, ossia in origine indicava l’odore piacevole del fumo ottenuto bruciando sostanze varie: resine, legni, semi, fiori secchi ecc.. Queste sostanze un tempo erano tanto richieste che alcune di esse viaggiavano fino a luoghi molto lontani dai paesi di origine ed erano considerate preziose come l’oro e le gemme.

L’uso di bruciare aromi – di cui è prototipo l’incenso – nei riti religiosi è antichissimo: si ritrova in India e in Persia, in Siria e in Egitto. Gli egiziani usavano elaborate misture sia per le cerimonie di adorazione a Ra (il dio del Sole) che per l’imbalsamazione delle mummie: in questa però era escluso l’incenso, riservato al culto divino.

Scorrendo i vari passi della Bibbia che citano gli aromi, è possibile leggere il progresso storico dal primitivo uso di sacrifici animali fino all’omaggio dei Re Magi a Gesù Bambino e poi ai turiboli delle nostre chiese. Una prima menzione di resine aromatiche si trova nella suggestiva scena che fa da sfondo alla vendita di Giuseppe da parte dei suoi fratelli: questi, dopo aver gettato Giuseppe in una cisterna: “videro arrivare una carovana di Ismaeliti provenienti da Galaad, con i cammelli carichi di resina, di balsamo e di (in italiano) laudano …” (Gn. 37,25). Qui si tratta di prodotti esistenti nella zona di provenienza dei cammellieri, o poco lontano.

La Resina indica molto probabilmente quella ottenuta dall’Astrogalus gummifer, una delle tante specie di Astragali che abbondano nel Mediterraneo e Medio Oriente. Balsamo si riferisce alla secrezione gommosa della Balanytes egiptica, un arbusto che cresce nelle zone attorno a Gerico e altre pianure calde. Il Laudano che compare nelle nostre Bibbie è certamente il Ladano cioè la resina ottenuta dal Cistus ladamifera. Il genere Cistus (famiglia Cistaceae) comprende varie specie di cespugli, tipici delle zone costiere e collinari dell’Asia Minore e del Mediterraneo, che in primavera si coprono di fiorellini bianche e rosa. Anticamente erano molto apprezzati per la resina contenuta nelle capsule dei semi: questa si estraeva mediante funi e rastrelli di cuoio o addirittura, secondo una curiosa tradizione, dalla barba dei caproni che si facevano passare in mezzo ai cespugli.

Alcuni autori ritengono che la Mirra, (in ebraico “lot”), citata più volte nell’Antico Testamento sia il ladano invece che la mirra tropicale. Più tardi, quando Giuda deve tornare in Egitto da Giuseppe con i suoi fratelli e con Beniamino, il padre consiglia di portare in dono i: “prodotti più scelti del paese: un po’ di balsamo, un po’ di miele, resina e laudano (ladano), pistacchi e mandorle …! (Gn. 43,11). Confermando così l’origine locale di questi prodotti.

La Mirra vera è invece una gommoresina estratta dalla Commyfora abissinica (famiglia Burseraceae), un albero che vive in alcune regioni dell’Africa e dell’America tropicale.

L’Incenso proviene da una pianta della stessa famiglia, la Boswellia carteri o Boswellia sacra, diffusa in Arabia, Somalia, Abissinia: è un cespuglio di media grandezza, da cui si estrae per incisione il vero incenso o Frankincense, che veniva importato in Israele ed in Egitto. In ebraico è indicato con la parola “lebonah”, mentre “kethoreth” significa una miscela di aromi (tra cui l’incenso) usata nell’olio dell’unzione sacerdotale e bruciata nelle offerte rituali.

Di queste preparazioni viene data la ricetta precisa per l’olio dell’unzione: “mirra vergine per il peso di cinquecento sicli, cinnamoro odorifero duecentocinquanta sicli, canna odorifera duecentocinquanta, cassia cinquecento sicli e un hin di olio di oliva”; per il profumo da bruciare: “storace, onice, galbano come balsami e incenso puro, tutto in parti uguali” (Es. 30,23-25; 34-35). Anche ad Aronne viene prescritto di bruciare incenso nel sacrificio di espiazione (Lv. 16,12-13).

Tra le piante aromatiche prescritte, oltre all’incenso, per gli antichi rituali alcune sono originarie dell’Asia Minore e Mediterraneo: lo Storace, resina odorosa dello Sturax officinalis, famiglia Storacaceae e il Galbano, estratto dalla Ferula galbanifera, famiglia Ombrellifere.Il Cinnamomo odorifero e la Cassia provengono invece da lontano.

Il primo è la Cannella (Cinnamomum zeylanicum, famiglia Lauraceae), in ebraico “kinamom”; è la corteccia di un albero che cresce a Ceylon e nello Shri –Lanka ed era una delle spezie più pregiate.

La Cassia (Cinnamomum cassia) ebraico “qiddah”, viene da un albero della stessa famiglia, più grande ma meno prezioso, che vive in India e in Indocina. Alla stessa famigli di queste due specie appartiene l’albero della canfora (Cinnamomum canfora).

La Canna Odorosa Calamo aromatico ( Acorus calamus, famiglia Araceae). L’Onice è invece “Onica” o Unghia odorosa: una conchiglia a forma di unghia, che emana profumo quando si aprono le valve.

Altre essenze odorose che sono l’Aloe (Aloe vera), una pianta della famiglia delle Liliaceae che cresce nei climi caldi; il Nardo, in ebraico “nerd” estratto dal Nardostachis jatamansis che cresce sulle montagne dell’India; lo Zafferano (Crocus sativum) ebraico ”habaselet” indigeno dell’Asia Minore.

L’uso di tutti questi profumi non è riservato soltanto alle cerimonie sacre. Un gruppo di essi compare nel Salmo 45: forse un inno per un matrimonio regale (Salomone? Acab?), interpretato da taluni in chiave messianica: “… il tuo Dio ti ha consacrato, con olio di letizia, a preferenza dei tuoi eguali, le tue vesti sono tutte mirra, aloe e cassia, dai palazzi d’avorio ti allietano le cetre …” (Ps. 45,8-9).

Tutti gli aromi più preziosi sono compresi nella bellissima dichiarazione d’amore del Cantico dei cantici:

“Giardino chiuse tu sei, sorella mia, sposa, giardino chiuso, fontana sigillata. I tuoi germogli sono un giardino di melagrane, con i frutti più squisiti, alberi di cifro con nardo, nardo e zafferano, cannella e cinnamomo con ogni specie d’alberi da incenso; mirra e aloe con tutti i migliori aromi” (Ct. 4,12-14).

Segno di onore per il Re dei Giudei sono i doni portati dai Magi: “aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra” (Mt. 2,11). I Padri della Chiesa li interpretarono come simboli della regalità, della divinità e della passione di Cristo.

L’uso di unguenti profumati vigeva ancora al tempo di Gesù, come testimonianza l’episodio dell’unzione di Betania: “Maria allora, prese una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri? Questo egli disse non perché gl’importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: Lascia fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me. “ (Gv. 12,1-8; Mt. 26,6-16; Mc. 14,3-9).

Dopo la morte di Gesù, i suoi vollero, secondo l’usanza, imbalsamare il suo corpo. I Vangeli narrano l’episodio con qualche variante: secondo Marco: “passato il Sabato, Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per imbalsamare Gesù (Mc. 16,1) e lo stesso in Luca: “le donne prepararono aromi e oli profumati … il primo giorno dopo il Sabato, di buon mattino, si recarono alla tomba portando gli aromi che avevano preparato …” (Lc. 24,1).

Secondo Giovanni, invece, il compito pietoso fu svolto da due uomini: Giuseppe d’Arimatea (che anche negli altri testi porta via il corpo di Gesù) e Nicodemo, che: “portò una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre. Essi presero allora il corpo di Gesù, e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com’è usanza seppellire per i Giudei” (Gv. 19,39-40).